Nell’ariosa cornice dell’Opera Municipal di Marsiglia è andata in scena nella sua integralità la monumentale Semiramide di Rossini, capolavoro del genio pesarese, in un’edizione in forma di concerto degna di plauso e con diversi elementi di grande interesse. Iniziativa meritoria e coraggiosa quella di proporre senza tagli un titolo così significativo nella storia del melodramma, un titolo certamente non facile né per il pubblico, sconcertato dalla lunghezza dell’opera, dalla trama complicata e dal fatto che l’autore sia Rossini, ancora oggi associato ai titoli comici e leggeri (i commenti del pubblico erano esemplificativi di ciò), né, soprattutto, per i cantanti.
Poter ascoltare l’opera per intero nella sua struttura imponente ed equilibrata non fa che confermare l’ammirazione per questo lavoro grandioso e solenne, ben valorizzato dalla direzione di Giuliano Carella, sempre attento ad agevolare i cantanti nelle sonorità e a scegliere tempi e ritmi incalzanti che, però, conservavano intatta la tensione drammatica e sottolineavano la girandola di situazioni affettive previste dalla trama. Il merito maggiore del direttore, alla testa di un’orchestra non perfetta alle prese con un titolo non di repertorio (diverse sbavature qua e là), ma ricettiva agli stimoli del direttore, è stato garantire coesione all’opera nel suo insieme valorizzando non solo i cantanti, ma anche le parti corali e i recitativi; lavoro fondamentale giacché il rischio che Semiramide si trasformi in una sorta di recital di arie e duetti privi di drammaticità è sempre dietro l’angolo.
Veniamo però ai cantanti che, nel festival del belcanto che è Semiramide, sono assolutamente fondamentali per la riuscita dell’impresa. Tolti i ruoli minori di Azema, una buona Jennifer Michel, di Mitrane, un ingolato e sgraziato Samy Camps, e di Oroe, Patrik Bolleire, qui impiegato anche per dar voce al fantasma di Nino, un basso del livello medio attuale, ma forse migliore di divi più acclamati, i restanti quattro ruoli sono di impressionante difficoltà. Note estremamente positive per le signore, molto meno entusiasmanti per il comparto maschile.
Mirco Palazzi è un Assur pieno di buone intenzioni interpretative, ma dalla voce troppo piccola per risultare davvero minaccioso ed eroico quando la parte lo richiede. Conscio del limite, dato dal volume e da una tecnica imperfetta che lo vede in difficoltà sia nelle note più gravi, piuttosto flebili, sia in quelle più acute, che tendono ad andare indietro e a stimbrarsi, cerca di creare un personaggio insinuante e subdolo. Le agilità ci sono, pur se non sempre precisissime. Palazzi dà il suo meglio nella grande scena del secondo atto in cui lo sgomento e l’angoscia di Assur gli permettono di forzare meno la voce. Nel complesso un Assur che nel panorama odierno, desolante, risulta senza dubbio dignitoso, ma siamo ad anni luce non dico da un Ramey, ma anche dal nostro buon Pertusi.
L’Idreno di David Alegret è la prova che questo ruolo non può essere affidato a vocine esili, falsettanti e prive di corpo senza risultare davvero inutile o destare perplessità. In un’edizione integrale la parte assume un certo peso: ci vuole corpo per rendere adeguatamente i concertati e non essere del tutto coperti, serve corpo per dar voce alle passioni amorose di Idreno, principe innamorato e appassionato, serve corpo per dare un senso alle due arie, ornamentali quanto si vuole, ma difficilissimo compendio di una certa vocalità di bravura in pieno stile rossiniano. Purtroppo la voce piccola, bianca e sfarfallante di Alegret è del tutto impari al cimento, nonché assai poco soave nello sciorinare le agilità e nel dispensare sopracuti fissi, non ben intonati e sgraziati che più di una volta han fatto mormorare il pubblico. Qui un paragone con Blake, Merritt, Kunde o gli stessi Florez e Matteuzzi non si pone neppure.
Vera sorpresa della serata, di contro, sono le bellissime prove offerte dalle due protagoniste femminili.
Varduhi Abrahamyan, mezzo armeno a me precedentemente ignoto, ha dato vita a un Arsace nobile, appassionato e ben cantato. Voce bella e sonora a suo agio in tutta la tessitura, eccetto per le note gravi estreme che erano ingolate, ma mai pompate in modo caricaturale. Dizione perfetta e scolpita specie nei recitativi, bel modo di porgere le frasi, perfettamente a suo agio nella coloratura, variazioni interessanti e solitamente non in acuto (in questo il modello è certo la Valentini-Terrani piuttosto che la Horne o la Dupuy), è riuscita a convincere, anzi, a entusiasmare il pubblico fin dalla cavatina di sortita, mantenendosi poi su quest’ottimo livello. Credo fosse il suo debutto nel ruolo di Arsace e ritengo ci sia margine di miglioramento se lavorerà sulle note più gravi per renderle più omogenee. Speriamo non si rovini e continui così!
Più che una sorpresa, un’ennesima conferma è giunta da Jessica Pratt debuttante nel ruolo della regina Semiramide. La parte, a rigore tendenzialmente bassa per il soprano australiano, la vede uscire vincente grazie ad una tecnica eccellente: mai un suono artefatto, voce sempre in maschera, libera e sonora dalla nota più grave a quella più acuta. Parte privilegiata della voce della Pratt è la fascia medio-alta, quella in cui la facilità è evidente e volume e armonici crescono in modo naturale e cospicuo, ma anche i centri sono ben gestiti e si sente che lo studio sta dando i suoi frutti nel rafforzare quella parte della voce. La prova è vocalmente eccellente: l’introduzione, piuttosto bassa, la vede più cauta, ma poi cresce costantemente durante la recita senza mostrare segni di stanchezza vocale, dimostrando padronanza della coloratura e caratterizzando il personaggio con nobiltà e sensibilità. Ci si augura che la Pratt continui a cantare il ruolo e provveda ancor più a variare e trasportare la parte in modo da poter far sfoggio delle sue doti migliori. Speriamo di sentirla sempre più in Rossini, magari lasciando per il poi i ruoli Colbran!
Grande successo e caloroso per tutti al termine, in particolare per le due protagoniste. Dispiace vedere il teatro pieno solo per tre quarti: un’operazione di tal genere meritava di ricevere più attenzione, nonostante non vi fossero alle spalle le promozioni delle major e la piazza non sia delle più rinomate.
Giovanni David
La abrahamyan cantava stabilmente in tutti i teatri di Parigi e al capitole. L ho sentita moltissime volte e non mi ha mai impressionato anche se è sempre stata”corretta” diciamo. Probabilmente stando alla recensione gli anni di galera le hanno fatto del bene e ha avuto la sua maturazione. Sperando a questo punto di risentirla anche in Italia.
Bell’articolo, complimenti.
Che bella cosa (per un rossiniano sfegatato come me) potersi sentire una Semiraride integrale. Io ci ero riuscito nel 1992 a Pesaro…
in ogni caso sempre e comunque: Viva Rossini!