Il 12 dicembre 1910 Fanciulla del West ebbe la prima rappresentazione a New York con un cast stellare non solo nei primi ruoli (Destinn, Caruso, Amato) e nel direttore Toscanini, ma nelle parti di fianco, affidate a prime parti quali de Segurola e Didur. Nel successivo mese di gennaio Toscanini diresse la prima italiana anche in questo caso con cantanti di primissimo piano quali Eugenia Burzio, per gusto e repertorio piuttosto simile alle Destinn affiancata da due primi uomini già famosissimi come Amedeo Bassi e Carlo Galeffi. Anche a Roma le parti di fianco videro schierate prime parti quali Nazzareno de Angelis. Seguirono in tempi brevissimi le prime rappresentazioni nei teatri italiani e sud americani. L’opera ebbe, invece, più scarsa e lenta diffusione nei paesi di lingua tedesca. Diciamo anche che dopo il primo quinquennio il titolo non conobbe la diffusione a tappeto di Tosca o Butterfly. Aveva –forse- ragione Gatti Casazzi quando diceva che Fanciulla e Trittico (altra opera con prima nuovayorkese) richiedevano tante e valide parti di fianco, ricchezza di allestimento e quindi costavano troppo. Non dimentichiamo, poi, che questo titolo pucciniano deve la propria costanza di rappresentazioni alla volontà di grandi direttori, partendo da Cleofonte Campanini (Chicago ed in tour per gli Stati Uniti dal 27 dicembre 1910 e con il debutto nel ruolo del primo Ramerrez italiano ossia Amedeo Bassi), Edoardo Vitale (Buenos Aires 25 luglio 1911 con la Agostinelli, Ferrari Fontana e Titta Ruffo), Serafin (Scala di Milano) per arrivare a Mitropoulos. Un caso a parte è rappresentato da Vincenzo Bellezza, sulla cui rilevanza di carriera rinvito chi legge ad informarsi e che venne sempre ritenuto – a torto o a ragione- in quanto assistente di Toscanini alla prima italiana l’interprete autentico del titolo dopo il maestro.
Fra pochi giorni, Fanciulla verrà riproposta in Scala e stando alle cronache il fatto rilevante sarà che finalmente sentiremo il titolo come lo scrisse e licenziò Puccini e non come lo accomodò e preparò Toscanini per la prima rappresentazione americana e, credo, italiana. Al momento sembrano – e ce ne saranno le ragioni- in secondo piano gli altri elementi ovvero direttore, cantanti (parti prime o di fianco) ed allestimento.
Per parte mia mi sembra doveroso porre alcuni interrogativi davanti a tanta anticipata estasi per la Fanciulla come la scrisse Puccini, ossia: l’assenso, tacito od esplicito, ossia il dissenso dell’autore, che era presente alla rappresentazione ed alla concertazione, e più ancora a che spartito si attennero gli altri primi direttori e concertatori di fama e scientia pari o superiore a Toscanini (trattasi ripeto di Campanini, Vitale e Serafin), perché ho seri motivi puramente temporali di ritenere che Campanini abbia eseguito Toscanini e più ancora che Puccini, se lo avesse ritenuto, non sarebbe intervenuto, magari dopo la prima, nelle presunte manomissioni toscaniniane.
In difetto di questi elementi l’operazione diciamo filologica è incompleta (ignorando il confronto fra una serie di esecuzioni, che sono tutte prime esecuzioni ed il cui materiale può ancora esistere ed essere consultabile) o, peggio ancora, svela quale interesse principale non già restituire il maltolto, ma più commercialmente, fabbricare una nuova “edizione critica” e rinnovare la durata del relativo copyright.
Sono interrogativi che giro e vorrei condividere con chi legga.
E me ne ritorno agli scopi istituzionali – si fa per dire, perché noi stessi non sappiamo sempre quali novità potrebbe riservare il futuro anche prossimo- ovvero ai primi interpreti del titolo pucciniano, per intenderci quelli che lo proposero nei primi quindici/venti anni di vita e che ne registrarono dei momenti solistici.
