Il programma proposto da Jessica Pratt nel concerto, che venerdì scorso ha eseguito nell’ambito del più scalcinato Festival Verdi che il capoluogo emiliano abbia visto negli ultimi anni ha rappresentato l’unico evento che meritava (forse in uno con la bacchetta di Jader Bignamini) una trasferta. I parmigiani hanno molto apprezzato il programma perché univa pagine popolare ad altre rare o addiririttura mai eseguite nell’ultimo secolo e non solo a Parma, lo hanno apprezzato i fans gai e numerosi del soprano australiano accorsi e ritengo anche una cantante d’opera oggi dedita all’insegnamento, che si è affrettata a registrare la pazzia di Elvira dei Puritani. Che la usi come materiale didattico o materiale denigratorio poco importa. Stiamo ai fatti.
Come stiamo ai fatti di alcune recensioni che hanno dovuto dire che la Jessica ha cantato molto bene, ma che hanno, con saccenza –molta- e nullo buon senso, impartito dai loro entomologici siti una inutile e disinformata lezione.
Allora chiariamo perché lo possiamo che ciascun brano (bis compreso dedicato a Luisa Tetrazzini) era proposto con riferimento ad una prima donna verdiana sul presupposto che le medesime, ora per necessità, ora per evitare il peso del repertorio verdiano, ora “perchè si deve prendere quello che ti offrono” come lungamente praticato dalla elegante signora ex cantante, seduta in platea. Nel dettaglio corrisponde al vero che “Convien partire” in italiano perché in questa lingua fu la prima scaligera della Figlia, venne interpretata da Luigia Abbadia, poi prima Giulietta di Kelbar, ma una cosa è certa la signora Abbadia non era affatto un contralto come si afferma desumendo dalla presenza nel repertorio dell’Arsace di Semiramide. Era semplicemente un soprano centrale o comodo tanto è che il titolo che più a lungo praticò fu quello di Leonora di Guzman e fu la prima Saffo.
Ancora nel predisporre il programma nessuno ha pensato alla Tacchinardi Persiani per il semplice fatto che la Fanny cantò pochissimo Verdi e mai una prima assoluta. La tirolese di Linda era, invece, inteso omaggio ad Eugenia Tadolini e lo era in quella che –probabilmente- fu la tonalità in cui la Tadolini, estesa sì ma non come la Tacchinardi e nel 1844 con più di tre lustri di carriera sulle spalle, la eseguì alla prima scaligera nella stagione del 1844. La storia dell’esecuzione della tirolese da parte della Tadolini è interessantissima e ci dice l’importanza che i protagonisti assumevano in un titolo. Sappiamo che Linda alla prima viennese “si cavava” dalle scene con un semplice recitativo perché la grande scena era quella di follia in chiusa del secondo atto. In questa forma la Tadolini eseguì il gioiello donizettiano alla prima italiana a Trieste, poi Donizetti aggiunse il numero brillante per la prima parigina protagonista la Tacchinardi e pacifico che quell’inserto desse un’ulteriore spazio alla protagonista la diva Eugenia Savorani Tadolini se ne impossessò per la prima esecuzione successiva a quella dell’inserimento. Quindi nessuna Tacchinardi di mezzo come nessuna Grisi (altra diva degli Italiani) che di Verdi cantò Trovatore, Foscari ed Ernani, ma mai nessuna prima assoluta e non piaceva a Verdi. Vedi corrispondenza datata 1857; che la disistima fosse per le condizioni non più ottimali della diva o per il suo stretto legame con l’operismo precedente non conta in questa sede. Infatti la cavatina di Semiramide era, nell’intento di chi ha approntato il programma, un omaggio a Rosina Penco. E qui la storia si fa altrettanto interessante perché la Penco cantò la prima del Trovatore, sul finire della carriera acconsentì ad eseguire la Amelia del Ballo (in assoluto la parte più difficile che Verdi abbia scritto per un soprano), ma paura di rovinare la voce, repertorio degli Italiani in condominio o in sostituzione della Grisi la portarono a privilegiare il prima compreso Il matrimonio segreto e i titoli ancora in repertorio del Rossini serio come Donna del lago e soprattutto Semiramide. Una scelta ancor più estrema avrebbero suggerito