Non occorre una vasta cultura di storia del melodramma per comprendere come Don Pasquale rappresenti, sotto il profilo drammaturgico, un caso molto particolare perchè si tratta d’una commedia che ricalca quello che avrebbe potuto essere uno scherzo architettato nella buona società lombarda (ambientata a Roma, l’opera ha uno spirito lombardo come poche altre) ed affidata nell’esecuzione a quattro divi, chiamati in primo luogo a rifare il verso a se medesimi. Capito questo, don Pasquale deve essere eseguita con eleganza, morbidezza e varietà di colori e suoni orchestrali, grandi acrobazie vocali ed espressive degli esecutori, altrimenti diventa una rumorosa farsaccia. Ovvero esce massacrata dall’esecuzione.
In fondo gli ascolti prescelti per il solito commento musicale hanno questo scopo: spiegare come lo spirito di don Pasquale debba essere colto dagli esecutori.
Due delle scelte proposte furono anche i primi esecutori nel 1899 al Met (il vecchio Met) del capolavoro donizettiano. Dall’incunabolo si capisce che loro (don Antonio Scotti e Frau Sembrich) avevano chiaro quello che erano chiamati a fare. Gli esecutori dell’altra sera radiotrasmessi, applauditi dal pubblico, generosi nel concedere bis non hanno capito quasi nulla di quel che proponevano e non solo perché genericamente cantassero male.
Per alto non potevano essere indotti in quest’opera della bacchetta di Maurizio Benini (fra le due guerre in Italia il deputato specialista di don Pasquale rispondeva al nome di Antonio Guarnieri), che ha sbacchettato con secca pesantezza dalla sinfonia dove il tema della serenata era meccanico ed “organettistico” ed il crescendo finale rumoroso.
Poi abbiamo sentito subito per ricordarci deve fossimo finiti un’aria del dottor Malatesta (Levente Molnar) senza eleganza, con suoni indietro e faticosi in alto (alto molto relativo trattandosi di parte scritta per un consumato Antonio Tamburini). Al dottore risponde il Pasquale da Corneto di un certo volume (scrittura più che centrale anche questa) Ambrogio Maestri che nel duetto con il dottore ricorre a portamenti e pasticci. Maestri dà il “meglio” della sua interpretazione al terzo atto. Tale lo zio tale il nipote e bastano le prime battute del recitativo di sortita di Ernesto con suoni aperti, sguaiati e spinti di Javier Camarena per ascoltare la negazione dell’affettato damerino (caricatura di Mario, idolo del pubblico femminile del tempo) che, poi, alla cabaletta deve fingere strazio e duolo che erano la merce dei suoi personaggi seri. Alla cabaletta Javier Camarena, accompagnato a metronomo suona asfittico e manca di slancio ed i suoni nella gamma bassa (non certo quella dove Ernesto canta, ma talvolta capita) sono afoni e spoggiati.
La debuttante al Met Eleonora Buratto, mediocre Adina in Scala, cola a picco con la parte di Norina, che richiede ben altro rispetto alla contadinotta dell’Elisir. L’esecuzione della cavatina è squadrata con suoni asprigni al centro e prossimi all’urlo in zona alta, particolarmente nell’esecuzione delle volate, ossia distruggendo la sigla autentica della diva. E siccome il personaggio ha un suo accento oltre che una sua linea di canto l’accento è petulante e la petulanza si trasforma in suoni aperti in basso al duetto con il dottor Malatesta (“so ben io quel che ho da fare”). Al duetto la vocalizzazione è un po’ meglio che alla sortita, ma la petulanza delle vecchie soubrette (ovvero della negazione del soprano d’agilità per cui scritta la parte) sono davvero fastidiose. E non finiscono lì.
Il secondo atto, che si apre con la grande scena d’Ernesto dove il primo esecutore ovvero il bel Mario (all’anagrafe Giovanni Matteo de Candia) rifaceva il verso a se medesimo come uomo e come artista recitando la tragedia dell’esule, lui che a Parigi e Londra recitava la parte oltre che del bel tenebroso, per altro ben sorvegliato dalla gelosa Giulia Grisi, del mazziniano esule segna uno splendido “sfondone” filologico con l’esecuzione di una sola strofa della cabaletta letteralmente eseguita cui segue, poi, il bis con l’esecuzione ancora di una sola strofa, ma variata. Siccome quella cabaletta e più ancora l’intera scena hanno patito abbassamenti di tonalità e soppressione dell’intera cabaletta (solo che magari cantava Tito Schipa e non Camarena) nessuno scandalo, ma una siffatta pagliacciata non è oggi ammissibile e plausibile. Meglio la tradizione coerente di tagli ed abbassamenti che il risparmiarsi per poi -carità pelosa- concedere il bis. Quanto all’esecuzione è piuttosto piatta di colori e sfumature e la cabaletta amministrata in scena e buca in maniera molto meccanica. D’altra parte alla bacchetta di Benini dobbiamo la più meccanica, piatta e sciatta esecuzione di una dei titoli tragici di Rossini – Assedio di Corinto- sull’arbitrario presupposto che quello di Rossini non sarebbe mai un teatro serio. Qui un altro fraintendimento ovvero che la raffinata presa in giro dei divi dell’opera pensata da Donizetti tale non sia per essere, invece, una farsaccia di quelle che a Napoli il medesimo Gaetano Donizetti predispose per Gennaro o’pappone. E farsaccia è il secondo quadro quello del matrimonio per tragica beffa all’anziano don Pasquale dove primeggia la pessima esecuzione di Eleonora Buratto che emette suoni fissi e stonati quando deve simulare d’essere Sofronia Malatesta per poi gridare e spingere e pasticciare le figure ornamentali (parte scritta per la Grisi e ricca ornamentazione sono due sinonimi) degli “a parte” della disvelata Norina.
