Salome a Genova……o forse Elektra?

salome-al-carlo-felice-0

La famosa maschera d’oro di Agamennone, ritrovata da Schliemann a Micene, domina la sala del Carlo Felice prima che l’opera inizi e costituisce il motivo conduttore dell’intera produzione. L’azione si svolge in un ambiente arcaico dove portali ed architravi micenei ritmano lo spazio, primitivi e tozzi, le luci bronzee che intendono evocare il mito e riprendono il metallo della maschera, mentre alcuni mimi celano i loro volti dietro altrettante identiche maschere di Agamennone. Un’immagine ben composta che per qualche minuto avvolge anche lo spettatore. Presto, però, la domanda sorge spontanea : “ma che c’entra Agamennone? “ , perché a ben pensarci Salome non si svolge affatto a Micene, ma in Giudea, nel palazzo del tetrarca, mentre Agamennone non appartiene alle storie bibliche bensì al mito oltre che alla storia della Grecia arcaica. Purtroppo per la signora Cucchi la Palestina ricca e raffinata di Erode Antipa con Micene ha in comune soltanto il fatto che sta più a destra di Roma nella carta geografica del Mediterraneo, essendo che le architetture di Erode il Grande e poi del figlio, come il palazzo in cui si svolge l’azione, erano luoghi di ricchezza e di opulenza, sfarzo e colore, e soprattutto di carattere siropalestinese o romano, cioè….tutto un altro mondo! Dimenticate storia e archeologia per ritornare a Wilde e Strauss ci si ritrova in un regno lunare ed esotico, fatto di giardini lussureggianti, di profumi seducenti, di ricche architetture, insomma in un’ambientazione completamente decadente ed immaginaria, ma opposta alla semplicità nuda e primitiva dell’architettura micenea e di quanto abbiamo visto in scena.  Il  soggetto, poi, che di componenti funebri quali le maschere o le nicchie entro cui i ridicoli Erode ed Erodiade della Cucchi ad un certo punto sono seduti, non ne possiede mezza, è attraversato nel finale da una vena macabra, ma soprattutto è sensuale e perverso,  rappresentazione perfetta della bellezza malata e corrotta decadentista, della seduzione inquietante e morbosa cui la purezza del santo Jochanaan è giustapposta. Laddove la perversione sessuale si mescola al macabro nella scena finale, topos delle arti grafico – pittoriche, il macabro manca perché la testa portata alla protagonista è una scultura microscopica e perchè l’elemento del macabro è già stato speso per mostrare in precedenza il corpo senza testa di Jochanaan. Madre e patrigno di Salome, poi, sono figure grottesche, isteriche, Herodiade altrettanto corrotta, Erode debole e vile, ma non sono personaggi comici e la prima dei due non è possibile che evochi apertamente la Regina di Cuori del cartoon Alice nel Paese delle Meraviglie. Al cospetto di un’ambientazione che vuole essere o sembra voler ricostruire un’ambiente fedele sul piano storiografico al libretto, è chiaro che lo spettatore minimamente accorto per l’intera serata conviva col dubbio che la regista abbia frainteso i due lavori di Strauss, collocando Salome al tempo di Elettra, oppure che la regista non si sia resa conto, nella sua disinvolta vis “interpretativa” fatta di maschere funebri e di peccati capitali ( che sulla scena non si percepiscono e di nuovo con l’opera di Strauss e Wilde, come la vicenda di Salome non c’entrano ) che il risultato finale portava diritto all’altro capolavoro di Strauss. C’erano anche tanti altri elementi  già visti, le trabeazioni che si rompono come nel Sansone e Dalila ( ambientato in Giudea …) al momento delle reiterate pretese di Salome di ottenere dal patrigno la testa del Battezzatore, come la scena degli ebrei, con i comprimari in nero ed ancora maschere marmoree ( credo ) di Agamennnone sul petto, Jochanaan che mimava un battesimo mentre dall’alto sopraggiungeva una luce azzurra “ divina… insomma, un mix di banalità e ingenuità che toglieva plausibilità allo spettacolo e che, mi spiace dirlo, tradiva le falle nel background dei riferimenti della Cucchi.

