Comparare la sinfonica /2. Dvořák: Gustavo Dudamel vs. Daniel Harding

Sinfonia n. 9 in mi minore, Op. 95 “Dal nuovo mondo” – IV movimento: allegro con fuoco

1) Gustavo Dudamel:

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2) Daniel Harding:

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Spesso siamo stati accusati di organizzare i nostri “ascolti comparati” come vere e proprie trappole ai danni di vittime precostituite al mero fine di dimostrare tesi preconcette attraverso l’abile scelta di interpretazioni mal riuscite (scovate e ricercate con sadica pazienza) o il forzato confronto del malcapitato con indiscutibili giganti appartenenti a periodi storici profondamente diversi. Per fugare ogni sospetto, dunque, la mia scelta va su due musicisti non solo del medesimo tempo, in piena carriera e di età quasi pari (solo 5 anni li separano), ma pure figli della stessa progenitura. Daniel Harding e Gustavo Dudamel – rispettivamente classe 1975 e 1981 – hanno avuto, infatti, una formazione parallela: entrambi ex enfant prodige, entrambi chiamati a dirigere le più importanti orchestre del mondo, entrambi figliocci di Claudio Abbado. Entrambi dotati di grande talento musicale e di innegabile competenza tecnica. Ma il talento da solo non basta e, passata l’euforia per il baby fenomeno, serve qualcosa di più per poter davvero “diventare grandi”…e non solo in senso anagrafico (e non è semplicissimo: il terzo figlioccio, Diego Matheuz, non è sopravvissuto alla baby fama e si è perso nei meandri del sottobosco direttoriale). E così mentre Harding, dopo un periodo “in cerca d’autore” (in cui si è ritrovato sbalzato da una parte all’altra come uomo buono per tutte le stagioni e con risultati spesso alterni), ha trovato maturazione e crescita nel rapporto con la Swedish Radio Symphony Orchestra, con cui ha stabilito una vera e propria simbiosi nella ricerca di un suono proprio e un’identità personale e riconoscibile, Dudamel ha prolungato il sonno sugli allori da ex bimbo prodigio buttandosi nella macchina dello star system più sfrenato (sfruttando anche un certo appeal terzomondista nella retorica tutta sudamericana dell’impegno politico – pro Chavez – e nel glamour dell’esotico) che nell’immediato gli ha consentito cospicui dividendi in termini di popolarità, esposizione mediatica e discografia. Tanto da catapultarlo in lizza per la successione al trono di Rattle sul podio dell’orchestra più famosa del mondo. E’ chiaro che tale carriera, così lanciata e magnifica e progressiva, genera aspettative e richiede un vaglio approfondito. Personalmente ho assistito a diverse serate dirette da entrambi e mentre il giudizio su Harding, all’inizio incerto per la mancanza di una precisa identità (spesso foriera di clamorosi scivoloni) si è poi via via affinato verso l’ammirazione per il percorso fatto e i risultati che ne fanno davvero un interprete moderno e coinvolgente, su Dudamel ho avuto solo conferme: conferme della sostanziale sopravvalutazione di una promessa non mantenuta! La parola ai fatti: anzi, alle note. Le differenze si colgono sin dall’attacco (tralascio il gesto caricaturale di Dudamel che pare stia recitando la parte del “direttore d’orchestra” che per copione deve sventolare le braccia, agitare le chiome e fare smorfie…ma ognuno ha il suo gesto personale e non esiste un modo “giusto” di dirigere: certamente il suo può apparire – per i più maliziosi – caricato a favore di telecamera), laddove il sudamericano si lascia andare al più scontato effettismo, mentre Harding cerca di dare una visione personale ad un brano “sputtanato” dalla sua stessa popolarità. Ecco, la cifra dell’effettismo, della superficialità, della volgarizzazione è quella che meglio descrive l’ultimo Dudamel: che sia Mahler, Dvorak o Gershwin tutto è accomunato da un’esteriorizzazione fine a sé stessa, a metà strada tra la colonna sonora di film western ed il folklore sudamericano in salsa bolivariana, con l’unico intento di far più chiasso possibile (la sua Quinta di Mahler ne è “fulgido” esempio) o di solleticare la vena più popolare del pubblico del “questa la conosco…” Che poi negli anni Dudamel abbia acquisito maggior sicurezza (dai vari pasticci scaligeri di Don Giovanni, Boheme e Carmen dove palesemente non era in grado di controllare l’orchestra) nulla cambia nel discorso, ma anzi aggrava la superficialità dell’approccio così smaccatamente esteriore, hollywoodiano, effettistico (per tornare al suo Mahler – che tanti celebrano – ritengo sia peggiore di quello di Solti, che per me è inascoltabile). Per tornare al brano oggetto della nostra comparazione, con Dudamel ci chiediamo se la sinfonia sia stata scritta John Williams nei ritagli di tempo tra gli infiniti capitoli di Star Wars. Diversissimo l’approccio di Harding che fin da subito elimina certo facile folklore nel brano e riporta Dvorak nella sua dimensione mitteleuropea: così che la sinfonia riacquista la dignità intellettuale di incontro tra due civiltà profondamente diverse e lo “stupore” verso il “Nuovo Mondo” diviene riflessione e omaggio, contaminazione e traduzione, tornando ad essere quell’atipico intreccio di classicismo sinfonico (la Sinfonia n. 9 presenta estremo rigore formale), elementi autoctoni (spirituals) e folklore ceco. Questa consapevolezza di trovarsi in terra di confine manca totalmente all’interpretazione di Dudamel (e manca in tutte le sue interpretazioni, dedicate, peraltro, ad un repertorio che più di altri si trova a cavallo tra due ere), a favore del “personaggio”. E’ chiaro che ciascun interprete debba portare nella musica che fa il proprio temperamento, la propria cultura, la propria storia, ma se questo diviene cliché o maniera allora la sensazione è quella di trovarsi di fronte ad una mistificazione. Per concludere: non è una questione di mancanza di tecnica o di talento (è chiaro che Dudamel è dotato dell’una e dell’altro), ma di validità d’interprete, ossia quel che trasforma l’ex enfant prodige in musicista cresciuto.

