Lo scorso mese di novembre ho assistito, nell’ambito della Sagra Musicale Malatestiana (una di quelle iniziative, che propongono un’immagine della provincia italiana radicalmente diversa rispetto alla vulgata corrente), a un’esibizione del pianista Ramin Bahrami, specialista bachiano, e in quanto tale titolare di un contratto in esclusiva con la Decca e regolare ospite di festival specialistici e non, manifestazioni televisive et consimilia. In programma le Variazioni Goldberg, una delle pagine più vertiginose e terribili del compositore di Eisenach. L’esito di quella esecuzione mi ha indotto a riflettere, da un lato, sull’importanza di una promozione capillare e martellante nella costruzione della carriera di un artista, perfino in un campo, come quello pianistico, in cui la critica di settore è per tradizione molto meno indulgente di quella ultimamente in auge con riferimento al teatro d’opera; dall’altro, sulla reale capacità da parte di manager, produttori discografici e addetti al marketing di vario genere e natura, di individuare e sostenere artisti, che siano in primo luogo degni esecutori delle musiche che sono chiamati a interpretare. Intendiamoci bene, un’esecuzione dal vivo non sempre può avere la levigatezza di un’interpretazione nata in uno studio di registrazione (benché i live di molti grandi esecutori, come Arturo Benedetti Michelangeli o in altro campo Joan Sutherland, si discostino poco o nulla dagli esiti in sala d’incisione), ma del pari non è accettabile un pianista, che chiamato a eseguire pagine brillanti “incespichi” regolarmente nell’esecuzione delle fioriture. Ho poi notato la tendenza, da parte di Bahrami, ad affrontare i passaggi di maggiore virtuosismo con brusche accelerazioni, quasi a voler far passare in secondo piano, in ragione della velocità dell’esecuzione, le mende della stessa. In effetti, questo affrettarsi denuncia un nervosismo di fondo che rende ancor più zoppicante l’esecuzione. Il tocco, genericamente delicato, e le scelte dinamiche molto limitate (un omaggio alla tradizione clavicembalistica? l’uso intensivo del pedale parrebbe escluderlo) completano un quadro tutt’altro che entusiasmante. Queste caratteristiche si ritrovano nell’esecuzione qui proposta del primo tempo del Concerto nello stile italiano BWV 971, pagina che non presenta soverchie difficoltà interpretative, ma ne pone di notevoli sotto il profilo tecnico, anche per la necessità di ricostruire, attraverso il solo strumento a tastiera, l’alternanza fra “tutti” e strumenti obbligati, tipica del concerto grosso barocco. L’esecuzione di Bahrami è tutt’altro che limpida (minuto 0:50) ed esemplare sotto il profilo ritmico (si ascoltino le appoggiature subito dopo l’esposizione del tema principale, o il passaggio attorno a 1:45), parca (a dir poco) nella scelta dei colori e potrebbe essere il frutto di una passabile lettura a prima vista, non certo l’esito di un interprete allenato e avvertito. Per ricordare in primo luogo a noi stessi quanta eleganza e forza possieda questa pagina proponiamo, a confronto, l’esecuzione (anche in questo caso dal vivo) di András Schiff, tra i più reputati interpreti bachiani della generazione immediatamente precedente a Bahrami. Forse neppure l’ungherese brilla per scelte interpretative uniche e irripetibili, ma nella sua esecuzione si ammirano la luminosità del tocco (senza che il suono risulti di limitata ampiezza) e la sicurezza del virtuosismo, per giunta accresciuto da abbellimenti che potenziano l’impatto della pagina, mettendo in luce, in uno con il genio del compositore, il talento dell’interprete.
Un pensiero su “Bach, Concerto italiano BWV 971: Ramin Bahrami vs. András Schiff.”
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Conosco Bahrami dal solo ascolto discografico: inizialmente era un pianista molto interessante anche se non particolarmente originale (il suo Bach iper tradizionale può avere i suoi amateur, ma incidere oggi l’Arte della fuga secondo l’ottocentesca edizione Czerny mi pare del tutto inutile), poi il personaggio si è sovrapposto al musicista e la sua storia personale di esule persiano ha aperto la via dei talk show (da cui è tratto l’ascolto) e di pseudo lezioni televisive in cui “insegna@ come Bruckner o Mozart siano compositori mediocri. Vabbè… L’ascolto proposto però non rende giustizia al comunque talentuoso Bahrami, trattandosi di frammenti televisivo di un programma non musicale in cui l’esecuzione di Bach era certamente svolta in pessime condizioni. Schiff invece resta uno dei più grandi interpreti bachiani di sempre, al cui fianco pochi possono permettersi di stare. Per il resto condivido pienamente la valutazione di Antonio su Bahrami