L’Opera da tre soldi: Brecht torna a Milano.

brechtCon buona pace di tutti i profeti del superamento delle ideologie che hanno disegnato il volto del “secolo breve”, il messaggio veicolato da Brecht attraverso il grottesco della sua Opera da tre soldi è, oggi, quanto mai attuale: attuale e necessario. Perché attuale e necessaria è, o dovrebbe essere in un paese civile e non anestetizzato da opportunismo e accidia, la denuncia dello sfruttamento, della diseguaglianza e della corruzione. E poco importa se gli ultimi hanno cambiato volto e linguaggio – Michieletto li veste con un giubbotto salvagente, come quei disgraziati morti ammazzati in mare nel miraggio di false speranze – perché gli oppressori e gli sfruttatori sono sempre gli stessi. Perciò ancora oggi è giusto chiedersi se il vero crimine sia svaligiare una banca o fondarla, se sia peggio usare il grimaldello o i pacchetti azionari, se uccidere un uomo non sia lo stesso che trasformarlo in forza-lavoro. In una società addormentata in cui la politica è gestita da manager e amministratori delegati, dove il cittadino è diventato “consumatore” ed ogni rapporto è tradotto in chiave di efficientismo economico, l’opera di Brecht è un pugno nella coscienza di ciascuno. La sua forza è rimasta intatta, dalla pagina scritta alle mitiche rappresentazioni di Strehler sino al suo ritorno sul palcoscenico del Piccolo. Michieletto non stempera il linguaggio – reso più crudo da una nuova traduzione – non cerca di tradurne il messaggio con riferimenti all’attualità (non ce n’è bisogno) e declina la storia secondo una coerente e fedele lettura dei canoni del teatro epico. La storia di Macheath e delle sue puttane, dei poliziotti corrotti e degli sfruttatori, è ambientata dal regista in una gabbia di prigione che chiude il palcoscenico e al cui interno si svolge il processo al ladro “borghese”: i tre livelli del discorso teatrale brechtiano (colloqui, apologhi e canzoni) sono ben differenziati e rivissuti all’interno di una dinamica processuale di grande forza evocativa. I dettami del teatro epico sono rispettati in tutta la loro forza straniante da una compagnia ben affiatata e consapevole di ciascun ruolo. E così i personaggi risultano ben delineati senza perdere la loro carica originale nella rilettura di Michieletto, anzi, i contorni più mediterranei dei caratteri, ne amplificano cialtroneria, ipocrisia e violenza: dal Peachum spavaldo come un guappo di Gomorra alla sua consorte che incarna l’untuosità borghese di un moralismo che chiude gli occhi sull’origine dei propri denari, dai cialtroni della banda di Mecheath alla speculare petulanza e stupidità di Polly e Lucy, dalla vigliaccheria di Brown che diventa la parodia dell’autorità quando si maschera in alta uniforme al Macheath – forse un po’ troppo delinquente di strada, lontano dalla raffigurazione brechtiana che lo voleva specchio dell’ipocrisia borghese – anch’egli diseredato tra i diseredati, sino al Cantastorie che ha l’aspetto di Brecht in persona ad accentuare lo straniamento narrativo. Su tutti emerge però la Jenny di Rossy De Palma, la bizzarra musa di Almodovar, ad interpretare la miseria e la paradossale innocenza della puttana che con onesta disonestà svolge la professione. Ma L’Opera da tre soldi è anche, nel suo genere, un grande capolavoro musicale: Kurt Weill mescola sapientemente le suggestioni del jazz americano e il cabaret berlinese degli anni di Weimar con il linguaggio della musica alta di cui recupera forme e tecniche. La parte musicale è affidata ad un ensemble ridotto, formato da musicisti dell’Orchestra Verdi, diretto dal Maestro Giuseppe Grazioli, esperto nel genere e molto bravo nel non indulgere nella tentazione di trasformare l’opera di Weill in qualcosa di simile all’opera lirica. L’Opera da Tre Soldi, infatti, non può essere accostata all’opera tout court e nemmeno al musical: nulla di più insopportabile, infatti è ascoltare le canzoni e i corali eseguiti da voci impostate e liriche, incapaci di allontanarsi dal ritmo e dalla melodia per “parlare” attraverso le note e sferzare il pubblico. Brecht precisa che le parti cantate debbano essere ben distinte da quelle recitate, senza alcuna immedesimazione: l’attore che canta deve dare l’idea di fermarsi e cantare rivolto al pubblico, proprio per veicolare il messaggio che l’autore gli affida. Si deve percepire l’artificiosità del canto che è momento sospeso. Michieletto, che ritroviamo quale grande regista teatrale, ha curato con particolare attenzione questo aspetto, anche optando – come richiesto dall’autore – per attori che cantassero e non cantanti che sapessero recitare. Alla fine un buon successo, forse non paragonabile a quello che accompagnò le mitiche rappresentazioni di Strehler, ma oggi si deve scontare un pubblico non più abituato a sentirsi scuotere a teatro. Un pubblico politicamente anestetizzato da perbenismo e comodità che forse, come scrive Brecht, è più disgustato nel vedere la miseria che essere complice nel crearla.

