Die Entführung aus dem Serail costituisce l’ottavo e probabilmente ultimo capitolo della serie dedicata da René Jacobs al corpus operistico mozartiano: il ciclo, iniziato con Così fan tutte nel 1998, comprende tutti i lavori della maturità oltre a quella Finta Giardiniera composta a 19 anni e che si pone a mezza via tra le esperienze giovanili e quelle della piena maturazione. Non credo che Jacobs voglia proseguire nella registrazione delle altre opere di Mozart (comprese le serenate o gli atti unici), anche se sarebbe più che mai opportuno rinnovarne la discografia, e pertanto – dopo aver parlato della nuova incisione – si potrà trarre un breve bilancio dell’intera operazione.
Non mi dilungherò sulla genesi compositiva del celebre Singspiel, né sui caratteri particolari del Ratto che lo distinguono nettamente sia dal genere popolare allora in voga nella capitale austriaca sia dal complesso mondo che vedrà la nascita del Flauto Magico (in un intrico di elementi filosofici, popolari, massonici), capolavoro per certi versi ancora incompreso.
Come sempre Jacobs mette molta cura nella preparazione e nella scelta del testo – ovviamente secondo la Neue Mozart Ausgabe che dal 1982 è il testo di riferimento dell’opera: solo da noi l’uso di edizione critiche è visto con sospetto e riluttanza – così come altrettanto approfonditi sono i criteri esecutivi scelti, l’uso dello strumentale (compresi gli elementi “turchi”), i tempi, il diapason e tutti gli altri aspetti della prassi d’epoca. Particolarmente apprezzabile è la soluzione del problema (tutt’ora aperto) del No. 5a, la Marcia che precede il Coro di Giannizzeri che accompagna l’arrivo del Pascià Selim. Com’è noto il brano era considerato perduto o mai realmente scritto – e infatti, fino all’uscita dell’edizione critica, all’aria di Belmonte seguiva direttamente il coro – poi, attraverso la collazione di diverse fonti sono state rinvenute le 28 battute di una marcia (la cui autenticità è discussa, nonostante – o forse proprio per – la citazione del III movimento del Concerto per violino K 218). Jacobs, legittimamente, opta per una diversa soluzione: non essendoci l’assoluta certezza che il brano ricostruito sia quello autentico, non essendo contenuto nell’autografo, il direttore belga utilizza una Marcia Turchese scritta da Michael Haydn per una più tarda rappresentazione dell’opera a Salisburgo nel 1795. Del pari apprezzabile – anche se poco fruibile dall’ascoltatore non pratico di tedesco – la riproduzione integrale dei dialoghi parlati, resi vividi e brillanti da una accurata regia teatrale con tanto di rumori scenici ricostruiti e inserti strumentali (anche se Jacobs qui si lascia prendere troppo la mano). Il risultato però – aldilà della legittimità – è piacevole. Splendido lo strumentale e teatralissima la direzione di Jacobs che qui raggiunge uno dei suoi vertici nel gestire l’esuberanza di una partitura ricchissima e coloratissima, attraverso la magnifica Akademie für Alte Musik. Purtroppo quella che poteva essere una delle migliori realizzazioni della serie mozartiana di Jacobs, viene compromessa da due peccati imperdonabili. Il primo riguarda il cast (generalmente buono e molto musicale): non si può concepire un’edizione del Ratto con una protagonista che a fatica raggiunge il La acuto! E’ un errore davvero imperdonabile e lascia più di un dubbio sulla capacità del direttore di scegliere le voci per i rispettivi ruoli. La Konstanze di Robin Johannsen è, infatti, senza mezzi termini pessima! La peggiore della discografia: non solo perché non possiede tutte le note della parte (in cui il registro acuto è molto sollecitato), ma anche per l’imprecisione della coloratura, disordinata e scoordinata. Una vera sofferenza la grande aria Martern aller Arten: e del resto se si fatica a raggiungere il La, diventano un orrore i Si e i Do. Non si parli poi di fraseggio, di timbro, di dinamiche…la Johannsen è troppo occupata a cercare di non soccombere per interpretare in un qualsiasi modo il ruolo. La scelta è grave e sconsiderata, poichè – oltre ad offendere l’orecchio – costringe (?) Jacobs a tagliare senza pietà i passi più “spericolati” dei suoi brani solistici (più di un terzo di