Riattivata la parrocchia di Santa Maria della Scala in Milano, anzi il suo teatrino parrocchiale!

wien071Anni or sono una delle più attente ed analitiche scrittrici italiane Lalla Romano (1906-2001) scrisse un ultimo romanzo dove partiva da alcune foto della sua famiglia per proporre al lettore in una forma quasi di prosa d’arte ricordi e riflessioni. Non sono per età e per scienza la Romano, ma per questo Elisir rientrato da Malpensa muovo da due immagini famosissime relative ad una ripresa dell’Elisir agli Italiani del 1843 con un cast stellare: Fanny Tacchinardi Persiani per la quale oltre tutto la parte di Adina era stata rimaneggiata, Mario, Antonio Tamburini e Luigi Lablache. Mi soffermo su due aspetti che questa iconografia offre: il tombeur de femmes Mario ritratto come un bel ragazzino, timido, forse spaventato, certamente timoroso davanti alla mole (ed a quella che lui crede scienza) del dottore, un immenso Lablache, ed Antonio Tamburini azzimato, rigido nei panni del sergente Belcore giustamente più affettato che innamorato. Non so se in scena fossero così, ma l’iconografia miracolosamente più che Mario e Tamburini offre Belcore e Nemorino nella loro essenza quelle pensata da Romani e Donizetti, offre il mondo agreste assolutamente letterario e di fantasia del melodramma e cui un altro genio Alessandro Sanquirico, proponendo di fatto la parrocchiale di Rivolta d’Adda, diede scenografia.
TamburiniElisirBene: di questo, che a prescindere dall’iconografia è l’essere dei personaggi e dei luoghi di Elisir, l’altra sera, al rientro da Malpensa, non c’era alcunché.
Le impressioni negative si sono di fatto confermate dall’ascolto diretto.
Il migliore in campo è stato Vittorio Grigolo ché in mezzo ai ciechi l’orbo è re, sospetto aiutato sotto il profilo del volume vocale, troppo ed inutilmente estroverso in un personaggio che è la declinazione dell’introversione e vocalmente molto piatto e generico perché darci a pieni polmoni impedisce morbidezza, dolcezza e sfumature, elementi che sono, anche senza essere Schipa o Gigli, la sigla del contadinello bergamasco. La prova che il canto di Grigolo sia di sforzo e spinta alla ricerca del volume in assenza della proiezione o “punta” della voce è che,arrivato al concertato “io già mi immagino” e quanto segue “furtiva lagrima” in primo luogo il cantante è incapace di legare i suoni e ricorre ad un melodioso parlato, talora inficiato da problemi di intonazione (Furtiva lagrima e duetto con Belcore alla famosa frase “ai perigli della guerra”). Come pure che il cantante sia in difficoltà lo rivelano le poche frasi sul passaggio della parte, dove la voce all’improvviso sembra impoverirsi e “restringersi”.
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Ciò non di meno il meglio del cast perché Mattia Olivieri a parte la metamorfosi del sergente da smargiasso malato di machismo in una parodia del pazzariello napoletano canta con voce gonfia ed ingrossata la sortita, privandola di tutta la melliflua ipocrisia (e vanagloria) del sergente per poi trasformarsi al comparire di parche figure ornamentali in un tenore sbiancato per riuscire a gestire al parca coloratura. La figura offerta dall’iconografia di Antonio Tamburini trova la sua realizzazione in lontani 78 giri come quello di Antonio Scotti, che sembra per senso del rubato, fluidità della vocalizzazione pervenire da quelle recite parigine. Camminare come una marionetta, per giunta vestito come un burattino, cantare con suoni bitumati significa tradire l’autore.
