Roberto Devereux a Genova: un viaggio della speranza

Recarsi a Genova per assistere ad un’opera come il Roberto Devereux cantato da un soprano lirico leggero ormai settantenne è davvero, come lo ha definito un vecchio amico, un viaggio della speranza. Un viaggio dove sai che nulla potrà essere adeguato alla realtà del ruolo, ma soltanto l’ennesima prova vocale di un cantante particolarmente longeva e dove al più assisterai allo spettacolo, personalmente interessantissimo, delle sue manovre tecniche ed al dispiegarsi del suo pensiero frase dopo frase, battuta dopo battuta, per eseguire tutta la parte. Soltanto…ma oggi non poco. Qualcuno lo ha anche definito un modo poco ortodosso di andare a teatro, e ne convengo, ma il nulla che ci circonda è tale e tanto ormai che il viaggio della speranza, appunto, di passare una serata che desti qualche interesse e non susciti solo sentimenti di compatimento o riprovazione per chi sta sul palco sta in questo. In fondo, se a Londra vanno in scena stupri e violenza di ogni genere nella Lucia di Lammermoor, grazie alla compiacenza “artistica” di una moderna diva come Diana Damrau ( che siccome la Lucia ormai la parla e la strilla da anni pur avendo la metà degli anni della Devia non dice di no a nessuna nefandezza che un regista le proponga.. ) e corredati della garanzia di rimborso del biglietto da parte del teatro, è più accettabile ascoltarsi l’ultimo hit fuori parte della Lady di Ferro. La donnina minuta, e forse anche un po’ rimpicciolita dall’età, che nel finale dell’opera porta una parrucca bianca di capelli scarmigliati per sembrare più che vecchissima anche da lontano ( i 68 anni di una donna del cinquecento e non del nostro tempo…), è l’immagine della vecchia lirica che sbiadisce, già trasformata in un ricordo sempre più lontano che non riusciamo a trattenere pur con tutti i nostri artificiosi metodi di darle l’ossigeno.
Il tempo ha trasformato Lucia in Elisabetta, non perchè il tonnellaggio vocale sia diventato quello che la parte richiede, anzi, la voce è ormai la proiezione virtuale della tecnica, ma per la sua solitudine professionale. Mi piace sempre vedere quello che fa, mi piace vederla macchinare per inventarsi un accento drammatico senza essere né una cantante drammatica né una fraseggiatrice vera o mentre, caparbia, raggiunge il centro della scena, prende posizione sulle gambe e aggredisce il finale con tutta la sua forza di convinzione, volontà di essere e di fare: trovo tutto questo uno spettacolo!
Poi, diciamolo, per la Devia al ruolo di Elisabetta mancano i cantabili, quelli di cui Norma, invece, è piena zeppa e che da sempre, dalla Grisi alle Titjens sino alla Sutherland, hanno consentito a soprani gelidi o astratti di essere grandi Norme, mentre il Devereux lo lasciavano nel cassetto.
Dal Devereux una vecchia Kabaivanska, che col belcanto non ebbe mai molto a che fare, cavò una prestazione straordinaria proprio sotto il profilo dell’effetto scenico e del dramma sullo stesso palcoscenico genovese. Solo Beverly Sills, nei soprani lirico leggeri del tempo moderno, ha saputo essere un’ Elisabetta di valore assoluto, ma con lei e la sua voce tutta “punta” si era nel caso straordinario di una belcantista in grado di fraseggiare con la ricchezza e la varietà di invenzioni delle Callas, delle Olivero etc.