Come accadrà con Turandot nessuno degli interpreti della prima, benchè assidui frequentatori dello studio di registrazione, consegnò la loro esecuzione. Lo stesso valga per Toscanini, che non eseguì dopo la serie di prime esecuzioni e registrò mai Fanciulla. Eppure è noto che un altro immenso della bacchetta come Mitropoulos soleva eseguire per sola orchestra il primo atto.
Aggiungo anche che ricostruire Fanciulla attraversa i numeri solistici è un’operazione almeno riduttiva e parziale perché i personaggi, a partire dalla protagonista, diventano tali grazie a come dicono ancor prima che cantano. Non sarà un caso che le Minnie più famose del primo trentennio di vita dell’opera a partire dalla Burzio fossero attrici cantanti quali la Melis e la Dalla Rizza. Della prima italiana restano le esecuzioni degli amorosi. La testimonianza di Eugenia Burzio, malgrado sia abbassata di mezzo tono (il do5 non era proprio una folgore ed una sicurezza) testimonia i pregi ed i difetti della cantante che sino all’ultimo si dubitò, per motivi di salute, cantasse la parte. Nonostante il successo la Burzio limitò alle recite romane il ruolo di Minnie e la Minnie ufficiale ed acclamata per un quindicennio sui palcoscenici italiani fu Ernestina Poli-Randaccio. Il soprano ferrarese, prima interprete in Scala sotto la guida di Serafin il 9 dicembre 1912, e cantante davvero unica per qualità e quantità del mezzo oltre che per il controllo dello stesso, aveva tutte le caratteristiche per essere l’interprete paradigmatica del ruolo: voce di grande volume, facilissima e penetrante in alto, varietà di colori, compreso nel racconto, una certa mignardise, cara ai soprani pucciniani, che la utilizzavano per rendere la femminilità e la poetica delle “piccole cose” che accomunano tutte le eroine pucciniane. Non per nulla le femministe detestano, da sempre, Puccini e la sua immagine di donna.
Il disco documenta anche il primo protagonista italiano ovvero Amedeo Bassi, che “caruseggia” aprendo un poco i suoni in prima ottava, senza che ciò comprometta il registro medio alto. Bassi era molto, molto meglio quale tenore da repertorio ottocentesco. Ma le esecuzioni degli ariosi più aderenti al personaggio, che è il bel tenebroso gaucho (quel personaggio che renderà famoso di lì a poco Rodolfo Valentino) vengono da tenori di imposto ottocentesco come Giovanni Martinelli, che esordì nel ruolo prima di debuttare e restare al Met, al quale Toscanini imputava, però di “cantare troppo” la parte, o da Antonio Cortis ed Hipolito Lazaro tenori da melodramma ottocentesco che il gusto del tempo obbligò ad altro repertorio. Ma siamo limitati agli ariosi, che sono tali e non rappresentano l’essenza del ruolo, che resta il declamato. Chi fa realmente centro per lo splendore vocale, i colori, la morbidezza da un lato, e dall’altro per lo squillo e lo slancio è Bernardo de Muro. La negazione fisica del bel tenebroso!
3 pensieri su “Fanciulla del West alla Scala 1”
Lascia un commento
Devi essere connesso per pubblicare un commento.