imageUnico momento efficace, la danza dei sette veli, molto ben riuscita ed anche ben diretta dal maestro, sopra ad un secondo palco posto sullo sfondo, protagonista la brava danzatrice Beate Vollak, il meglio indiscutibile della serata. Morale della favola, credo che per macinare spettacoli in rapida successione ad un regista  occorra altro e diverso bagaglio di riferimenti culturali oltre che specifici “ferri del mestiere” rispetto a quelli che dimostra di possedere la signora Cucchi ed alludo alla solidità professionale sui cui i Pizzi, i Ronconi, i Ponnelle etc hanno fondato i loro percorsi soprattutto nelle occasioni di routine.Una note positiva sul piano musicale è stata la prova del maestro F. Luisi che, alle prese con un lavoro complesso e difficile, in particolare con l’handicap di un’orchestra molto lontana dall’ideale che occorre per suonare Strauss, è andato oltre le aspettative. Diciamo che è riuscito a mantenere sempre una certa tensione nella sua direzione, evitando di fermare lo scorrere della musica. Le intenzioni mi sono parse sempre pertinenti ad ogni momento dell’opera. Abbassata la buca anche per non sovrastare il misero palco di cui disponeva, Luisi ha stentato per il primi venti  minuti dell’opera, l’orchestra povera di suono, il clima rarefatto e lunare che introduce la vicenda ed i personaggi appena abbozzato: all’orchestra del Carlo Felice mancano corpo ed una connotazione timbrica idonea alla ricchezza della partitura, perciò poche suggestioni, nessun esotismo, nessuna raffinatezza. Dall’apparizione in scena di Jochanaan le cose sono andate meglio, il tono profetico del canto del baritono ha trovato una giusta atmosfera, come pure la danza ed il finale, mentre per nulla soddisfacente è stata la scena degli ebrei, pasticciata anche dai cantanti. Il cast peraltro è stato davvero insufficiente, a cominciare dall’avvenente protagonista, Lise Lindstrom, che del ruolo possiede soltanto il lato visuale. Voce modesta, impostata in modo da dover spingere tutta la sera, limitata in ogni registro, priva di legato e quindi di accento in modo particolare, ha reso una Salome assai frequentemente parlata oppure gridata, che nei tentativi di piano stentava a non “grattare” o rompere il suono. Un canto tutto fisico ed isterico privo del fascino e della strumentalità imposta da Strauss. Pessimo lo Jochanaan di Mark Delavan, gutturale e cavernoso, totalmente privo dell’aulico canto legato del santo e semplicemente inaccettabile l’Herodiades caricaturale di Jane Enschel. Migliore in campo l’Herodes di Herwis Pecoraro, perché chi ha un occhio in mezzo ai ciechi….Lo scarso pubblico ha mostrato di gradire la serata portata a casa da Luisi e dall’ orchestra e di non accorgersi del pressapochismo della produzione. Forse avrebbe meritato l’oculata ripresa del capolavoro di Cobelli, nato proprio a Genova , o di altre provinciali d’autore, come quella lunare ed astratta di Pizzi, piuttosto che lo sperpero degli ormai scarsi pubblici denari per un nuovo di questo genere.

 

 

 

 

Immagine anteprima YouTube

10 pensieri su “Salome a Genova……o forse Elektra?

  1. Ma da una regista che ha saputo partorire un “capolavoro” come la recente messa in scena de “La favorite” alla Fenice cosa ci si poteva aspettare?
    Piuttosto dal sito del teatro genovese e da quello dell’Opèra di Parigi si vede che il M. Luisi era contemporaneamente impegnato a Genova con Salomé ed a Parigi con Lear di Reimann. Complimenti per la capacità di sdoppiarsi con due titoli non troppo facili!

