Tutti sanno chi sia Montserrat Caballé, pochi se non gli appassionati ed i culturi dell’età della pietra delle registrazioni, spesso desiderosi di ritrovare tecnica, gusto ottocenteschi Ines de Frate, praticamente nessuno Charlotte von Seebock.
Eseguono tutte e tre del finale della Borgia la sezione in tempo lento, che piaceva a Donizetti senza il cosiddetto “cazzaccio” cioè il rondò “era desso”. Preciso che la Caballè nelle recite da cui tratto il passo incriminato dall’autore lo eseguisse, eccome! (anche se preceduto da una risataccia per giustificare l’uscita di senno di Donna Lucrezia). Cosa eseguissero in teatro le altre due confesso di ignorare.
Spesso, anzi sempre, nel proporre gli ascolti comparati del venerdì abbiamo privilegiato la disamina tecnica nel raffronto fra un cantante del passato, anche recentissimo, ed altro in carriera e famoso o addirittura celebrato.
E’ pacifico che la splendida voce della Caballé patisca il confronto strettamente vocale e soprattutto tecnico con l’incunabolo (per giunta molto tagliato) di Charlotte von Seebock, come lo patisce con il timbro da vero soprano spinto di Ines de Frate. Posso anche aggiungere, sotto lo stretto profilo vocale che tutti i soprani di agilità che dalla Caballé in poi abbiamo vestito i panni di Lucrezia soccombono innanzi allo splendore della saldissima, lucente e penetrante ottava superiore di Charlotte von Seebock (famosa Regina della Notte, ma anche Norma e Crisotemide), che nelle varianti di “il tempo vola” e si prende il lusso di fiati lunghissimi e due ulteriori salite in alto precisamente al do diesis e poi al mi bem mediante una volata e tacciamo della granitura e fluidità del trillo inserito in sede di cadenza. Se guardiamo la vocalista de Frate desta stupore la discesa con un suono di petto ampio, sonoro al re grave di “serbarmi in VITA” e la facilità con cui sostiene un tempo lentissimo staccato all’inizio della romanza.
Ma vorrei porre l’attenzione sull’interpretazione che è prima di tutto una interpretazione vocale. La pagina esprime : strazio, paura, disperazione di una donna -donnaccia in fondo- che accumula errori e peccati e che, pur inconscia, ha avvelenato il figlio appena ritrovato.
La Caballé con un sontuoso timbro, ma da Mimì o Manon di Massenet è accorata, sfoggia piani e pianissimi (quelli che, poi, sarebbero diventati i pianini) si arrangia come può in basso (dopo cinque o sei anni e il tardo Verdi sarebbe stata una cantante squinternata), ma complice lo stacco di tempi costante che non ammette o riduce al minino rallentando o accelerando esprime poco o meglio non esprime quello che il momento scenico richiede. Nessuno discute la qualità del pianissimo, ma dette con il timbro il peso ed il colore di “oh avessi un manicotto” frasi come “non voler incrudelir” o il primo “ah, de t’affretta A prevenire” di strazio, paura disperazione siamo proprio privi. Prendiamo, poi, la scelta di non eseguire le varianti acute e di sostituirle con un paio di ottimi (ma già falsettanti) piani e pianissimi l’effetto drammatico di Lucrezia, che vede svanire il tempo e la possibilità di salvare il figlio sparisce. Poi nessuno può negare a questa Caballé 1970 applausi, ma Lucrezia, disperata peccatrice, latita. Prendiamo le altre due preistoriche esecuzioni, che sono, considerate la data di nascita della de Frate (1854) e la formazione della von Seebock (nata nel 1886, discendente, per il tramite di Rose Papier, della scuola di Mathilde Marchesi) di gusto ottocentesco e sentiamo prima di tutto una grandissima libertà di tempo. La libertà di tempo non serve, in questi casi al solo sfoggio vocale, ma alla resa della situazione scenica, vedi, dopo che la cantante ha esibito un timbro malinconico ed il tempo lento delle prime frasi, il primo accelerando di Ines alla ripetizione di “mille volte al