Siccome non credo che i filologi siano capre ignoranti o idioti patentati – come costantemente vedo affermare con tanta sicumera – sono certo che chi ha curato la nuova edizione della Fanciulla (impiegando diversi anni della propria esistenza, pur grottesca per qualcuno) abbia confrontato le diverse edizioni a stampa, l’autografo, le bozze, le annotazioni toscaniniane e, addirittura, credo pire sappia leggere, scrivere e far di conto… La storia delle modifiche di Toscanini è risaputa: il direttore mise mano all’orchestrazione probabilmente per risolvere i problemi contingenti della sala del vecchio Met (che pare avesse un’acustica non ideale), nell’occasione praticò raddoppi, tagli, aggiunte e – lasciandosi prendere la mano – modifiche più sostanziose. Puccini non presenziò alle prove ed arrivò a New York a cose fatte, tanto che non trascrisse gli interventi sulla sua copia. La partitura così venne affidata agli stampatori Ricordi che non si premurarono certo di distinguere gli interventi dai normali appunti esecutivi e così riportarono tutto nell’edizione (traducendo anche in modo approssimativo dall’inglese). Poi l’opera non ebbe grande diffusione (almeno non come Tosca o Butterfly): Puccini non intervenne più, probabilmente soddisfatto dell’effetto generale. Oggi, con una conoscenza più approfondita delle fonti si vuole semplicemente far sentire l’opera così come concepita dall’autore prima di modifiche contingenti: nulla di più, nulla di meno. Non ci vedo alcuno scandalo né alcun delitto. Quanto agli assensi taciti o espressi credo non rilevino in questo caso (se si dovessero osservare tutte le volontà degli autori gran parte del repertorio dovrebbe andare al macero). Peraltro tutto questo zelo non mi pare venga profuso quando certa tradizione contravviene a precise indicazioni autoriali, anzi vengono difese ad oltranza in nome di non si sa bene quale attaccamento a valori tradizionali (anche se magari certi acuti o certi tagli o certi interventi o certi trasporti vengono espressamente criticati dal compositore: ma tant’è…ognuno tira l’acqua al suo mulino). Trovo però sintomatico di un certo atteggiamento – riscontrato solo nel nostro paese – questa assurda e insensata dietrologia sull’edizione critica in sé, come se non fosse tipico di ogni disciplina rivedere e aggiornare le edizioni in base all’approfondimento sulle fonti (i classici della letteratura sono pieni di esempi e non c’è bisogno di scomodare i greci o i latini: anche Celine e Tomasi di Lampedusa oggi si leggono in edizioni critiche che hanno ripristinato l’originale purgandolo dagli interventi dell’editore). C’è anche da dire che nessuno di quelli che si scandalizzano per le edizioni critiche di Rossini, Verdi, Bellini o Donizetti, mostrano altrettanta riprovazione per le edizioni a stampa di Beethoven, Schubert, Mozart, Handel o Wagner che da molto tempo godono di edizioni rinnovate (e “critiche” ebbene sì) senza suscitare drammi collettivi o pubbliche reprimende. Perché è normale che ciò accada. Francamente non vedo lo scandalo di offrire un testo privo di errori o fornito di varianti, così come ripristinare la scrittura originale prima di interventi altrui. Anche nel caso di Puccini che, pur nella differenza dei tempi, non capisco perché non possa godere di un trattamento analogo a quello di Mozart o Rossini. Peraltro si tratta di correzioni che non stravolgono nulla (proprio su Fanciulla ci sono lettere di Puccini che indicano la volontà di ripristinare certi passi)…altre volte sarebbe interessante fare un po’ d’ordine, come nella Butterfly la cui versione eseguita non appartiene ad alcuna redazione d’autore, ma è frutto di un collage. Alla Scala poi nessuno ha mai detto di voler eseguire il “vero Puccini senza gli sfregi di Toscanini”, semplicemente si vuole offrire uno sguardo diverso ad un’opera di repertorio, conosciuta e testimoniata…non ci vedo davvero nessuno scandalo.