Mariellissima fa cose mostruose alla sua età in questa parte, che, salvo nei due momenti, “L’amor suo mi fe beata” e “Vivi ingrato”, le nega la possibilità di stare nel suo elemento, quello lirico, dove può ancora giocare col fiato, lunghissimo, i piani flautati, insomma usare le sue armi migliori. Il finale, atteso per tutta la serata, è il SUO momento, un concentrato di energia e sicurezza tecnica, quadratura musicale ed intenzioni pertinenti, che bagna il naso a tutte le sue nipotine oggi in attività. In quei dieci minuti finali il viaggio della speranza prende finalmente senso e le ragioni del perché lei vada avanti a cantare e noi ad andare a sentirla diventano una cosa sola. Il resto è stata “gestione” del ruolo, ossia cronaca, come il dato, oggettivo, che la cantante resista miracolosamente senza che un solo suono si rompa sotto la pesantezza dell’invettiva del II atto, “Va la morte”, scena grandiosa pensata per la voce, grande molte volte la sua, di una delle cantati drammatiche e straordinarie del primo ottocento, Giuseppina Ronzi. Della serata della Devia mi resta solo un interrogativo che mi è venuto in mente mentre cantava, ossia perche non scelga di esibirsi nella Lucrezia Borgia, assai più “cantabile” di questo titolo che col belcanto non c’entra nulla o quasi, e che darebbe maggior spazio al suo cantare.
Due parole sul resto della produzione. I signori sul palco sono stati, more solito, l’insalatina coreografica, nemmeno troppo fresca, attorno al piatto principale. Complessivamente, infatti, non è stato un bel Devereux,. La serata mi è parsa faticosa nel procedere, a tratti anche insopportabile ( il secondo atto ), mal cantata e diretta in una maniera che, anche quando poteva funzionare, era talmente servile verso tutti, da far si che Donizetti non stesse in piedi. L’orchestra quasi non si sentiva mentre il coro, sempre impreciso nelle entrate, cantava come una compagine di dilettanti. Possiamo comprendere che non si vogliano sopraffare i cantanti con l’orchestra, ma se sul palco c’è poco e si manca di vis drammatica qualcosa la buca dovrebbe metterci di suo, affinché il dramma scorra. Gli accompagnamenti al canto erano sempre con la sordina, mai intensi e coadiuvanti l’espressione ed il fraseggio dei protagonisti. Il giovane maestro manca dell’esperienza e di un certo senso del fare evidentemente: alle prese con un cantante vociante e fuori stile come il signor Di Felice, non ha saputo operare di forbici, non dico sul da capo della cabaletta, che ci saremmo volentieri risparmiati, ma almeno su quelle disgraziate code eseguite non posso dire come. Forse avrebbe farro piangere qualche integralista della filologia, ma avrebbe salvato le nostre orecchie e dato maggior ritmo alla serata. Del resto, va detto, il pubblico ha gradito tutto, si è molto speso per il signor Pop, che ha una voce importante ma ingolata e canta quasi sempre alla comemiviene, tutto forte, il fiato in disordine, le frasi buttate là senza stile ed espressione, per giunta il da capo della cabaletta variato, eseguito in maniera così grossolana da farci rimpiangere il taglio anche in questa occasione. Taccio poi della Sara della Ganassi, gorgoglii affannati in sortita ed il culmine al finale del duetto col baritono, una serie vera di urla , inadeguate a lei e alla sua carriera, ancor prima che a Donizetti.
Antoniozzi, un altro della compagine dei nipoti della Lady passato da tempo a mestiere diverso dal cantante, ha allestito con garbo un po’ di trovarobato del Carlo Felice. Le ristrettezze economiche di partenza non gli hanno impedito di essere pertinente, adeguato ed anche efficace, segno che le cose non si fanno con i soldi ma prima di tutto con la testa.
Morale della favola: la provincia vive ancora della stessa cantante di più di trent’anni fa e si garantisce un successo pieno in forza di una settantenne fuori parte. Ci restano solo i viaggi della speranza e null’altro.
Vi propongo l’ascolto della capostipite assoluta di queste prove fuor dal seminato, nello stesso ruolo tanto a lungo meditato, rimeditato e voluto ad ogni costo. Un capolavoro di espressione che francamente non trova pari come varietà di accento in nessuna esecutrice degli ultimi cinquant’anni.
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18 pensieri su “Roberto Devereux a Genova: un viaggio della speranza