Martern aller Arten è cassato). Già questo basterebbe, dunque, a gettare discredito sull’incisione, ma il direttore belga commette un’altro peccato. E anche questo non veniale. Preso dalla smania del “farlo strano” a tutti i costi (come nel suo pessimo Don Giovanni), decide di inserire brani parlati anche nei numeri musicali: la giustificazione è sconcertante. Jacobs dice che poiché Mozart ha inserito dialoghi all’interno di alcuni numeri (2, 3 e 18), lui ritiene di “espandere l’idea mozartiana” e inserisce, di conseguenza, dialoghi in punti in cui gli stessi non solo non sono stati previsti, ma pure ci stanno malissimo (in un caso rovinando una delle pagine più alte dell’opera). E così Martern aller Arten divene un contrappunto tra soprano e voce narrante che si inserisce nelle pause e pure nella splendida introduzione concertante! Uno scempio! Peccato, perché senza questi due vizi sarebbe una bellissima edizione, splendidamente diretta e ben cantata da quasi tutti (la Blonde di Mari Eriksomoen, il Belmonte lirico di Maximilian Schmitt, il Pedrillo di Julian Prégardien e l’Osmin di Dimitry Ivashchenko).
Dicevo che con quest’ultima incisione si chiude, probabilmente, il ciclo mozartiano di Jacobs: credo di aver recensito tutti i capitoli (salvo i primi due: Così fan tutte e Le Nozze di Figaro) e il bilancio non può che essere interlocutorio. Jacobs affianca splendide intuizioni e soluzioni interessanti, a eccessi e interventi di estrema bruttezza. E così se alcuni titoli sono azzeccati (in particolare le due opere serie) altri sono veramente mal riusciti: su tutti Don Giovanni. Il comune denominatore in negativo, però, è una certa leggerezza nel ricorrere ad interventi stilisticamente inadeguati, per la smania di “farlo strano”…vera e propria mania del direttore belga che sovente abbandona la seria competenza del musicista, lasciandosi andare ad esuberanze insensate. In attesa di conoscere i prossimi impegni di Jacobs (e magari la prosecuzione della sua avventura mozartiana), vi auguro buon ascolto con una breve, ma significativa scelta tratta dal Ratto (tra i brani la versione completa di Martern aller Arten, che né la Gruberova, né la Dessay cantano nella sua interezza).
Gli ascolti:
Overture (Karl Böhm)
No. 1: Aria Hier soll ich dich denn sehen, Konstanze! (Fritz Wunderlich)
No. 3: Aria Solche hergelauf’ne Laffen (Martti Talvela)
No. 4: Recitativo e Aria Konstanze, dich wiederzusehen! – O wie ängstlich, o wie feurig klopft mein liebevolles Herz (Anton Dermota)
No. 6: Aria Ach ich liebte, war so Glücklich (Anneliese Rothenberger)
No. 10: Recitativo e Aria Welcher Wechsel herrscht in meiner Seele – Traurigkeit ward mir zum Lose (Lucia Popp)
No. 11: Aria Martern aller Arten (Luba Orgonasova; )
No. 15: Aria Wenn der Freude Tränen fliessen (Fritz Wunderlich)
No. 17: Aria Ich baue ganz auf deine Stärke (Rockwell Blake)
No. 19: Aria O, wie will ich triumphieren (Kurt Moll)
Non ritengo Jacobs un direttore degno di rappresentare Mozart. I suoi birignao li lascio a quelli che amano farsi del male. Prosit
Tra tanti begli ascolti non condivido quello di Blake. Amo Blake in Rossini, ma in Mozart mi risulta spesso indigesto, e la splendida “Ich baue ganz” è qui ridotta a mera aria di bravura. Le agilità sono precise e brillanti, i fiati sono magistrali e interminabili, ma manca tutto il resto. Il fraseggio e l’accentuazione latitano in favore di una generica enfasi: più in generale manca l’intimità del colore soffuso del brano, anche in virtù di un tempo ridicolmente marcettistico (va bene intendere “andante” come tempo “scorrevole” ma qui si esagera, e comunque qui l’agogica è chiaramente in funzione dell’esibizione vocale). Non basta avere il suono nella posizione giusta per avere un suono musicalmente giusto… Della dizione poi meglio non parlare (a partire dall’incipit “Ich BAA ganz”). Io qui sento Blake, non sento Mozart: il problema di una personalità vocale esuberante e particolarissima come quella di Blake è che si adatta magnificamente a certo repertorio (aggiunge carne e sangue all’ “astrazione” rossiniana) mentre non sa e non può adattarsi a un senso musicale che confligga con l’esplicazione (pur meravigliosa) del suo ego.