l’inserimento dell’aria di Carolina, modello dell’ingenua dell’operismo settecentesco. Anche se la vocalità ed il gusto di Jessica Pratt si dirigono verso altri paradigmi di personaggio. Basta sentire il mordente e lo slancio che la voce acquista dal sol acuto in su che consentirebbe di applicare alla sorridente ragazzona australiana quanto si diceva per la Tetrazzini ossia che ha la voce di petto negli acuti e le voce di testa nei gravi. Giusto quindi l’omaggio nel bis a quella che fu la Violetta più accreditata fra 1895 e 1915 e che di Violetta privilegiava un’esecuzione belcantista, ampliamente documentata dal disco e da leggersi nella storia della vocalità come la tradizione cui si contrapponevano in quegli anni le Traviate espressive e realiste della Bellincioni e della Storchio (che cantava benissimo in quanto prodotto della scuola Garcia) e giusto l’omaggio alla prima opulenta e Violetta la Salvini Donatelli, famosa fra l’altro come Lucia. Poi sarebbe il caso per chi studia seriamente la storia dell’interpretazione verificare quale cavatina di sortita eseguisse perché l’altra grande Lucia (la Strepponi, qui omaggiata con la follia di Elvira, che la futura signora Verdi eseguiva ovunque in quanto compagna di Napoleone Moriani ossia l’Arturo per antonomasia degli anni 40) passava da quella originale all’inserimento di quella di Rosmonda dall’omonima opera.
Ma si sa spesso un programma di concerto è un work in progress e magari altrove troverà una completa collocazione. Per il momento oltre ai pezzi noti e che la Pratt esegue sovente il pubblico è sobbalzato per la polacca di Camilla degli Orazi e Curiazi, che sarebbe la cabaletta della sortita, ma che per la peculiare forma può stare da sola. Non dimentichiamo che un’aria scritta per Erminia Frezzolini da Verdi il “non fu sogno” è proprio in forma di polacca. Anche qui l’esecuzione del passo ha confermato quanto ritenuto dalla critica del tempo (mica cioccolataia e cialtrona come l’attuale) ossia che papà Frezzolini aveva, in qualità di maestro di canto, vietato alla figlia di eseguire note più basse del sol3 per evitare suoni di petto. Date una simile scrittura a Jessica Pratt e ne otterrete un’esecuzione che fa riflettere, più di ogni altra sulla vocalità dei soprani di Verdi e sulle loro scelte di repertorio.
Siccome oltre alle considerazioni generali che un simile programma meritava (e le facezie di certa stampa virtuale pure) rimane una interessantissima prestazione non solo per le scelte. In passato per motivi ben noti nessuna cantante è stata “passata al setaccio” dal Corriere più di Jessica Pratt anche perché la capacità tecniche sono di altri tempi e quindi la Pratt deve essere valutata con i criteri che si riservano a colleghe del passato recente e/o remoto. Forse alla fine del massacrante programma nella scena del Crociato c’era meno forza che non a Venezia nel 2012, ma in compenso la voce appare più omogenea che in passato e l’esecuzione dell’ornamentazione davvero unica, ovvio che gli acuti estremi danno l’idea soprattutto nei palchi e nel loggione di suoni immensi, mentre sono solo suoni giustamente proiettati nella cosiddetta maschera e sorretti da una adesso corretta e costante respirazione, a riprova che il cantante è metà artista e metà atleta. La sezione conclusiva della tirolese è travolgente, come pure la distribuzione del fiato nell’andante di Violetta (la belcantista nei panni della Traviata in questo trova il suo punto di forza) ed Elvira non avrà il languore dell’altra australiana, ma ha lo slancio del personaggio pensato per il maggior soprano rossiniano del suo tempo.
Una considerazione finale sull’accompagnatore, maestro James Vaughan, che il sito del teatro ci informa essere stato al fianco di Riccardo Muti in ben diciassette produzioni scaligere. In questo il Riccardo da Molfetta ricorda quelle donne, di bellezza assolutamente nella media, che si circondano di amiche decisamente racchie allo scopo di risultare più fascinose.
Donizetti: Linda di Chamounix – O luce di quest’anima – Jessica Pratt