  2. Curiosando sul sito dell’Opéra mi sono imbattuto nel programma della prossima stagione. Mi pare interessante vedere come il Lissner faccia come il Pereira: si è portato seco a Parigi degli spettacoli scaligeri (almeno in un caso, il Lohengrin di Kau secondo Guth, credo con il massimo gaudio dei melomani meneghini) nonché il Tcherniakov, stavolta impegnato non a far danni alla Traviata ma ad altre opere
    https://www.operadeparis.fr/saison-16-17/opera
    E per non farsi mancar nulla anche un bel Bieito (Una sgradevole e sbagliata messa in scena di Carmen che già ho visto in Italia, ma che a confronto di altre bieitate è un modello di fedeltà a libretto e partitura) ed un Michieletto, che propinerà la solita robaccia.
    Notevole l’assoluto menefreghismo del Lissner per un certo repertorio francese, che evita accuratamente; si fanno, perchè si devono fare, i soliti titoli ovvi (che fanno – si spera – cassa) o il barocco che fa “figo” (e che in Francia pare incassi). Su una ventina di titoli, la solita Carmen, i soliti Contes, un Beatrice et Benedict, che una volta era titolo poco consueto ma che oggi (non in Italia) non lo è più, il Sansone e Dalila, teoricamente titolo di grande repertorio (subordinatamente al reperimento di un tenore in grado di farlo) ma castrato dalla presenza di un Michieletto alla regia e di un Antonenko sotto i lunghi capelli di Sansone, un opéra ballet di Rameau e l’Ifigénie en Tauride con un’orrida regia di Warlinowsky, opera che il sito dell’Opèra ci presenta come “Classique Allemand “, pur trattandosi di una tragédie lyrique scritta da Gluck su libretto francese apposta per l’opéra di Parigi!
    Titoli come Robert le Diable, Les Huguenots, La muette de Portici o Hamlet sono vietati anche solo al pensiero, cattivo gusto pompier, e ciò a prescindere dal fatto che oggi come oggi sono quasi impossibili da rappresentare (Il Robert dato a Palais Garnier una trentina di anni fa con Blake, Ramey ed Anderson, resta ancora insuperabile ed insuperato). Ma da altre parti si è provato a farlo. Penso a titoli come La dame blanche, Cendrillon, Romeo et Juliette o Le roi de Lahore, sicuramente meno impegnativi dei grand-opèra di cui sopra. Penso soprattutto a quell’opera splendida che è Mignon e che poco tempo fa mi pare sia stata riproposta dall’Opèra Comique.
    Tutte queste opere M. Lissner non le conosce al certo….
    Ma da uno che conosce l’opera così, non riconoscendo manco Carmen:
    https://www.youtube.com/watch?v=J7twOtL-GWI
    cosa ci si può aspettare?

    • Beh non si può proprio dire che in Francia il repertorio francese sia maltrattato…anzi: Massenet è sempre stat presente (e se quest’anno ne fanno meno vivaddio), il grand-opera comporta difficoltà anche organizzative…tutto si può dire dei teatri francesi tranne criticare la varietà dell’offerta che è incommensurabile rispetto a qualsiasi teatro italico. Se devo dirla tutta è proprio nell’eccessiva presenza dei titoli italiani convenzionali e banali, il punto debole della stagione che la rendono – salvo alcune eccezioni – assai poco interessante.

    • Il barocco non fa “figo”, ma è un repertorio splendido che ha successo ovunque tranne in Italia ovviamente…dove si vuole morire di Traviate Barbieri e Lucie. L’Eliogabalo che apre la stagione parigina è in realtà un evento musicale di enorme importanza: per il titolo e per la compagine chiamata a realizzarlo (Alarcon è il massimo interprete di Cavalli)

Lascia un commento