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Infelice la prestazione di Eleonora Buratto, che pure di Adina in versione bassa bergamasca avrebbe la complessione fisica. La voce suona vuota in zona grave per cui i salti previsti per rendere Adina anche lei una prima donna ottocentesca portano ad emettere suoni vuoti e sordi, l’intera prima ottava suona opaca e ingolata come è tipico dei cantanti cui non è stato insegnato in quella zona il sostegno del suono sicchè quando sale o pigola e sfarfalleggia oppure spinge e grida. Inoltre e questa costituisce “la prova del nove” per dire che non sa cantare la dizione è assolutamente ingarbugliata. La famosa patata in bocca che connota il cantante che non sa articolare perché non sostiene il suono. Che poi in zona medio acuta talvolta si captino suoni di un certo volume è perché in quella zona si trova la zona della voce naturale del soprano lirico leggero. Quanto leggo che questa cantante ha già affrontato Maria Boccanegra o la scrittura centralizzante di Corinna nel Viaggio provo dolore e rammarico per come non venga neppure offerta la possibilità di crescere come cantanti alle giovani leve!
Chi trent’anni fa ha avuto la possibilità di fare la carriera con le opere giuste per la propria non illimitata voce e la propria parziale tecnica è Michele Pertusi. Oggi è ridotto ad un rottame con la voce ingolata ed ovattata, e siccome il mezzo era normale nel momento migliore, oggi è modestissimo vuoto in basso e stimbrato in alto e siccome l’interprete non è mai stato un faro non ha neppure idea e fantasia di quel che “senza voce” si può fare per essere un grande Dulcamara, come, senza se e ma, fu Sesto Bruscantini.
Non solo, ma parcamante riprovato per una prestazione, che reca disdecoro ad una carriera che oggi dovrebbe essere finita non ha trovato di meglio che insultare il pubblico che lo aveva riprovato con il gesto del dito attorno alla tempia. Allora MAI i cantanti dei quali Pertusi fu compagno in gioventù e che rispondevano a nomi storici come Kraus e la Sutherland o di insuperata carriera come Dupuy, Devia e Blake si sarebbero permessi un simile gesto e commento al pubblico. Anche qui per farlo devi avere subito una ingiusta crocefissione per motivi extra artistici come il loggione della Scala nel dicembre 1970-gennaio 1971 inflisse alla Scotto e devi anche essere Renata Scotto o consimili.
elisir_sanquiricoIl direttore era consono a questo piatto squallore. Osservando alla ripresa dalla Malpensa che Fabio Luisi (direttore e concertatore con un repertorio da grande bacchetta di area mitteleuropea) dirigesse con lo spartito davanti qualcuno dei nostri lettori mi ha fatto osservare che non si giudica un direttore e concertatore dalla presenza o meno della partitura sul leggio. Vero, ma un direttore lo si giudica dal suono dell’orchestra e dalle sonorità della medesima, che erano sempre pesanti e letargiche (salvo in presenza di Pertusi, ovvio!), dal rendersi conto delle qualità dei cantanti e dalla capacità di calibrare tempi e dinamiche sulle stessi, donde l’inopportunità e perniciosità di rallentamenti durante il duetto Adina-Nemorino, della prima sezione del finale primo quando sono in scena i due amanti ( dove Buratto e Grigolo sono costretti a gridare) e di un concertato finale atto primo pesante e soporifero come fosse quello di Dom Sebastien. A maggior ragione stupisce perché giusta il mese di luglio Fabio Luisi ha trasformato Medea in Corinto di Mayr, ossia il più importante titolo serio pre Rossini napoletano in un intermezzo napoletano!
Da ultimo lo spettacolo che è da parrocchia donde il titolo ironico (e di rimpianto perché la chiesa voluta dalla Signora Bernabò Visconti era edificio di grande valore nella Milano tardo trecentesca) perché quattro quinte, rappresentanti alberi, un fondale, alcuni canestri di frutta da utilizzare quali sedili ed un praticabile non richiedono un professionista e sostenere i costi di importazione (da Zurigo) ma qualche ora di lavoro di un gruppo di studenti di una scuola di scenografia. Di regia neppure il caso di parlare, salvo lo strafalciane di rendere Belcore più marionetta di tutti in questo spettacolo da parrocchietta.
E che fosse da “parrocchietta” lo hanno confermato i miseri applausi alla fine del primo atto, il brava la claque dopo l’aria di Grigolo e le due uscite alla fine, allietate dall’esempio di educazione di Michele Pertusi.