Direzione pesante, rumorosa e meccanica alla stretta insomma don Pasquale è Pasquariello di una brutta Napoli. Siamo in una immaginaria Roma abitata dai divi anzi i cyber divi del tempo, ma nessuno se lo ricorda.
Atto terzo possiamo ripetere quanto sopra, ovviamente. Quindi il coro dei servitori manca di ironia quando si parla del “nipotino” o del languore che il dire e non dire dei servitori impone. Maestri dà il “meglio” di sé alla scena dello schiaffo dove è volgare nell’incontro con Norina, da parte sua priva di eleganza e di legato nell’esecuzione de “la lezione è un po’ duretta”. Ancor più da spettacolo leggero il duetto Malatesta don Pasquale preceduto da recitativi piatti ed incolori e le due voci “pesanti” del don Pasquale devono essere perfette nell’esecuzione dei recitativi, come gli innamorati nei cantabili e nelle acrobazie. Ed invece la serenata è pesante perché in buca nessun descrive il clima del giardino della dimora romana, il caldo dell’estate, la sera e nel “tornami a dir che m’ami” manca il languore e la sensiblerie da ‘700 e da opera “antica” (Mario era, fra l’altro un appassionato della storia del canto a lui precedente) e quando arriva il rondò ovvero l’autocelebrazione della prima donna questa manca clamorosamente l’appuntamento!
6 pensieri su “Sister radio: Don Pasquale dal Met”
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Ne ho sentito circa 2/3 del primo atto, anche perchè dopo aver sentito quanto ho sentito non ho più avuto voglia di sentire altro.
Concordo sostanzialmente con Donzelli. Tenore debole, biancastro ed inadeguato all’opera (proviamo ad ascoltare l’Ernesto di un certo Alfredo Kraus! https://www.youtube.com/watch?v=twzci_sF5X8), accento nullo, idiomaticità idem. Soprano = sopranino ino ino ino ino, petulante ed incolore. Baritono senza infamia e senza lode. Alla fine il migliore mi è parso Maestri che almeno, prescindendo dalle idee interpretative e dallo stile, aveva una voce, era chiaro nella dizione ed aveva l’accento italiano che sapeva usare meglio dell’altra interpete italofona.
Ragazzi, ma davvero vi garba l’interpretazione della Sembrich ? Non sempre basta aver inciso un 78 giri… (A mio avviso la recita del Met non era poi così perfida: ho interrotto l’ascolto a metà solo perché il Don Pasquale è opera che mi interessa poco).
L’esecuzione della scala ascendente al do (in una cantante che aveva all’epoca trent’anni di carriera sul groppone) è semplicemente sbalorditiva e basterebbe da sola a giustificare, ove se ne sentisse la necessità, la proposta dell’ascolto. Ma ovviamente la signora Sembrich non ha l’opulenza vocale e lo slancio virtuosistico di Anna Pirozzi, giusto per citare l’ultima cantante oggetto, su queste pagine, di una tua appassionata e torrenziale difesa.
Diciamo che all’epoca dell’incisione aveva evidentemente perso lo smalto dei tempi d’oro ( oltre naturalmente a essere penalizzata dalla tecnica di registrazione ). Quanto alla Pirozzi hai frainteso ( non la Grisi che ha replicato in modo pertinente ): mi sono semplicemente chiesto come mai fischiare lei e non altre interpreti ( che invece sono state anche molto applaudite) e hanno cantato – in parti più agevoli – allo stesso modo o anche peggio.
Beh allora magari ti posso rispondere io. Perché il teatro, compreso il pubblico, non è geometria….reazione del pubblico inclusa.
Caro Donzelli, capisco la tua difficolta’ a dimostrare che il Met attuale non riesce a soddisfare appieno le aspettative di un pubblico oramai in sintonia con il malcanto, quello scaligero altrettanto se non peggio,
oserei dire che la partita è decisamente persa.
Ma agli smemorati di Collegno mi permetto di segnalare che anche di fronte ad esecuzioni per così dire storiche
come quella Torinese del 1988, con un cast stellare: Campanella dir. Dara, Serra, Corbelli, Bertolo, La scala oppose un altro cast memorabile: Bruscantini,Romero,Kraus e Serra, ma cannò sul direttore che fu Roberto Abbado, che riuscì a mio parere a rendere insulsa la sinfonietta, ma se riandiamo all’indietro, treoviamo che nel 1952 si imbastiva per il disco un cast Ottimo ed abbondante: Rossi dir. Bruscantini,Borriello, Valletti e Noni.
Allora i tenori abbondavano, da Schipa, a Valletti, Oncina, Araiza, Kunde, Benelli, e Kraus che li superava tutti, solo Winberg non era adatto, ma nessuno mostrava le lacune vocali ed interpretative che il met ha distribuito urbi ed orbi
Idem le Norine, si va dalla Freni, alla Sills, alla Peters,alla Scotto, alla Noni, Sciutti, Popp, perfino alla Mei, Serra.
in 28 edizioni che posseggo, il Donizetti che emerge è un grande compositore, che sa passare dal serio, al faceto, all’allegro, alla finta tristezza.
Ora se neanche queste esecuzioni si possono realizzare, che resta del melo-dramma ottocentesco ? qualche suffraggetta magari con ciuffo malandrino ?
poveri noi!