      • Macché Muti… Palumbo agli Arcomboldi nel 2002, Bologna (2001, Callegari), Oviedo (2004, Arrivabeni), Ancona (2010, Guidarini). Ma credo che la Sig.ra Grisi non intendesse debuttare, bensì riproporre la Borgia.

          • vado oltre non capisco questa mania per quella che viene definita la trilogia tudor. Sarebbe il caso di offrire anche titoli come Maria di Rohan, Fausta, Parisina, che non hanno nulla da invidiare, anzi per essere chiari la Rohan è davvero un capolavoro!

          • Però la Trilogia Tudor ha un fascino che, con tutto il rispetto, Fausta, Parisina e la Rohan non hanno (Fausta poi è opera dimenticabilissima). Certo sarebbe il caso di valutare altri titoli donizettiani (compresi, naturalmente, i tre citati da Domenico): quindi la Cornaro, Belisario, Marin Faliero. Personalmente ascolterei volentieri Elisabetta, Il Furioso, Torquato Tasso. Atteso che – ne parlavamo anche di persona – il grande problema per quasi tutti questi titoli non è il soprano…

  1. Peregrinaggio ben ripagato…in felice compagnia dei vari amici della lirica da MIlano sino alla bassa padana , la recita di domenica 20 ha riscosso un caloroso e meritato successo e un riconoscimento alla inosiddabile Devia . Non posso che condividere l analisi tecnica e stilistica della Grisi..
    Aggiungo che la difficolta esecutiva e’ sempre risolta con intelligenza, tecnica ed eleganza….a dimostrazione che quando c e’ la sostanza ….la caparbieta’ ….si riesce a stupire pur ‘offrendo ,qualche acuto non sempre limpido ……mentre la linea del canto risulta sempre allineata, mai una sbavatura..il dubbio ce la fara’ ora? Ora stecca ? Prendera la nota?…amici questo e’ un usato super sicuro….
    Anche la Ganassi ha dato una splendida prova sfoderando tutta la voce , che si era sapientemente risparmiata, nel duetto con roberto ….
    Meritevole di nota anche il tenore stefan pop gia’ sentito in Norma a Napoli bel colore di voce qualche imprecisione o forse timore nel registro acuto….e bravo
    anche il baritono Mansoo Kim …. Cast piu’ che soddisfacente per accompagnare la Diva Devia…il.giovane Direttore Francesco Lanzillotta assai condiscendente coi tempi , forse un po troppo, ha guidato l orchestra del Carlo Felice.
    Spettacolo bellissimo elegante raffinato, splendidi costumi e luci, gesti sempre coerenti nessuna licenza e fedelta’ al libretto massima, hanno guidato la regia di Antoniozzi …Elisabetta imprigionata nel Suo ruolo di regina entra ed esce di scena sospinta sul trono , prigione dorata che la costringe e che impedisce ogni possibilita’ di libera espressione …ora la ragion di stato contro il proprio amore, ora l ira di donna tradita forte del proprio potere viene ‘ guidata’ial proprio destino
    Quattro mimi onnipresenti muovono ogni azione della regina ridotta a una bambola meccanica…. Chi puo peregrinare verso Genova lo faccia ; meritevole produzione….

  2. Concordo praticamente su tutto, e in modo particolare su Stefan Pop, (osannato – a partire dal regista – come un novello Caruso), e che ho avuto la sfortuna di ascoltare recentemente in Norma a Napoli. In quell’occasione mi è nato il sospetto – ovviamente non dimostrabile, ma… – che, prima che acclamato dal pubblico, fosse sostenuto da una claque ben organizzata, sospetto riconfermato a Genova. Quanto alla signora Devia, a parte il rispetto dovuto alla lunga e brillante carriera ed alla freschezza ancora sorprendente di certe note, ormai è tutto un arrampicarsi sugli specchi, interessantissimo, ed anche pregevole, dal punto di vista tecnico per come riesce a cavarsela, ma insufficiente in ruoli come Norma o Elisabetta nel Devereux, che richiedono uno spessore che probabilmente non ha mai avuto neppure in passato. Posso capire l’affetto per un artista giunto sul passo estremo della carriera, ma mi riesce difficile giustificare il “tifo” (Gruberova alla Scala docet, e qui non siamo molto lontano)

    • ma non diciamo cazzate! la Gruberova stona due acuti su tre, è grottesca negli accenti (non regno, non vivo fa sganasciare dalle risa detto da lei) bamboleggia un ruolo neanche si trattasse di Olympia. Mariella Devia , pur con una voce non adatta al ruolo, riesce a convincere e persino a commuovere in un finale “quintessenziato” e davvero sublime. Fraseggia senza far traudire la sua Lucia di Lammermoor (come invece capita ascoltando la Sills) e, insomma, pur senza essere la Gencer o la K abaivanska arriva a convincere! (ho assistito alla recita di domenica, trionfale)