6 pensieri su “Riattivata la parrocchia di Santa Maria della Scala in Milano, anzi il suo teatrino parrocchiale!

  1. In riferimento alla analisi dell’impagabile Donzelli, mi permetto di non sottoscrivere parte di quelle critiche. Ho trovato la rappresentazione del 21 settembre gradevole, soggetto più di soddisfazione che di rammarico. Ho condiviso l’allegria della messa in scena e non ho trovato stonato il taglio pastello di Pericoli; l’entrata di Dulcamara chiuso in una scatola magica mi ha fatto ricordare dell’ingresso di Petruska in scena nella versione di Diaghilev, tutto questo per allacciarsi ad una lettura un po’ da marionette, secondo me non forzata.
    Relativamente al giudizio sulla brava e giovane Buratto (quoto da Donzelli “Inoltre e questa costituisce “la prova del nove” per dire che non sa cantare la dizione è assolutamente ingarbugliata”) rimando a chi ha voglia e pazienza alla rilettura su questo blog del giudizio lusinghiero espresso per la stessa da Duprez (http://www.corgrisi.com/2010/10/una-medea-a-cremona “Buona la Glauce di Eleonora Buratto: voce fresca, abbastanza agile e precisa nella difficile coloratura. la parte è integrale – a differenza delle esecuzioni storiche, ove era ridotta a poco più di una comprimaria – e presenta notevolissime difficoltà, essendo il ruolo più spiccatamente belcantista dell’opera”). Secondo me è una giovane cantante di buone doti che discretamente bene ha fatto e che mi auguro saprà perfezionarsi e migliorarsi.
    Relativamente ai “boo” della seconda galleria, ero vicino ad un bravo giovine ululatore, che per le sue performance mi sembrava prendesse consiglio da un gruppetto di anziani quanto me, forse timidi, per dar loro voce. Ho chiesto al bravo giovine, visto il suo dissenso, di citarmi cortesemente una cantante in attività che lui avrebbe volentieri visto come Adina ottenendone una risposta bischera (“una turista qualunque sarebbe meglio di questa”) ed un gesto di stizza. Forse a Villa Turro dovrebbero essere più attenti ai controlli in uscita… E’ sempre sorprendente quello che viene fuori quando si cerca – con cortesia – di far parlare i “buuatori”. Con buona pace dell’ottimo Donzelli penso che chi andrà a vedere questo Elisir sarà più contento che scornato.

    • se tutti i matti o i disturbati fossero a villa turro questa avrebbe le dimensioni almeno delle Americhe! quindi per forza sono fuori e molti applaudono o calcano il palcoscenico della Scala. Quanto all’Adina migliore della Buratto, atteso che ero presente quando lei ha formulato la domanda e nella fretta di scrivere mi sono dimenticato di aggiungere al doverosa chiosa la prima che mi viene in mente è Maria Agresta che quel repertorio dovrebbe cantare (atteso che ormai stenta pure sulla Boheme) aggiungo Irina Lungu, che almeno è musicalmente quadrata e forse anche qualche “scoperta” del Festival di Pesaro tipo la signora Peretyatko, insufficiebte quale Desdemona ed Elvira, ma alla prese con Adina…… il tutto senza pensarci troppo.
      Quanto poi all’impostazione il problema, che -forse- Le sfugge non è se lo spettacolo sia gradevole, carino, grazioso e via con sciroppini perifrastici, ma se sia pertinente all’autore e, magari alla poetica. E qui marionette, pagliacci, balletti russi et consimilia sono fuori luogo.
      Vede ad accettare in principio quanto a Lei gradito si arriva a giustificare, tollerare, e magari applaudire tutto, salvo poi spargere lagrime sullo stato dell’opera e della cultura senza accorgersi che taluni atteggiamenti del pubblico sono complici.
      Da ultimo non sono “scornato” sono dispiaciuto, offeso e magari incazzato. Concetti mi pare piuttosto differenti dallo scorno!
      Aggiungo grazie per l’anziano visto che ero la sola compagnia del giovane buatore, che prendeva ordini e qui chiamo in causa il principe de Curtis con il suo proverbiale “mi faccia il piacere!”
      buon giorno
      DD

  2. Mi dispiace leggere dello stato di Pertusi, che era un buon cantante di livello decisamente superiore alla media attuale (anche come tecnica). Inoltre, come scrive Donzelli, aveva avuto l’intelligenza di iniziare cantando parti adatte alla sua voce. Me lo ricordo nel 1992 a Pesaro come Assur e funzionava bene, così come in Turco in Italia o Conte Ory a Torino.
    Ma gli anni di carriera passano per tutti…. e sono passati anche per cantanti tecnicamente di livello superiore al suo!
    Poi ci sono i soliti noti Lauri Volpi, Gigli, De Luca, Siepi, Freni, Scotto, Olivero, etc. che anche ad età stramatura cantavano in modo strordinario…

  3. Nell’articolo manca solo una critica, per me importante quanto – se non più – delle altre: i tagli praticati dal direttore erano veramente eccessivi. Personalmente trovo che qualunque riduzione sia sempre deleteria, ma in un opera dalle proporzioni perfette come Elisir queste sforbiciate degne di Molinari-Pradelli sono davvero oscene.

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