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Parlando di Riccardo Muti ho sempre cercato di distinguere il musicista dal personaggio: il direttore d’orchestra con i suoi pregi e difetti dal “monumento” eretto da certa stampa e TV, dalla fede di certi critici militanti, dall’interesse di una certa politica politicante e dal proprio ipertrofico ego. Col tempo il personaggio ha avuto la meglio sul musicista (vizio comune anche a molti suoi colleghi e connazionali). E non vi sarebbe nulla di male se quel personaggio non avesse, purtroppo, influenzato anche il musicista: fino a che la debordante mediatizzazione di Muti si è limitata alla retorica dei discorsi pre e post concerti o al porsi come reincarnazione di Verdi o Toscanini, al massimo poteva suscitare ilarità o irritazione, ma quando essa ha invaso anche il modo di “far musica”, allora il problema si è fatto più serio. E davvero risulta più complicato, oggi, scindere il direttore Muti, dal personaggio salito sul suo personale pulpito o piedistallo. Comunque sia, il fatto è che oggi – tra i maggiori direttori d’orchestra in attività – Muti è decisamente il meno interessante da ascoltare: e non solo per i programmi sempre uguali, ma proprio per un’interpretazione ormai manierata nei gesti abilmente ripetuti e reiterati, in una retorica fasulla, ma ugualmente untuosa (quella di Verdi che “pianse e amò per tutti”), del “nemo propheta in patria”, dei giovani allo sbando e dello sciovinismo culturale che il nostro porta avanti ormai da anni. L’imminente iniziativa di Rai 5, di affidare a Muti 8 appuntamenti/lezioni dedicate a vari argomenti musicali, si inserisce a buon diritto nella melassa retorica che innerva l’ultima stagione mutiana. Non è l’iniziativa ad essere criticabile (tutt’altro) e neppure la scelta del musicista, ma, come sempre, sono le modalità di realizzazione (reso evento capitale da una stampa incapace di indipendenza di giudizio e pensiero) ad essere discutibili, come preannunciato dalle abbondanti interviste rilasciate nel frattempo. Inizialmente credevo si trattasse della ritrasmissione delle lezioni/cabaret con cui il nostro ha “deliziato” il pubblico milanese, romano e – recentemente – quello vista lago Michigan e che sono vendute a caro prezzo nel suo personale sito internet: invece si tratta di contributi nuovi di pacca, come la prosopopea ministeriale dei burocrati rai ha tenuto a precisare. I contenuti sono tra i più disparati in un calderone che definire poco coerente è fargli un complimento: così si accostano in un’insensata carambola il Berlioz di
Lèlio e della
Phantastique al “fondamentale”
Ritorno di Don Calandrino di Cimarosa, la
Jupiter, l’
Incompiuta o la
Sinfonia dal Nuovo Mondo al…
Matrimonio Inaspettato di Paisiello, senza dimenticare l’ovvio Verdi con i
Vespri ficcati in mezzo a Dvorak, Mozart e Schubert. Certo siamo lontani, auspicabilmente, dalle surreali lezioni su
Rigoletto o
Attila, dalla “baldraccona” Maddalena e dalla previsione della futura scomparsa di Wagner a favore di Verdi…ma non mancheranno le consuete sparate. Certo ora il tono si fa più serioso, nell’atteggiare una saggezza più adeguata al novello ruolo di pubblico censore delle cose musicali italiane. Già la stampa si è schierata e il diretto interessato ha ben ceduto – ingenuamente – alle sue lusinghe e come chi per l’ansia di dire tutto, alla fine dice troppo, passando così dall’ipotetica ragione alla certezza del torto, Muti cade di nuovo nel tranello e non si esime dal dispensare sprezzanti giudizi o volgari apprezzamenti per scaldare i motori dei molti che lo detestano e il rancore carbonaro dei suoi adepti. Ad accompagnarlo in questo ciclo di conferenze televisive, la “sua” Orchestra Cherubini: di cui il nostro pare ricordarsi solo nelle grandi occasioni (quando c’è almeno una telecamera a testimoniarlo) e che gli permette di fare una immaginaria bella figura di fronte alle legittime istanze di un ringiovanimento musicale in Italia. Poi poco male se tale orchestra ha più di un problema e ogni volta pare orfana di una guida effettiva (e non solo di facciata, magari per farsi bello nei confronti del più celebre rivale da poco scomparso) e di un ipotetico confronto con la splendida Orchestra Mozart neppure si può parlare. Siamo in Italia e la confezione è sempre più importante e costosa del contenuto. Vi lascio con l’ascolto di un direttore che, stando alle più recenti esternazioni del buon Riccardo, meriterebbe di essere fischiato a causa delle intemperanze sul podio: ai posteri la sentenza?
