In questi giorni dopo la radiotrasmissione della Norma partenopea si è aperta o forse innovata una mai spenta polemica circa la tradizione esecutiva dell’opera con relativi sostenitori e detrattori.
Nel video proposto, con la direzione di Franco Capuana si scontrano Giulietta Simionato arrivata al capolinea della carriera e Gabriella Tucci fiorente e splendente per la facilità del canto e a solidità dell’emissione pu,r in un ruolo che non conveniva pienamente ad un soprano lirico o lirico spinto al più, anche se aveva debuttato nel 1954 come Leonora di Forza del destino. Detto senza troppi giri di parole la Simionato non disponeva del prodigioso mezzo di una Stignani e neppure di Elena Nicolai non era integra, cominciandosi a sentire “lo scalino” fra la zona grave e gli acuti e, poi, Amneris era diventato un ruolo di repertorio solo dopo il ritiro della Stignani ed il precoce disfacimento della Barbieri, la vera voce di mezzo soprano. Anche la Tucci non disponeva del mezzo di protagoniste come la Cerquetti o la Price per parlare di voci autenticamente drammatiche o almeno spinte. Eppure eseguono ciò che devono eseguire Aida ed Amneris nel loro incontro scontro con grande sobrietà e linea di canto sorvegliata, che non concede nulla alla facile spettacolarità per il semplice fatto che le due cantanti sono tecnicamente misurate e controllate. Poi la maggior freschezza e forse anche una più completa rifinitura tecnica della Tucci è chiara a partire dalla zona medio grave meglio controllata e da quella superiore penetrante e sonora, con ogni nota della gamma perfettamente a fuoco e rotonda, e la capacità di cantare pianissimo e forte. Solo in un paio di passi si sente che il personaggio della schiva etiope è un po’ forte per lei ed il velluto della voce esce intaccato dalla foga interpretativa. Ovvio che la chiusa con l’invocazione ai numi sia il momento più alto e soggiogante della realizzazione del soprano romano esattamente come la Simionato suona molto sopranile in zona acuta (anche se non sono le bordate di suono chiaro, morbido e vellutato di una Stignani o le sciabolate della giovane Cossotto) e siccome era un soprano cosiddetto Falcon al centro, già un poco provato, era misurata e preferiva come accade all’inizio del duetto un’espressione insinuante e non già aggressiva, riservata ad alcune frasi topiche quelle dove Ammeris deve “incazzarsi come una pantera”. Qui se mai il felino è di misura inferiore. In questa esecuzione c’è l’idea di una idea di proporre un’Aida alternativa, lirica (come tanto per riandare ad altri articoli del blog presunse di fare Harnoncourt senza disporre di cantanti decenti e comunque tecnicamente idonee), ma semplicemente di offrire un’esecuzione coerente con la situazione drammatica e congrua ai mezzi delle protagoniste, che sono rispetto alla più stretta tradizione verdiana sottodimensionati.
Insomma come preannunciato nessuna interpretazione di quelle che fanno la storia (quante poi sono quelle del duetto fra le due rivali verdiane), ma il rispetto delle qualità naturali e tecniche dei cantanti e della tradizione (diciamo anche dello spartito) che impone taluni accenti, talune scansioni, talune iperboli e taluni ripiegamenti. In più le due cantanti possono anche non rispondere ai canoni assoluti della grande voce verdiana, ma dispongono di una tecnica che consenta loro una esaustiva dinamica ed agogica.
Cosa accade quasi sei lustri dopo a Napoli in un’altra esecuzione che doveva e voleva essere una Aida di assoluta tradizione con un Amneris dalla voce grandiosa e un’Aida lirica, ma raffinata ed elegante? Molto meno come realizzazione dei presupposti di partenza perché la Zajick soprano anch’essa come la Simionato e per giunta di ben altro volume non sa gestire la prima ottava se non gonfiandola e scurendola artificiosamente per cui questa Ammeris che mostra assai più della declinante Giulietta “lo scalino” è sotto il versante interpretativo esagerata e forse anche esagitata anche se in alto suono facilissima e squillante è una Amneris che non esibire anche nel canto di conversazione il fluire, il legato della voce di Giulietta Simionato e quindi è una Ammeris, che si “incazza” alla svelta e dimentica il divino o almeno regale lignaggio che dovrebbe emergere da ogni frase e che è la sigla delle grandissime interpreti. Quanto alla Cedolins, qui ritratta nella sua brevissima stagione felice, manca il sostegno tecnico di cui dispone la Tucci e, quindi, la cantante a parte il vezzo di aprire i suoni al centro spacciando il vizio/vezzo per interpretazione, suona un poco spinta in alto ed i piani e pianissimi non hanno la naturale spontanea fluidità della Tucci suonando, perché mal messi, piuttosto artificiosi nell’emissione ed affettati nell’espressione.
Morale: per fare la tradizione quella che sembra essere la nemica dell’evento, occorre anche la tecnica e la preparazione dello spartito che connotava tutti i cantanti della tradizione a prescindere dalla naturale qualità del mezzo.