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23 pensieri su “L’Opera da tre soldi: Brecht torna a Milano.

  1. ero presente anche’o alla medesima rappresentazione. A suo tempo vidi al Piccolo (e non al lirico dove venne proposta negli anni successivi) l’allestimento di Strehler. Preciso quello con Milva, del precedente e primo ebbi dettagliati racconti da chi mi accompagnava. Ho fischiato e riprovato senza pietà Michieletto regista d’opera, assolutamente incapace di cogliere senza caccole ed inutili superfetazioni il dramma ed il contorno del Ballo, nell’opera da tre soldi non posso dire lo stesso. Posso dire che non sono andato in estasi perché un Peachum da Forcella, un Mackye Messer che non è bello e non è gangster piuttosto che una Jenny che potrebbe battere le Ramblas mi creano qualche perplessità. Ma sarei di parte a dire che lo spettacolo non giri e non faccia centro. Il punto è un altro e lo “giro” ai lettori del sito ovvero le ragioni per cui un Michieletto fa centro nell’opera da tre soldi e faccia un orrendo sfondone sempre e comunque quale regista d’opera. Sono curioso di sentire il pensiero di altri. saluti dd

    • Ti dico il mio pensiero – che già conosci – e poi lascio spazio ai lettori: perché la prosa è ancora teatro di idee e non di soldi… Di denari ne girano infinitamente meno che nell’opera è un regista deve operare col poco che ha, ossia il testo, gli attori, tante prove e tante repliche. Michieletto è tecnicamente un bravissimo regista (e lo dimostra anche nell’opera dove sa far muovere anche i sassi e sa raccontare storie), ma il linguaggio operistico non è quello teatrale perché le ragioni del canto e della musica hanno una rilevanza fondamentale. Anche Stein è un gigante del teatro ma nell’opera è disastrosa: pochi registi hanno saputo sdoppiarsi e penetrare i diversi linguaggi…certamente Strehler e Ronconi

    • Ho riletto ieri sera le note di Brecht sulla rappresentazione del suo lavoro: Macheath non deve essere “bello”, ma apparire borghese e presentabile proprio per mostrare la corruzione della sua classe. L’unico appunto che mi sento di fare a Michieletto è questo: un Macheath già diseredato perde un po’ della sua carica.

    • Credo che i registi di prosa “prestati” all’opera (ne cito un altro: Nekrosius, strepitoso nella prosa, innocuo quando non imbarazzante nell’opera) vi si “prestino” esclusivamente per ragioni alimentari e penso anche che alcuni committenti ne esasperino deliberatamente le libertà, allo scopo (dichiarato) di testimoniare la vitalità del teatro, con il fine (neanche tanto occulto) di trovare un comodo parafulmine per spettacoli musicalmente zoppicanti.

  2. Buongiorno, scrivo per la prima volta su questo bellissimo blog e approfitto per fare i complimenti agli autori delle recensioni sempre interessanti e ben scritte.

    In questo caso intervengo perché non mi ritrovo molto con i commenti postivi alla nuova versione milanese dell’Opera da Tre Soldi. Ho trovato superficiale la regia, fastidiosa – oserei dire repellente – la traduzione del testo di Brecht (perché tante parolacce anche quando non essitono nel testo originale?), inadeguati molti degli attori. Forse per i molti che non hanno visto la versione di Strelher, come me, sarebbe stata più interessante una ripresa di quell’edizione, piuttosto che questa versione, a mio parere, scialba e fondamentalmente contraria alla poetica di Brecht (emblematica in tal senso la scena dei mendicanti/immigrati, buona per l’apertura di un a talk show televisivo ma fuori contesto rispetto allo stile e al contenuto dei lavori di Brecht).