Gli ascolti:
Caro Duprez,
leggo spesso i suoi articoli e la Grisi in generale: alcuni mi fanno sorridere, altri mi aprono nuove prospettive e sono felice di leggere, altri ancora mi fanno pensare che qualcuno per voler giocare ad essere un palato troppo raffinato finisce per non godere di nulla e morire di fame. Ma qui ci sono tante e tali approssimazioni che in realtà non si può proprio parlare di critica.
Il personaggio e musicista Muti sono due cose diverse e siamo d’accordo. Basta ascoltarlo in Inglese e diventa molto più simpatico, visto che fortunatamente non è capace di esprimere tutta la sua insostenibile prosopopea in una lingua straniera. Che sia intellettualmente poco interessante…mah, forse, si possono obiettare tante cose.
Però va detto che sono pochi oggi, quelli che scavano il testo musicale e non, i dettagli della partitura e le qualità di un’orchestra con la cura, l’artigianato fin quasi al limite della pedanteria come fa lui. Basta vederlo al lavoro, soprattutto quando le telecamere sono spente. Conosco personalmente molti musicisti e cantanti che lavorerebbero con lui fino all’eternità in sala prove per la ricchezza del lavoro che porta avanti sul testo, sulla musica, sui dettagli.
Sul fatto che faccia lo stesso repertorio da anni, e’ tendenza comune a tutti i direttori che invecchiano: generalmente con l’età si tende a cercare di fare le cose che più si sentono.
E questo vale per tanti grandi, che più invecchiano più restringono il loro repertorio ai loro cosiddetti “classici”, non fosse altro se non per il fatto che devono accettare meno compromessi con quello che le orchestre offrono loro.
Al contrario è dimostrazione di grande cecità uditiva (sì, perché anche visivamente si può notare) non riconoscere quali cambiamenti nell’interpretazione Muti ha compiuto negli ultimi anni, compreso quelle che è sempre stato il suo problema più grande: il lasciar andare, l’essere capace di far fluire il discorso musicale invece che martellarlo ad ogni piè sospinto. Basta prendere una registrazione della Scala anni ’90 e qualcosa degli ultimi 10 anni. Un cambiamento che la dipartita dalla Scala ha certamente favorito.
Poi, i documentari di cui lei parla non sono novità, ma esistono su DVD da almeno 3-4 anni. Dato il repertorio così specifico/bizzarro ricordo benissimo quando uscirono in edicola anche se non li ho sottomano. Che poi lo studio della scuola napoletana non sia forse il filone più importante della storia della musica, possiamo anche essere d’accordo. Tuttavia, gli si deve dare atto che è sempre stato un suo punto fermo e gli fa onore che invece di sbrodolarsi tanto con repertorio blockbuster o arrampicarsi in cose a lui non consone ( lo vogliamo davvero sentire far L’Arianna a Nasso o il Palestrina di Pfitzner o peggio ancora il Pelléas di Debussy…? ), usi quel potere e quella celebrità acquisita per fare e proporre la sua agenda, la “La Betulia liberata” (sì, pure quella di Jommelli…) perché è convinto che sia un repertorio ingiustamente trascurato.
Anch’io avrei preferito che ci avesse fatto lezione su altro repertorio, ma non credo che questo vada a suo demerito.
Chissà, magari fra vent’anni potrebbe esserci una “scuola napoletana” Renaissance e io e lei saremo a fare la figura dei fessi perché snobbavamo il Don Calandrino…
Sull’orchestra Cherubini, invece ci sono delle vere e proprie inesattezze. Tanto per cominciare il target dell’orchestra: paragonarla alla Mozart significa non capire che cosa le due orchestre siano. La Mozart non è proprio proprio un’orchestra giovanile, perché si avvale di alcuni dei migliori già svezzati professionisti di tutta Europa. Alcuni sono proprio dei Berliner…
La Cherubini è una vera orchestra giovanile a cui quando si entra quando si è ancora da maturare, dentro la quale si fa un percorso biennale o triennale, se non erro, e dalla quale poi si esce. E’ quella che si chiama orchestra di formazione. E se non suona come la Mozart, mi perdoni il francese, grazie al cazzo…i presupposti sono proprio diversi.