Complimenti Idamante: in altre parole, vale il detto: Ofelè fa l tò mestè. che significa che ognuno deve fare nella vita, quello per cui è dotato: mi ripeto Baremboim, faccia il pianista, Domingo, il tenore, se se non ha più gli acuti, si metta a riposo, quindi, Harnonourt faccia il Monteverdi, e altri direttori, nu poco ” spigolosi” lascino stare Mozart.
Compresa la soprano che ci stà perseguitando come sottofondo di una nota catena di supermercati. Se l’età del canto limpido e scorrevole, è ormai alle spalle…non ci si deve far “compatire”. Nel 1953, un famosissimo tenore, tale Tito schipa, su sollecitazione della Rai si esibì, con la voce a pezzi. Fu penosissimo, credo anche per lui. Ci volle tutta a mia buona volontà, per riascoltarlo .nelle sue favolose registrazioni
Certamente Blake ha dato il suo meglio in Rossini, tuttavia ho scelto lui in questa splendida aria proprio per l’aspetto virtuosistico: il brano viene spesso tagliato oppure eseguito incompleto. Quanto alle considerazioni di Rigoletto…che dire? …pur non essendo il suo repertorio d’elezione non si può proprio dire che quello di Blake sia un altro mestiere rispetto al cantar Mozart. Lo stesso vale per Barenboim (che non è certamente solo un pianista). Domingo resta un tenore (senza acuti), ed è solo l’insipienza di chi lo scrittura a spacciarlo per baritono. Infine il grande Harnoncourt: ritenere che debba limitarsi a Monteverdi è un’autentica fesseria…atteso che i migliori risultati li ha raggiunti con Beethoven, Schubert, Schumann, Bruckner, Verdi… Basta ascoltare.
Grazie Duprez: vedo che i miei commenti colpiscono nel segno, infatti ti affretti a sminuirli.
Il caso più eclatante è quello di Baremboim, che da semplice pianista, è diventato direttore orchestrale, ma che unanimamente viene criticato dall’orbe terraqueo, e vista la figuraccia del caso Mandelli, ora se n’è accorto anche chi sostiene che è più di un pianista…(non è specificato in che cosa)
Harnoncourt, è un’altro esempio di insipienza sulle proprie doti personali, che sono emerse,guarda caso quando si è verificata la scomparsa di un direttore affezionato all’Austria.
Non mi stancherò di dire che il buon senso, e una dose di umiltà avrebbe evitato figuracce, e a noi la pena di doverle sopportare. Ma a Napoli se dis:Cummandà è chiu mportante che fottere…Pace e bene
Guarda che le figuracce le fai tu a furia di sparare sentenze! Che quattro melomalati si siano innervositi per l’affaire Mandelli CHISSENEFREGA! Comunque oggi mi sento buono: non voglio certo farti cambiare gusti…però ascolta Harnoncourt in Schubert o Bruckner
Caro Duprez, un tempo il servizio metereologico, terminava con una frase che era un piccolo capolavoro di
ipocrisia: “nebbia in val Padana” che indicava : non ci capiamo nulla, però la nebbia ci sara’.
ecco le tue affermazioni, mi ricordano tali previsioni.
A me le tue ricordano ben altro, ma non dico perché sono persona civile…