Non ho dubbi dalla finestra come piatti e stoviglie vecchie butterei, augurandomi di abitare ad un piano alto così il risultato è certo e sicuro: la critica togata. Il suo dovere sarebbe quello di indirizzare, guidare e stimolare gli ascoltatori, aiutarne ed incentivarne la crescita culturale. Palle! Da almeno trent’anni la critica togata batte lo stagno dello sciroppo della perifrasi quando il prodotto teatrale è inverecondo, veste i panni di Savonarola quando il pubblico “sua dignità riprende” e fischia quei cantanti e quei direttori che la centrale del consenso ha deciso debbano fare immeritata carriera e sparge, al pare dei commensali del conte zio, il suo untume per celebrare e propagandare. Ci sono esimi rappresentanti di questa razza che dopo anni di seria e ben motivata passione per un cantante fanno revisione critica perché qualche cagnetta delle major deve essere osannata, celebrata, storicizzata. Ci sono noti voltagabbana che dopo anni di stroncature, concessa loro un’intervistella, si sdilinquiscono quando l’oggetto dello sdilinquimento è sempre e solo un impostore. Vergogna perché le spese di questo plagio la fanno le giovani leve di ascoltatori, sempre più esigue e sempre più stupite quando viene loro proposto qualche ascolto “normale” di cantante o di un direttore prima storcono il naso e l’inquinato orecchio e poi, in alcuni casi capiscono, di quale truffa e circonvenzione sono stati fatti oggetto. – Domenico Donzelli
L’anno 2015 non è certo stato avaro di spettacoli mediocri. Il Lucio Silla mozartiano proposto a febbraio dalla Scala può a buon diritto essere considerato un compendio del genere.
1) Non sappiamo (e non interessa) se la scelta dipenda dalla moribonda gestione Lissner o dalla successiva, in tutti i sensi più coinvolta, ma si è di fatto importato, con buona pace della sbandierata specificità scaligera (quella in forza della quale si richiedono, e ottengono, cospicui finanziamenti pubblici), da altro teatro (Salisburgo) un “pacchetto” comprendente non solo titolo e allestimento, ma direttore e due cantanti su cinque;
2) anzi i cantanti ‘riciclati’ avrebbero dovuto essere quattro, ma, archiviata ben presto la Celia asburgico-elvetica (poi “servita” quale Nannetta in fine stagione), il protagonista, reputato ed esausto divo, ha “paccato” (a due giorni dal debutto) la prima rappresentazione e poi le repliche, riservandosi dapprima le ultime recite, per poi cancellare, a tempo (in)debito, anche quelle. Protagonista è stato promosso il tenore inizialmente previsto quale secondo cast,
3) ma il cambiamento di “vedette” non ha comportato il taglio di un’aria (proveniente da altra opera) che la produzione aveva aggiunto in omaggio al divo protagonista. Il sostituto, che già non riusciva a cantare quanto previsto da Mozart, ha dovuto quindi sobbarcarsi anche l’inserto, senza che nessuno, direttore d’orchestra in primis, avesse nulla da eccepire al riguardo.
4) Il direttore ha chiarito, per l’ennesima volta, che il filologo, quando non dispone del proprio complesso filologico (con il quale esegue ormai di tutto, da Rameau a Offenbach passando per Weber e Wagner), e a volte anche quando ne dispone, tende a trasformare l’opera seria settecentesca in una successione di allegri motivetti, tutti uguali per stacco dei tempi, sonorità e colori strumentali. E questo al netto della capacità (o, più spesso, dell’incapacità) di far andare a tempo orchestra, solisti e (nei rari passi ove previsto) coro.
5) Del pari l’allestimento, in apparenza ligio alla lettera e allo spirito del libretto, proponeva ancelle che dimenando i fianchi come passeggiatrici si recano alla tomba dell’eroe Mario, azzimati senatori che danzano il perigordino, un’eroina tragica le cui smanie evocano quelle, che erano però consapevole parodia, di Sandra Mondaini o Marisa del Frate.
6) La fotografia che proponiamo è stata scattata al termine della prima parte dell’opera. Illustra, in maniera piuttosto eloquente, l’accoglienza riservata dalla città a cotanta meraviglia.
