Leoncavallo – Pagliacci – Intermezzo
Staatskapelle Dresden, Karl Böhm (1938)
Metropolitan Opera Orchestra, Fabio Luisi (2016)
L’intermezzo che separa i due non certo prolissi atti dei Pagliacci non sottolinea, come avviene nella Cavalleria rusticana o nella Manon pucciniana, il trascorrere del tempo (quello relativamente breve di una funzione pasquale ovvero quello che implica lo spostamento dell’azione da Parigi a Le Havre), dal momento che il primo atto si conclude nell’imminenza dell’arrivo del pubblico, che con le sue intemperanze segnerà l’incipit della seconda parte dello spettacolo. La funzione di questo intermezzo è eminentemente espressiva, descrivendo da un lato l’esasperazione dello sconforto e della gelosia del protagonista (la prima idea musicale tornerà, per l’appunto, al momento dell’uccisione di Silvio), dall’altro declinando ancora una volta la poetica dell’empatia enunciata dal prologo (citazione del tema “E voi, piuttosto che le nostre povere gabbane d’istrioni”). Occorre quindi, per rendere appieno una pagina come questa, in primo luogo un direttore che sappia cogliere la bruciante drammaticità della stringata pagina, senza trascurare le dolente elegia (mai artefatta, o tanto meno stucchevole) che caratterizza la sezione conclusiva. E’ in scena in questi giorni al Metropolitan di New York (e non è l’unica da poco proposta nel circuito dei c.d. massimi teatri) una produzione del titolo, affidata alla bacchetta di Fabio Luisi, di carriera internazionale, già direttore principale della Staatskapelle Dresden e avvezzo a confrontarsi con autori sinfonici incomparabilmente più reputati, anche per la complessità tecnica, rispetto al compositore italiano. In attesa della recensione dello spettacolo, che Sorella Radio vorrà offrire nei prossimi giorni, abbiamo pensato di comparare l’esecuzione dell’intermezzo con quella proposta da un altro direttore principale della compagine di Dresda (e di molte altre in area mitteleuropea), Karl Böhm. Non è senza meraviglia che dobbiamo constatare come l’esecuzione più passionale e trascinante, nonché musicalmente più valida, provenga proprio dalla bacchetta austriaca. In questa sede possiamo anche trascurare la qualità specifica delle due orchestre, quella di oggi essendo la compagine di un teatro d’opera dal vasto repertorio e l’altra una delle massime orchestre sinfoniche del vecchio continente: passino quindi in secondo piano, a puro titolo di esempio, le “strappate” degli archi metropolitani all’incipit del “Sostenuto assai”, contrapposte alla compattezza di suono e al vigore dei loro omologhi di Dresda. Nell’esecuzione di Luisi tutto scorre, o per meglio dire si trascina, con passo piuttosto pesante e, quel che è peggio, monocorde: non si coglie la contrapposizione, che Böhm delinea invece con mano sicura, tra la prima frase degli archi (prescritta “drammaticamente”) e la risposta (“lamentoso”) dei fiati; il successivo “pp con tristezza” degli archi divisi suona apatico, inconsistente il susseguente crescendo, non rispettata l’indicazione “affrettando, nervoso con forza” che conduce al “Cantabile”. Ascoltare, nella medesima sezione, la duttilità dell’austriaco, il suono che cresce progressivamente d’intensità e di pathos, la chiusa bruciante che non ha nulla di affrettato o scarsamente limato. Compitato a fatica dall’orchestra del Met, e con poca evidenza per le distinte linee melodiche, il “Cantabile”, che i professori di Dresda enunciano con la stessa morbidezza, la medesima forza che riserverebbero (giustamente) a un Andante di Bruckner. Ancora, si consideri, al termine di questa seconda sezione del brano, la libertà e il rigore con cui Böhm rispetta le indicazioni “con anima”, “incalzando e affrettando un poco” (qui l’orchestra deve veramente respirare e cantare quasi fosse un singolo esecutore), fino alla chiusa (“ritenendo molto”) che riesce a essere magniloquente senza inutile prosopopea. Di Luisi, nel medesimo passaggio, si può apprezzare il tentativo di trovare un suono asciutto, ma le sonorità contenute e, più ancora, la piattezza dinamica e il legato faticoso privano la pagina di ogni slancio, senza che la qualità del suono possa compensare una simile, fatale lacuna.
Ce ne sono di esempi sia storici che più recenti….ma credo
che le figure dei direttori odierni si incartino, sopratutto per due motivi: la fretta di arrivare ai vertici dei teatri che contano
https://www.youtube.com/watch?v=vFBCLWBo9pA
https://www.youtube.com/watch?v=Bs0riy-XYgM
e la paura di mostrarsi “sentimentalisti”
Quando c’era Caffariello…..