        • sì , ma nel Devereux sbaglia spesso di misura. faccio un solo esempio. quando nel finale la Sills canta “nell’ultimo istante volgetevi a Dio ei forse perdono conceder potrà” è patetica e flebile (Lucia appunto) e non minacciosa e regale come la parte vorrebbe. La Devia una certa regalità e autorità, incredibilmente, riesce invece a suggerirla…

          • Billy…noooooooooo. ..ti prego noooooo….è supremaaaa! !
            Magari la devia fraseggiare come lei….senti le in traviata….la sills è superstraordinaria….la uccide con due frasi

          • Quel sangue versato come lo ha cantato la Sills,non lo ha cantato nessuno

  3. Premettendo che ho ascoltato i precedenti Devereux della Devia e non questo, devo dire che la Devia puntando tutto sulla misura e sulla tecnica riesce a uscirne dignitosamente rispetto alla concorrenza. Visto l’età non è poco, ma per me resta un’Elisabetta insufficiente.

    A onor del vero, nel concerto delle tre regine a Palermo la Mariella è stata più a suo agio proprio nel Devereux: Bolena molto modesta, Stuarda parecchio in difficoltà (proprio quel ruolo che è stato uno dei suoi più riusciti in assoluto!).

    La Devia non è mai stata entusiasmante, figuriamoci ora. Però è anche vero che negli ultimi tempi osa di più: sarà che è conscia della poca voce che le è rimasta (su cui però ha ancora un ottimo controllo) o sarà l’età matura, ma nell’ultima Devia sento un desiderio di “dire” che prima non avevo mai riscontrato. Il risultato, a mio avviso, resta comunque limitato, ma almeno almeno ci prova.

    Complimenti e rispetto alla signora per il fatto di arrivare alla fine ed essere una professionista instancabile, però resta un’impresa vana: non aggiunge nulla al personaggio e può farlo solo perché la concorrenza è morta, pensionata, oppure in età da pensione ma recidiva, oppure giovani star dalla vocalità mal assestata. Dunque trovo fuori luogo la santificazione recente per questa cantante che negli anni buoni, diciamocelo, non era esattamente la prima scelta ed era adombrata da altre.

    Trovo anche fuori luogo il confronto con la Gruberova che, per me, resta un’artista di livello superiore che, peraltro, ha interpretato splendidamente il ruolo per diversi anni (ancora nel dvd è di alto livello). Se il confronto è sullo stato di conservazione allora vince sicuramente la Devia, ma non mi sembra che il criterio abbia troppo peso nel giudicare un artista. Se il confronto è invece su altri piani il giudizio si rovescia. Oggi Edita è quello che è vocalmente (l’età si sente tutta), il suo osare e non voler essere noiosa e impersonale non le evitano certi eccessi, si ostina imperterrita e imprudentemente a cantare il ruolo che ha scelto come prediletto cavallo di battaglia ma di cui ha una visione personale. Discutibile? Certo, come come tutto e tutti. Aggiungo, onde evitare critiche, che dovrebbe ritirarsi o limitarsi a soli recital per rispetto del glorioso passato.

    Sicuramente verrà ricordata per i suoi primi tre lustri di Devereux e non per gli ultimi. Fortunatamente tra gli audio ci sono Barcellona 1990, Vienna 1990 (ancora meglio e pure con la parte integrale), quella “ufficiale” della Nightingale e anche il dvd che sono sufficienti a testimoniare la riuscita della Gruberova nel ruolo.

  4. Posso dire la mia? A me la Devia non è mai piaciuta quando cantava il suo repertorio, figuriamoci adesso che si mette a fare la tragica. Ero in teatro la sera del suo debutto nella Lucia a Treviso, nel dicembre 1973. Da quella volta l’ ho ascoltata una decina di volte in questo ruolo fra Venezia, Padova, Bologna, Milano, Verona e Ravenna. Non c’ è stata una di queste recite che mi abbia dato una qualche emozione. È sempre stata una cantante scolastica, monotona e lagnosa nella sua irreprensibile frigidità

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