6 pensieri su “Comparare la sinfonica /2. Dvořák: Gustavo Dudamel vs. Daniel Harding

  1. francamente le prove operistiche di Dudamel mi riferisco soprattutto a Carmen e Boheme mi fanno dubitare della capacità tecnica dello stesso. Perdere orchestra solisti e banda al finale secondo di Boheme o trasformare l’entr’act del quarto atto in un pastone informe o servire la famosa ouverture in tempo e sonorità da banda di paese mi fanno e non poco dubitare della conoscenza della morfologia e della grammatica. La sintassi viene poi!

    • Sì, ma infatti l’ho scritto: negli anni ha superato i problemi di quelle infelici prove e ora, tecnicamente, non ci sono problemi (anche perché se ci sono problemi di tecnica, Mahler non lo si può affrontare). Ora il problema è un altro e ben più grave.

  2. In ogni caso questo video di Dudamel è del 2007. Si tratta del concerto che la Radio-sinfonieorchester Stuttgart des SWR offrí a Papa Ratzinger per il suo ottantesimo compleanno. Io vidi la prova generale qui alla Liederhalle e francamente mi piacque. Ho sentito anche questa Sinfonia qui da noi con Harding che dirigeva la Filarmonica della Scala, nel 2011 e mi sembrò una lettura mediocre e molto noiosa come la Nona di Bruckner sentita con lui e la London Symphony il mese scorso a Baden-Baden

    • De gustibus…però la superficialità e l’effettismo è evidente (così come lo è con Mahler). Il fatto che l’orchestra sia quella di Stoccarda nulla cambia. A me pare che le letture di Harding siano ben più interessanti. Forse meno sensazionalistiche, ma più meditate.

      • In ogni caso, a mio personalissimo avviso, nè l’ uno ne l’ altro sono interpreti interessanti. Nella generazione di Harding io trovo molto piú validi Stéphane Denève, che da cinque anni svolge un eccellente lavoro qui da noi come direttore stabile della RSO des SWR, e Dan Ettinger. Tra i giovani intorno alla trentina io trovo assai migliori Cornelius Meister, Constantin Trinks e Aziz Shokhakhimov. Non cito Jader Bignamini perché non l’ ho ancora ascoltato dal vivo, anche se ho preso nota dei molti pareri positivi che voi avete espresso al suo riguardo.
        Saluti.

      • Avevo dimenticato di citare un nome, quello di Krzystof Urbanski. Trentaquattro anni, ha giá debuttato con i Berliner Philharmoniker e lo scorso anno qui da noi ha diretto la migliore esecuzione della Sinfonia “Dal Nuovo Mondo” tra quelle da me ascoltate negli ultimi tempi

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