E per chi volesse (ri)farsi del male, buona visione:
Antonio Tamburini
Di cose da buttare, in questo 2015, ce ne sono parecchie: dalla politica nazionale al rigurgito religioso che scambia presepi e canzoncine natalizie come capisaldi della civiltà occidentale, dalla stampa sempre più serva del potente di turno al circo, sempre più popolato, degli “intellettuali” di regime, dal cattivo cinema che ci invade quotidianamente ai troppi romanzi/saggi/racconti/poemi che schiere di nuovi e vecchi “scrittori” senza alcun talento pubblicano con cadenza quotidiana…ce ne sarebbe per riempire centinaia di pagine. Anche limitandosi alla musica la lista sarebbe infinita tra dischi, spettacoli, saggi, interviste e dichiarazioni di divi veri e presunti, e naturalmente il pubblico sempre più ignorante, becero, isterico e loggionistico. La mia scelta va al Festival Verdi di Parma, ossia quel mostruoso esempio di provincialismo strapaesano, unito ad arroganza, presunzione e ignoranza che ogni autunno si autocelebra come evento di dignità extranazionale. Il mio auspicio e desiderio sarebbe non veder più nel 2016 un festival dedicato a Verdi, ossia l’autore che meno di tutti merita un festival (è già troppo rappresentato ovunque e il suo catalogo non riserva certo sorprese da trovare) oltretutto se la rassegna è del livello infimo che ci ha da sempre abituato. Se a questo si aggiunge il parossismo di un pubblico che davvero crede al Verdi che “pianse e amò per tutti” e che tra lambrusco, parmigiano e culatello depone fiori sulle effigi del suo presunto concittadino (che a dirla tutta Verdi con Parma non c’entra un tubo) o si diletta in giochi di ruolo coi titoli delle sue opere e spara sentenze dal loggione cronometrando i Do (sempre di petto) e i Mi (tutti bemolli), senza neppur saper leggere una nota, al grido di “W Verdi”…beh c’è solo da dire Viva Wagner! Ecco, per il 2016 mi auguro sempre meno Verdi, sempre meno loggionismo e sempre meno festival parmigiani.
Gilbert-Louis Duprez
My operatic low-point…?
That must be a very ordinary repertoire performance of Elisir d´Amore in October. The cast featured Aida Garifullina, Stefano Secco, Alessio Arduini and Pietro Spagnoli. One might think: Elisir… How can you possibly fail with Elisir? None of the parts are especially demanding vocally, nice scenery (Otto Schenk). You take a pretty Adina, an Italian „belcanto“ (!) tenor, an experienced Belcore and a comedy-proof Italian Dulcamara – and everything will go by itself. Wrong. Elisir and also Don Pasquale are considered „standards“ today, which can be easily given to beginners and be put up with almost any cast. It´s considered an easy „filler“: little effort, little need for rehearsals. Poor Donizetti. Of course, you can do it that way, but it is not doing at all full justice to this opera. Garifullina´s singing was approximative, unstylish and pimped-up by non-musical effects and flashy posing. Pretty voice, mediocre singer – no eloquence as an interpreter. Secco was approximative,, too, with little vocal flexibility – and terribly boring. All the „comic“ scenes were greatly exaggerated by all singers – both vocally and visually: a big great hullabaloo. Elisir has such a warm and charming humour. – Not gags, not clowneries. It´s all there: it´s in the music and in the text. All you have to do is take the music seriously. How I´d wish for a conductor, who would free Elisir of all the rubbish and bad habits like Toscanini had done at la Scala in 1901. But where would he find today singers even close to Caruso or Regina Pinkert? – Selma Kurz