    Ho trovato molto buona l’esecuzione musicale, anche se le voci amplificate dei cantanti non erano il massimo.

    Sull’opera in generale trovo che con il tempo la parte che è invecchiata di più sia il testo, salverei quasi solo le canzoni, mentre la musica è immortale. Forse il vero genio tra i due era Weill…

      • Personalmente ritengo Brecht un autore sopravvalutato, per ragioni palesemente socio-politiche. E comunque la storia del teatro non ha come unici vertici Sofocle e Shakespeare, ma è ricca di altri autori non meno grandi, per esempio Calderon de la Barca e Pirandello, tanto per citare i primi che mi vengono in mente.

          • Vorrei chiarire che il mio non è un giudizio meramente estetico, ma prende in considerazione l’importanza dell’autore come punto di snodo della storia del teatro: è ovvio che sono grandissimi autori Pirandello, Goldoni, Marlowe o tantissimi altri, tuttavia Sofocle, Shakespeare e Brecht restano pietre angolari nella costruzione letteraria del genere, tanto che restano sempre attualissimi nel veicolare questioni, dubbi e problematiche che trascendono i secoli. Nello specifico trovo che il messaggio di Brecht sia oggi ancora più forte: in un mondo – il nostro – che sta perdendo la propria identità morale e sociale. Brecht è un pugno nello stomaco all’ipocrisia e alle mistificazioni della realtà virtuale che ha sostituito la vita vera.

  3. Preciso meglio il mio commento.
    Tengo per me il giudizio sull’attualità o meno dei testi di Brecht, volevo solo dire che come opera artistica, a mio parere, l’Opera da tre soldi è grande più per la musica che per il testo teatrale. Almeno questa è l’impressione che ho avuto vedendo lo spettacolo e capisco che molti possono non essere d’accordo. Mettiamoci pure che, sempre secondo me, la messa in scena politicamente corretta e da film di hollywood del regista e la recitazione di certi attori non hanno aiutato.

    Quello che invece trovo veramente fastidioso è la forzatura del testo attraverso una traduzione che trasforma il linguaggio di Brecht nello stile di una serie tv americana. Capisco qualche licenza nei dialoghi, ma perché anche nelle canzoni? Per fare un esempio, nel duetto della gelosia tra Lucy e Polly fioccano le “merda secca” e le “troia” che nel testo originale non ci sono. Ma si può? A me al giorno d’oggi non sembra né bello, né intelligente né provocatorio…

  4. E’ tantissimo che non vi scrivo più, anche se vi leggo sempre per tenermi informato sulle cose (tragiche e che in genere condivido) del mondo dell’opera. Vi scrivo perchè sono rimasto così indignato dalla rara bruttezza, insipienza, vorrei dire orrore, dello spettacolo di Michieletto che sono veramente dispiaciuto di non trovarmi d’accordo con Duprez, che in genere apprezzo molto.
    Ripeto, nella mia quarant’ennale esperienza di spettatore e frequentatore di teatro non ho mai visto niente di più orribile. Gli attori abbandonati a se stessi (alcuni per’altro ottimi attori, visti in altri spettacoli come ad esempio Marco Foschi, che, mi hanno detto, alla prima aveva perfino vergogna a farsi vedere talmente non era convinto. Infatti anche nello spettacolo si vedeva tutto il suo disagio).
    Caro Duprez, sono d’accordo sull’importanza e l’attualità che ancora conserva il teatro di Brecht (basterebbe vedere, sempre in questa stessa stagione, “Puntila e il suo servo Matti” nel bellissimo spettacolo dell’Elfo) ma davvero non vedo tutto quest’entusiasmo per uno spettacolo che più brutto, sbagliato, costosissimo probabilmente, non potrebbe essere. Ovviamente la sua opinione è rispettabilissima, cone qualsiasi opinione,ma mi permetto di scriverle perchè in genere sono d’accordo con tutto ciò che argomenta. Tranne però su una cosa: quando fa dell’ironia su “Verdi che pianse ed amò per tutti” (come scrisse il Vate)…ebbene io sono d’accordo e, se mi permette, va bene riscoprire autori dimenticati (magari della così detta “giovane scuola”) ma Franchetti (per esempio) “non pianse ed amò per tutti”
    Saluti cordiali, Antonio

    • Caro Antonio, ciascuno ha la propria opinione, legittima e rispettabilissima: è il bello della discussione. A me lo spettacolo è piaciuto per tutte le ragioni che ho esposto.