Inoltre il tempo che lui passa con quell’orchestra, la promozione che ne fa, ma soprattutto il lavoro che costantemente fa con quei ragazzi, non sono proprio da chi se ne approfitta solo per farsi bello quando fa comodo. Chi ha lavorato in quell’orchestra lo sa.
Da ultimo quello a cui Muti si riferisce è quell’esibizionismo da podio, spesso privo di sostanza musicale che non esisteva prima del video. Lasci stare Bernstein, le genialità e le eccezionalità di quel tipo sono fuori categoria.
Ma quanti nuovi direttori, pianisti, violinisti sembrano toccati dall’estasi divina anche quando quello che esce non è poi così interessante? Quanti sono belli da vedere e orrendi da ascoltare? Un Bernstein fatto solo di zompi, boccacce e sudore, senza la sua incredibile, autentica e fenomenale sostanza musicale sarebbe solo un fenomeno da circo.
Ed è certamente ironico che per tanti anni il nostro Muti è stato il direttore “bello da vedere”, con il fiero cipiglio, la chioma svettante nero corvino, pieno di turgore e testosterone…però gli va dato atto che anche lui di sostanza dietro ne ha sempre avuta tanta.
Tutto questo per dire solo che sì, se stesse zitto farebbe un servizio migliore alla musica ed a se stesso. Ma anche per dire che a volte, a guardare bene dentro la scatola, anche se la confezione è pacchiana e provincialotta, la sostanza c’è, basta saperla cercare invece di maliziare.
Caro Hollander, innanzitutto ti ringrazio per la risposta e le precisazioni: come hai visto ho tenuto sempre ben distinti il direttore dal personaggio. Personaggio che, indubbiamente, è assai discutibile: soprattutto per merito di certa stampa e di certi “cerchi magici” che lo accompagnano, ma anche per proprie colpe nella prosopopea dei suoi atteggiamenti e nell’incontenibilità del proprio ego.
Certo che mi sono accorto dei cambiamenti e della maturazione del suo modo di far musica: cambiamenti che sono coincisi con il suo allontanamento dalla Scala. E davvero ho colto un nuovo atteggiamento, una maggior freschezza e libertà. Per poco tempo, ahimè… Perché presto – con la complicità dei suoi soliti supporters – si è nuovamente arroccato o, meglio, sclerotizzato su posizioni da censore della vita musicale italiana, assumendosi il ruolo di supremo esegeta di un certo repertorio, erede in terra di Toscanini e interprete esclusivo della “verità” verdiana. Tutto questo non può che dar fastidio. Anche perché parallelamente il suo modo di far musica si è sclerotizzato nella conservazione di un ruolo più che di una interpretazione. Il problema della reiterazione degli stessi titoli è relativo: il fatto è che tale reiterazione riguarda il modo di porsi di fronte alla musica, in un’ottica che oggi non dice più nulla. Dal Verdi che “pianse e amò per tutti”, al Beethoven romantico e dall’espressione corrucciata, sino al Mozart olimpico e anestetizzato…è sempre la solita solfa che batte da anni. A chi si rivolge? A chi può interessare? A chi può insegnare qualcosa?
Dici che a Chicago è diverso? Me lo auguro…allora però, mi chiedo perché in Italia non si astenga da quei fastidiosi discorsi polemici pre e post concerto. O perché non eviti certe dichiarazioni pubbliche (leggo ancora in una sua recente intervista le solite stoccate).
Dici che le lezioni sono vecchie? Non so, io leggo quel che hanno dichiarato alcuni dirigenti rai…probabilmente avrai ragione tu, ma come novità sono state presentate.
Infine sulla Cherubini: il paragone con la Mozart non lo faccio io, ma molti fan del Maestro che non perdono occasione per rinverdire i “fasti” della rivalità Muti/Abbado. Personalmente la trovo un’orchestra molto acerba e con diversi problemi. Chi vivrà vedrà.