Fra le tante cose che si potrebbero e dovrebbero buttare via di questo 2015 mi limito a segnalarne una musicale, per la precisione l’allestimento scaligero dell’Otello di Rossini, titolo celeberrimo della Rossini Renaissance, mai approdato alla Scala nel corso del XX secolo, e allestito nell’anno che si va a chiudere non tanto per una precisa volontà artistica di mettere in scena uno dei massimi titoli del genio pesarese, ma, come troppo spesso accade nella moderna gestione dei teatri, come rappezzo di altri progetti andati a male, in questo caso di un Otello verdiano progettato e naufragato anzitempo. Volendo anche passare sull’idea che i due titoli possano essere intercambiabili in una stagione d’opera seria, tutto era da cestinare, in primis il direttore d’orchestra, dalla carriera oscura, e del tutto inadatto al titolo prescelto, per proseguire con il cast, di fatto una reunion di chi nel 2007 portò a casa la serata a Pesaro (anche lì fra rappezzi dell’ultimo minuto), di fatto più adatti all’ambito festivaliero che non ad un teatro d’opera come la Scala, con un protagonista oltre soglia massima per età e decoro vocale, un divo affaticato, ma unico dispensatore di qualche barlume di professionismo nell’intera serata, per tacere della infelice scelta di affidare il ruolo di Desdemona, ruolo da grande Primadonna, ad un soprano soubrette, che si sarebbe ascoltato con maggior profitto come Adina o Despina, e infine, sopra tutti, un allestimento al di là del bene e del male, riempito di caccole e idiozie chiamate a sopperire alla dichiarata mancanza di idee, quanto mai disonesta e beffarda, in presenza di un cachet che immaginiamo non ridotto o dimezzato per la qualità scadente del prodotto realizzato. Il risultato è stato dunque un grande tonfo, perché qualche volta, sempre più raramente purtroppo, il pubblico mangia la foglia e non ritiene di poter gustare un simile scarto mal lavorato, per quanto servito in una bella confezione come il Teatro alla Scala. E questo forse perché tutti noi che amiamo la musica avremmo voglia di vedere finalmente qualcosa di bello e pensato, e non già la solita minestra d’importazione riscaldata, insipida e ormai scaduta.
Adolphe Nourrit
Quest’anno i miei colleghi hanno deciso di scrivere di cio che vorremmo gettare dell’anno trascorso.Non ho molto da gettare perche francamente non ricordo quasi nulla di questo anno musicale.La realtà che ci circonda è talmente tremenda e feroce, e noi cosi poco sensibili ed attenti a questo sgretolarsi palpabile del nostro mondo di valori, dallo stato di diritto all’etica delle persone cosiddette civili, che l’opera lirica francamente mi pare irrilevante e soprattutto risibile in ogni sua manifestazione. Vengono meno ovunque i principi piu alti e basilari dell’essere uomini che vivono in pace nel rispetto degli altri, stiamo ritornando ad un medioevo oscuro e ignorante, perciò non possiamo certo pretendere che l ‘opera non sia parte di questa involuzione. Commerciamo gli esseri umani perche abbiamo commercializzato tutto, anche la musica ovviamente. La cultura, che oggi è piuttosto “feticcio culturale”, non ha risorse per sostentarsi e perpetrarsi, un po perche abbiamo poco da dire e quasi nessuno da interessare, ma soprattutto perché la selezione è facorevole solo ai figli di e agli amici degli amici. È il minimo che possa accadere in un mondo dove il solo dio è il denaro e l ‘ uomo nuovo, l ‘optimus del nostro rinascimento, è the wolf of wall street. Chi non ha armi diverse dal merito viene travolto, anche e proprio nella cosiddetta cultura. Non posso perciò non buttare dalla finestra il nostro ministro dei bbcc, con la sua risposta miseranda data alla povera orchestra Verdi di Milano, colpevole di esser solo….meritevole. Il ministro che scrive libri che è meglio tenere nel cassetto degli hobbies e che appartiene ad una parte che ha sempre fatto della non monetizzabilita’ della cultura un suo vessillo di battaglia, scopre d’un colpo i vizi burocratici e la lesina delle risorse a danno di uno dei pochi casi di valore indiscusso e merito oggettivo. Ma perche???? Me lo chiedo come se lo chiede tutta Milano…In un mondo fatto cosi, capite bene che occorre sviluppare l’arte della dimenticanza e non più quella della memoria. Dimenticare dove siamo arrivati, cosa siamo diventati, cosa ci circonda, compresa la pochezza dei tanti alfieri e numi tutelari non all ‘altezza dei loro compiti che siedono nelle nostre istituzioni a tutti i livelli. – Giulia Grisi