diciamo in prima battuta che la tua opinione su Toscanini è la medesima che io ho dei filologi musicali. E sai bene che ho anche dei motivi, puoi non condividerli. Ovvio. Il punto di partenza e di errore dei filologi musicali è ragionare da prof di lettere che credono aver davanti il testo della Gerusalemme liberata o del Tieste od anche per essere prossimi a noi di Sorelle Materassi. Solo che una partitura di un titolo musicale non è un testo letterario, ma un qualche cosa che deve essere mutuato dall’esecutore per il suo pieno apprezzamento. Leggere la partitura non è come leggere la Gerusalemme liberata. La lettura consente di cogliere il lavoro letterario al 100% quanto al lavoro musicale la percentuale è molto molto più bassa. Dobbiamo sempre tenere conto che l’esecuzione e l’esecutore abbiano una certa importanza ed influenza nella vita di una partitura. L’idea che un titolo musicale nella sua interezza ed integralità sia solo quello che l’autore ha licenziato per la prima e se mai lui solo ha esercitato il diritto di rivederlo è quanto meno riduttiva. Molto comoda aggiungo perché esclude molte operazioni di ricerca e riesame. Poi potrà contrastare con ideali ed idealismo, ma l’opera lirica vive della sua esecuzione e per il mezzo dei suoi esecutori. E se Puccini, che dubito avesse “paura e timore di Toscanini” avesse ritenuto di mettere le mani e di stoppare Toscanini nessuno in sede di stampa dello spartito avrebbe potuto impederglielo credo. Evidentemente gli andava bene così. Quando volle rifare e rimaneggiare lo fece. A partire da Butterfly
A prescindere dalle mie idee su Toscanini (che non mi piace a livello interpretativo, ma che non mi sognerei mai di definire incapace a fare il suo mestiere) e alle tue sui filologi musicali (che peraltro svolgono un lavoro scientifico e neutro rispetto alle scelte interpretative), direi che l’approccio al testo musicale DEVE essere identico a quello di un testo letterario. Entrambi sono espressione di scelte precise e come tali devono essere fedelmente riportati in stampa, purgati dei tanti errori che inevitabilmente si sono accumulati nel tempo e forniti, laddove possibile, di varianti e studi. La fruizione ovviamente è diversa, ma la base è la medesima: un testo scritto che corrisponde alla volontà dell’autore. Poi è ovvio che le cose mutano nel momento esecutivo (ma anche in quello della lettura a dire il vero). Un testo corretto ed emendato è necessario per poi lasciare all’interprete i suoi diritti. Non si devono confondere gli accidenti esecutivi (interventi postumi tollerati o meno dagli autori) con l’originale o le revisioni del compositore che è e resta l’unico legittimato all’interpretazione (e revisione) autentica della sua opera. Che poi cantanti, direttori, registi, impresari etc. siano intervenuti successivamente attiene alla storia esecutiva, ci interessa storicamente e culturalmente, ma non può e non deve costituire precedente vincolante. Peraltro tutte le edizioni critiche danno ampio rilievo alla storia esecutiva e, spesso, comprendono in appendice varianti e interventi successivi. Ma il caso di Fanciulla è diverso ovviamente. E’ chiaro che Puccini non avrebbe subito alcunché da Toscanini (nel 1910 poi) se non fosse stato d’accordo con gli interventi del direttore, ma resta il fatto che di interventi del direttore si tratta e che la maggior parte di essi probabilmente è dovuta a motivi contingenti e legati alla sala del vecchio Met. C’è anche da aggiungere che non tutto è stato ben riportato e tradotto dai copisti Ricordi e che, pure, l’opera in Italia non ebbe la diffusione sperata e fu, in parte, abbandonata dall’autore. Ma non è questo il problema: è chiaro che non si può parlare di “errori” nella versione “tradizionale”. E credo neppure l’edizione critica si presenti così: non so, non l’ho letta, ma immagino che le “varianti” toscaniniane siano segnalate ed evidenziate, non certo espunte. C’è da dire che pure l’operazione milanese non nasce per mostrare la Fanciulla “autentica”, ma semplicemente di offrire una versione differente (soprattutto nei brani reinseriti). Gli stessi problemi si porranno con Manon e Butterfly, e pure Rondine…per Turandot in modo diverso. Ma non è vero che non c’è bisogno di ricerca filologica su Puccini: trovo molto interessante poter ascoltare edizioni differenti di opere stra conosciute. Poi, parliamoci chiaro, credo che la maggior parte delle circa 1.000 varianti (tra autografo ed edizione a stampa) non sarà percepita.