cor ferita” o il rallentando e stringendo sulla frase “non voler incrudelir”. Quando arrivano le frasi conclusive c’è un vero colpo di teatro perché la cantante accelera sulle frasi, che riguardano il dramma “il tempo vola” e su cui cadono le varianti acute e rallenta e addolcisce su tutte quelle di supplica a Gennaro a bere l’antidoto. Geniale. Aggiungo che la dizione della de Frate è scolpita e si comprendono tutte le parole senza che la cantante risulti eccessiva (siamo all’epoca dell’avvento del Verismo e la de Frate stessa cantò titoli veristi) mentre la Caballé non solo sbaglia le parole, ma non articola e non scandisce con la medesima attenzione al significato del testo. Ancor più da attrice vocale l’esecuzione della von Seebock la quale evita suoni ostentati di petto e risulta ancor più libera della de Frate nei tempi. Solo che, a differenza della Caballé, le note tenute a dismisura con uno sfoggio di fiati (e probabilmente capacità di rubare il fiato non comuni) ovvero gli accelerando nella scaletta discendente di “il tempo vola” e una generale accelerazione nella sezione conclusiva prima della cadenza operano in funzione drammatica a rendere l’acme emotivo della tragedia, che si consuma nel sontuoso palazzo ferrarese.
7 pensieri su “Comparare l’interpretazione vocale: Lucrezia Borgia by Caballe, de Frate, von Seebock”
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Tempo fa ho scaricato dal tubo il “m’odi” della Arangi Lombardi. A me, vecchio appassionato ma digiuno di cognizioni tecniche, è piaciuto molto. Che ne pensate?
la arangi lombardi fu l’ultimo soprano drammatico autentico per peso ampiezza volume ad affrontare lucrezia. devo dire che all’originale o meglio al modello pensato da Donizetti c’ è andata molto vicina la Sutherland alla fine credo assai più della Caballe.
Carissimo Donzelli, le esecuzioni postate, sono e restano ormai un ricordo del Donizetti d’antan. Quello che posso aggiungere, è che al di là della Caballè e Devia non si possono proprio proporre altre soprano in grado di darci un’idea del musicista “Donizetti”. Se poi ci si avventura nell’ambito tenorile & affine, siamo al puro deserto dei tartari.
Io posso solo evocare “ricordi” delle citate, ma per chi ci legge dire che sono state eccezionali, non spiega loro nulla. Se qualcuno ha poi la pazienza di andare su youtube potranno godere di ” un tempo che fu”
Basta un assaggio delle “belinate” non solo registiche ma anche vocali di opere di oggidì e la volontà, anzi la necessità di rifugiarsi in un convento come fecero Don Alvaro o Donna Leonora diventa impellente.
Gran pezzo!! Concordo con le valutazioni dell’esimio Donzelli e lo ringrazio per avermi fatto scoprire due bellissime voci, una più drammatica, l’altra provvista di vero virtuosismo. Entrambe vincono a mani basse nel delineare una credibile e disperata Donna Lucrezia grazie a una fantasia e un uso delle dinamiche ben superiore alla pur brava Caballé (nonostante la voce nei gravi non sia emessa in modo del tutto soddisfacente e la pigrizia di evitarsi salite previste e che avrebbe potuto fare senza troppi problemi all’epoca). Una Lucrezia integrale della Von Seebock sarebbe oro!
Lasztóczi Sebeők Sári/Sára/Sarolta (all’estero Charlotte von Seeböck) é nata l’11 aprile 1886 a Sátoraljaújhely (una cittadina ungherese vicina all’attuale confine con la Slovacchia e l’Ucraina) in una famiglia nobile. É stata allieva dell’Accademia di Musica a Budapest, poi di Rosa Papier Paumgartner a Vienna. É stata scritturata alla Hofoper da Gustav Mahler nel 1904. Nel 1907 é andata a Francoforte, dal 1908 é stata membro dell’Opera reale di Budapest. Si é ritirata nel 1941. É morta a Budapest il 24 luglio 1952.
ma altre sue registrazioni oltre all’aria di borgia ed alle due delle regina della notte?
Non me ne risultano altre, purtroppo.