      Su Verdi che “pianse e amò per tutti” voglio precisare che non è ironia su D’Annunzio (che anzi è tra i miei autori favoriti) o su Verdi, ma sull’icona verdiana che molti suoi presunti esegeti raccontano.

  5. Vista l’altra sera, attesa tanto e… delusione cocente! Premessa: amo Brecht e condivido il pensiero su di lui espresso da Duprez. Amo particolarmente anche Weill, musicista di grande classe e di vera arte che ha saputo scrivere musica “alta” anche con orchestre da cabaret e che è forse il più grande inventore di melodie che si imprimono nella mente insieme a Gershwin, Cole Porter e Bernstein.
    Veniamo al punto: Michieletto ha un’intuizione a suo modo geniale – partire dal finale e fare il processo a Mackheath rappresentando l’opera come un grande flashback. Confesso che all’inizio ho sognato… ma poi Peppe Servillo ha cominciato a cantare e i conti hanno cominciato a non tornare. Mi spiego. Grazioli dirige magnificamente, l’orchestra è splendida ma quando si canta qui si canta male. Che senso ha fare di Polly una pigolante sopranina (ho usato apposta il femminile) che canta impostata e non prende le note che deve? Che senso ha la debordante e imbarazzante volgarità di Jenny che arrivata alla fine di Jenny dei pirati vomita un gutturale “hoplahhhhh” degno del corvo rockefeller (ve lo ricordate?) che tradisce completamente il senso. Non c’era nessuno in Italia in grado di fare meglio? credo di sì. Mackheath sembra capitato lì per caso e vien quasi voglia di consolarlo per le sventure che gli capitano e di cui ovviamente non ha colpa, con buona pace della sua presentazione nella Moritaet..
    Più in generale sembra che il lavoro sugli attori da parte di Michieletto non ci sia stato (e se c’è stato non si è visto proprio). Jenny sembrava uscita da un film di almodovar (che strano) Servillo ricalcava il fratello ne “la grande bellezza” ma senza andare sopra le righe (ne’ carne ne’ pesce) le di Polly ho già detto, Lucy appena meglio. Restano Jackie Brown e la signora Peachum: ottimi ma spaesati.
    Il teatro ha dormito per buona parte della rappresentazione, il rumore del russamento arrivava con chiarezza… neanche un applauso a scena aperta, con quella musica!!!, solo qualche risolino al duetto Polly Lucy, segno che la coprolalia è il sistema più semplice per strappare applausi. Chi non aveva visto l’edizione di Strehler sentenziava che “oggi Brecht non si regge, che il mondo è cambiato” e altre amenità consimili… come dargli torto?

    Mi è stato detto che Michieletto ha voluto questa modalità di recitazione e canto che esclude anche lo sfondamento della quarta parete per fare una regia lontana da Brecht: ma allora perché metterlo in scena?
    Un’ultima nota: qualche mese fa a Roma ho assistito alla Mahagonny con la regia di Vick, beh, il risultato era ben diverso e la sferzata sociale appariva in tutta la sua cruda grandezza…

    • diciamocela tutta michieletto è molto un falso mito e se nell’opera fa sfondoni qui il testo e forse la sua conoscenza del teatro (son tutti figli di Strehler o almeno lo conoscono bene per averlo visto in tv) lo salva e poi… scusate il cast mica è quello che nelle due edizioni ebbe a disposizione Strehler. Scusate ma volete mettere Gianrico Tedeschi con Servillo…… eppure quando vidi l’opera da tre soldi nel 1973 qualcuno storceva il naso su Milva perché Milly era spontaneamente “donnaccia” mentre l’altra risultava un po’ troppo studiata ed impostata dal regista…. d’altra parte quando Milly fu Jenny era da sola una GRANDE, Milva lo divenne grazie al lavoro duro e strassante con il regista triestino. Insomma parlando di opera il rapporto ed il confronto Olivero / Kabaivanska.

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