E’ ormai un dato di fatto: quando la Scala si affida all’esperienza e non al marketing, riesce spesso a centrare il bersaglio. Quando riesce a mettere da parte le aride manie per il portafoglio e l’ossessione per la sala piena per puntare su ciò che dovrebbe, ripeto dovrebbe, essere causa e conseguenza delle sue politiche gestionali, (ossia la musica), il risultato, quasi matematicamente, è garantito. E così, tra una stagione e l’altra, fra un Dudamel e un Metha, appare sul podio, quasi magicamente, il volto magro e sottile di Herbert Blomstedt, direttore svedese classe 1927, che, col suo gesto nitido e chiaro, è riuscito a risvegliare da un lungo letargo la fragile Filarmonica scaligera.
Le due protagoniste della serata (ripetuta per tre sere di seguito) sono state la settima di Schubert e la nona di Bruckner, entrambe composte nei mesi precedente la morte dei rispettivi autori (1828 per il primo e 1896 per il secondo) e dunque rimaste, in maniera diversa, incomplete. Davanti a un programma di certo non agevole né tantomeno facile (ma sicuramente affascinante), il direttore svedese ha dato prova non solo di una solida esperienza ma anche di un grande carattere e spirito interpretativo.
La Filarmonica ha ritrovato, sotto il sottile e chiarissimo gesto di Blomstedt, quella coesione e quella unità di intenti che anni e anni di Barenboim avevano ormai rinchiuso in archivio come triste ricordo. Certo, non eravamo davanti alle filarmoniche viennesi o berlinesi (certi confronti in fin dei conti lasciano il tempo che trovano) ma c’era comunque un complesso di grande dignità, impegnato ed attento, capace di trovare il bel suono (ora pieno e corposo ora delicato e sottile), la cura per il dettaglio, per la piccola sfumatura e per il fraseggio.
Blomstedt si è avvicinato alle due sinfonie con grande intelligenza marcando fin da subito una chiara distinzione fra la prima e la seconda. Nel caso di Schubert il direttore ha preferito una lettura più onirica e disincantata, attenta al fraseggio e alla melodia, in un’ottica pre-romantica forse discutibile ma musicalmente convincente. In Bruckner la situazione è fin da subito apparsa quasi opposta: Blomstedt ha offerto un’interpretazione densa e teatrale, profondamente mistica, in grado di evidenziare tutti quei contrasti di luce e ombra, vita e morte che caratterizzano questa suggestiva pagina di fine ottocento. Il suono non è mai parso pesante né maldestro anche se molte volte le intenzioni non sempre hanno trovato giusta resa nell’esecuzione.
Una bella serata insomma. Una serata in cui, molto banalmente, si esce dal teatro “felici e contenti”, come è sempre stato d’altronde, quando Nostra Signora La Scala (per citare il noto nomignolo usato da Giampiero Tintori) punta sulla chi la bacchetta la sa usare per fare vera musica e non posare per le campagne pubblicitarie di note marche di orologi da polso.
5 pensieri su “Le cronache di Manuel García: Quando la Scala sorprende. Herbert Blomstedt con la Filarmonica”
Lascia un commento
Devi essere connesso per pubblicare un commento.
Blomstedt ha diretto la Nona di Bruckner qui da noi lo scorso luglio. Splendida esecuzione anche perché la nostra RSO des SWR vale dieci volte la Filarmonica della Scala, nel repertorio sinfonico
Io ad agosto l ho sentito Nell ottava di bruckner, e stato un bel concerto. Ricordo una interpretazione molto appassionata e una grinta fuori dal comune, che francamente non ci si aspetta da un signore di quell eta.
In realtà la Sinfonia in Si Minore D759, ossia la Settima secondo le più recenti edizioni dell’opera di Schubert o l’Ottava secondo la tradizione precedente – la cosiddetta “Incompiuta” – non risale affatto agli ultimi mesi di vita dell’autore, ma al 1822! Schubert semplicemente non la completò per dedicarsi ad altro: in campo sinfonico alla Sinfonia in Do Maggiore D944, “La Grande” (Ottava o Nona) che venne composta tra il ’25 e il ’28 e poi agli schizzi dell’ultima in Re Maggiore (Nona o Decima) poche settimane prima della morte. L’Incompiuta è un lavoro tra i più popolari di Schubert, non certo di ascolto difficile. La Nona di Bruckner invece rimase incompiuta per il consueto modus operandi dell’autore: esistono però schizzi compiuti e ricostruzioni. Lo stesso Bruckner non riuscendo a trovare una forma compiuta suggerisce di eseguire il Te Deum come ultimo movimento…
Grazie per la precisazione
Tra l’altro il tema della “incompiute” è estremamente affascinante e delicato. Personalmente mi interessano molto anche i diversi tentativi di completamento o di ricostruzione. Le diverse soluzioni per la Decima di Mahler e la Nona di Bruckner sono molto stimolanti: entrambe le sinfonie, poi, presentano materiale molto più completo rispetto a quanto normalmente si crede (in questo senso credo sia sempre opportuno scegliere un completamento). Diverso il caso di Schubert e della sua Sinfonia in due movimenti detta “Incompiuta” (Settima o Ottava, a seconda di come viene considerata la Sinfonia in Mi Maggiore D729, un tempo ritenuta la n. 7, ma oggi più correttamente ritenuta un lavoro largamente incompleto e appena abbozzato). Ci sono stati alcuni tentativi di completamento, ma non sono mai entrati nell’uso comune (completando gli abbozzi del 3° movimento e usando come 4° un intermezzo per Rosamunde, da molti ritenuto originariamente composto per la D759). Anche la Terza di Borodin ha una storia particolare (solo due movimenti abbozzati e poi completati e orchestrati da Galzunov). Ci sono poi casi più discutibili, come l’ipotetica Decima di Beethoven, il cui primo movimento è stato assemblato da Barry Cooper sulla base di schizzi difficilmente identificabili, o il suo Sesto concerto per Pianoforte e Orchestra (in realtà di questo lavoro Beethoven scrisse ed orchestrò effettivamente buona parte del primo movimento).