La Sagra Musicale Malatestiana ha ospitato giovedì scorso, 3 settembre, l’inaugurazione della tournée della Filarmonica scaligera sotto la bacchetta di Daniel Harding (tappe successive: Merano, l’Auditorium di Roma e il Conservatorio ambrosiano, con due programmi proposti in alternanza). Il programma della serata romagnola prevedeva un brano di Charles Ives, The Unanswered Question, e la Quinta di Mahler. Nel primo brano, il direttore inglese (coadiuvato da un secondo, cui affidata la maggioranza degli orchestrali canonicamente disposti sul palcoscenico) guida singoli strumentisti, disposti lungo il perimetro della sala e in fondo alla stessa, in una disposizione che si sforza di rispettare quanto previsto dalla partitura (i tre gruppi di esecutori, che seguono tempi differenti, non devono potersi vedere tra loro e gli archi, che costituiscono il nucleo principale dell’orchestra, dovrebbero trovarsi dietro le quinte). La pagina, caratterizzata da un lirismo sospeso e screziato di rapide schegge dissonanti, evidenzia la compattezza degli archi e la precisione dei fiati, trovando la direzione un equilibrio ideale fra la classicità del notturno e il presagio, decisamente concreto, di una musica nuova e, per l’appunto, “interrogativa”. La dicotomia fra classico e moderno prosegue con l’esecuzione della Quinta, composizione che compendia, in proporzioni adeguatamente monumentali, il genere della sinfonia romantica e al tempo stesso si apre, come il brano di Ives, all’incombente Novecento, alternando tratti sublimi e sezioni grottesche, ospitando divagazioni e frammenti (a prima vista) incoerenti, indicando nella rinuncia stessa a una tonalità d’impianto la scelta di percorrere sentieri nuovi, o almeno poco battuti. Harding asseconda la natura della musica e trae dall’orchestra (in forma più che buona, che diviene ottima se si considera quale sia il livello delle performance abituali per la Scala, soprattutto nelle esecuzioni d’opera) una cantabilità franca, carica di trattenuta angoscia, nella grandiosa Marcia funebre iniziale, uno sgomento cristallizzato nel celebre Adagietto, una violenza senza nome e senza spiegazione nell’incipit del secondo movimento e persino nelle oasi apparentemente più spensierate dello Scherzo, trovando solo nel felpato incipit dell’ultimo movimento la possibile risoluzione di tutti i conflitti, o almeno una pace temporanea, che consente al grandioso finale di elevare il suo canto trionfale, sempre screziato di disillusione (peccato per alcune esitazioni degli ottoni nello Scherzo e nel finale – ripeto, rose e fiori, rispetto a quello che sentiamo di solito). E se Mahler convince, il fuori programma, con l’Intermezzo della Manon pucciniana, stupisce, conquista e travolge: il lirismo è pieno e totale, privo di inutili pomposità e stucchevole autocompiacimento. Il dramma della musica esplode in tutta la sua forza: la chiarezza e l’eleganza del discorso musicale ne risultano accresciute, non certo offuscate. I Pagliacci, ma soprattutto la Cavalleria, scaligeri non sono frutto della “fortuna del principiante”: questo è ormai evidente. Speriamo lo sia anche per chi ha il, ben remunerato, compito di provvedere alle prossime programmazioni del Piermarini.
Puccini – Manon Lescaut
Intermezzo – Filarmonica della Scala, dir. Daniel Harding (2015)
Ho assistito a questo concerto al kurhaus di Merano. Devo dire che se gli archi hanno fatto una gran Bell figura, gli ottoni si sono praticamente coperti di ridicolo. Immaginate che qua in 20 giorni si esibiscono le migliori orchetre….la scala spiace dirlo ma ha fatto una brutta figura. Comunque bellissimo il bis con la manon Lescaut.
ho sentito il concerto milanese per mito, che dovrei “recensire” oggi. devo dire che l’orchestra non ha suonato male anzi!
Mi fa piacere perché era da anni che non sentivo la filarmonica e sentirla ridotta così mi ha fatto male. Sono stato al concerto per sentire harding da voi spesso lodato e quindi volevo giudicare dal vivo col mio gusto. Francamente con questa orchestra mi e stato difficile farmi un idea. Piss solo dire che i tempi scelti erano molto belli, visione classica e di gusto insomma concordo col recensore. Purtroppo e impossibile esprimere un giudizio su colore orchestrale e parti soliste, pure così importanti nella quinta.
Mi scuso per i numerosi errori di battitura