La decisione di pubblicare lo stralcio di un’intervista alla Caniglia ha generato una serie di risposte ed un interessante dibattito Sento, quindi, il dovere di intervenire in primo luogo per riportare la mia esperienza di ascoltatore di voci femminili, per un tratto corrispondente a quella di Domenico Tassi e, poi, a quella di Antonino d’Emilio.
Ha ragione Antonino d’Emilio quando dice che l’artefice dell’opinione di Maria Caniglia quale cantante dedita al “malcanto” ed al giusto verista fosse di Celletti. Posso capire la posizione di Celletti che, romano, ascoltò al Reale dell’opera Maria Caniglia in tutte le salse, predominante la verista anche quando la cantante abruzzese eseguisse Vestale, piuttosto che Norma e Verdi. Questo il giudizio di Celletti cha condizionato cinquant’anni di ascoltatori, che può non essere condiviso o meglio “revisionato”, ma la cui onestà motivazioni vanno rispettate e capite per il contesto storico e l’esperienza di Celletti ascoltatore. Si deve capire che all’ascolto della Casta diva di Maria Callas, chi era abituato a quelle di Gina Cigna e Maria Caniglia gridasse al miracolo ed al ritrovato buon canto
L’opinione di Celletti, degli ascoltatori della generazione di Domenico Tassi è stata la mia per anni e si può riassumere: la Callas ha restaurato il canto femminile e di questa resurrezione la ministra più assidua e significativa è stata la Sutherland, che oltre tutto (e beato lui, aggiungo a titolo personale) Domenico Tassi ha ben ascoltato nel suo momento più splendente.
L’altro pilastro oltre al canto della Caniglia, ma anche della Cigna, della Somigli, della Oltrabella su cui si fondava l’opinione di Celletti era che, nel periodo pre Callas solo poche voci femminile potessero competere con le dive del dopo Divina. Presto detti i nomi Ponselle, Arangi Lombardi, Muzio, forse Lotte Lehman, cui aggiungere un’algida Rethberg e nel repertorio wagneriano la Flagstad. Aggiungo che in genere il metro di paragone era dato e dalla capacità di smorzare i suoni e di utilizzare una dinamica sfumata nonchè dalla capacità di eseguire correttamente e con espressione passi di agilità. Le cantanti citate con pochissime altre (in genere soprani leggeri di scuola italo-iberica) erano gli ascolti del pre Callas di cui Celletti e la sua generazione di ascoltatori disponeva. A sincerarsene bastano incluse ed escluse di “le grandi voci”.
Testo unico ed irripetibile che oggi, magari partendo dagli appunti di Rodolfo Celletti stesso sarebbe il caso di rivedere e di rieditare.
La “tesi Celletti”, per utilizzare un’espressione generica e che riguarda il gusto di intere generazioni di ascoltori, terrebbe ancora se non fossero accaduti due episodi concomitanti ovvero: il crollo verticale del canto femminile ormai una “palude Stige” dove un soprano, che pigola e stenta in Boheme ( ve la ricordate la piatta saldezza della Freni colori pochi, ma assoluta sicurezza nelle frasi scomode di Mimì!!), pretende e presume di cantare Leonora di Trovatore e persino Norma e soprattutto la disponibilità di tantissimo materiale inerente tutte le scuole di canto europee relativo a cantanti in carriera dal 1880 al 1950 che ha costretto ad una approfondita revisione dei giudizi.
Possiamo utilizzare molti esempi che, sia avvertenza chiara non sono unici ossia non sono le eccezioni che per Celletti erano i soprani che ho citato sopra.
Possiamo partire da Salomea Krusceniwsky (solo perché la Darclée non registrò dischi) e sentiamo il controllo del suono, il gusto castigato e la dinamica sfumata dei soprani post Callas con l’avvertenza che anche il soprani ucraino spaziava da Butterfly a Isolde sino a Elettra. Della generazione successiva la lezione di canti e di gusto che viene da Felicie Huni-Mihacsek ricorda che cantanti come la Jurinac (l’ultimo grande soprano di area mitteleuropea) non sono eccezioni, ma l’ultimo anello di una catena e che l’esecuzione di Mozart con voce piena ed attenzione alla dinamica non l’ha certo inventata la signora Legge nei celebrati dischi EMI. Se poi dobbiamo guardare ai vilipesi soprani coccodè prendiamo Regina Pacini capace di reggere a piena voce con una saldezza unica ed una chiarezza di dizione esemplare il finale de primo atto dei Puritani e che la voce non fosse della orfanella sperduta nel bosco lo conferma un’esecuzione di Vissi d’arte dove il timbro è quello pieno e sonoro del soprano lirico.
L’esempio più pregnante del “si cantava bene anche quando si cantava peggio” è rappresentato dalla von Seebok un soprano d’agilità esteso in alto, ma nel contempo capace di rendere, pur nella versione tagliata, la situazione drammatica del finale di Borgia aggiungendo, come giusto per una famosa regina della notte (lo sono o lo sarebbero state molte delle Borgia del post Callas) varianti e puntature in alto, ben diversi dai guaiti che nel 1999 ci inflisse una Fleming.
Altro grande esempio di canto ed interpretazione di scuola viene da Margarethe Siems. Il soprano di Breslau conferma che il soprano d’agilità non eseguisse solo picchettati e staccati, ma potesse essere Zerbinetta nella versione originale, che tocca il fa diesis e nel contempo cantare la prima Marescialla, Aida e di accentare non solfeggiare il recitativo di Violetta. E Frau Margarethe Siems è la punta di un iceberg rappresentato da cantanti quali Hedwige Francillo Kaufmann, Hermine Bosetti, Melitta Heim (una regina così l’abbiamo sentita solo dalla Deutekom o sbaglio?) sino ai due nomi più famoso del canto di agilità di area middle europea ovvero Selma Kurz, Zerbinetta, ma anche un a Amina dal timbro scuro e corposo (la più completa esecuzione dell’ “ah non credea mirarti” di Sonnambula per legato, dizione e senso del ricordo e del dolore insieme a quella di Amelita Galli Curci) per tacere di Mimì Eva, Butterfly e persino la Rachele di Ebrea. E con lei l’altro esempio è tratto dalla Hempel che cantava, con eccesso di gusto liberty e nel contempo autentico mordente e slancio le arie di Elvira di Muette e la Marescialla (prima al Met).
La sostanza non cambia se passiamo alla scuola russa dove Antonina Nedhzanova non ha nulla della svenevolezza dei soprani di coloratura e lo stesso accade con Eugenia Bronskaya che eseguiva Lakmè, ma anche il duetto con Marcello degli Ugonotti. L’ascolto si impone, e nessuno si offenda, ma dinnanzi ad Antonina Nedhzanova nessun soprano di agilità del dopo Callas regge il confronto per la qualità dell’emissione e la precisone dei passi di agilità.
Ed il bello è che un saggio di canto di altissima scuola per sfumature, agilità ed accento viene da Rosina Storchio, che non fu solo la prima-fischiata- Butterfly, ma una cantante tecnicamente rifinita come la scuola Garcia, per il tramite di Melchiorre Vidal, soleva produrre.
Propongo tre esecuzioni di D’amor sull’ali rosee. Quella di Hedwige Francillo Kaufmann di Barbara Kemp e di Frida Leider. Il brano è scelto apposta perché e con ragione Celletti lo indicava come uno dei più scempiati e maltrattati dal gusto verista. Ora la Francillo era un soprano leggero o d’agilità eppure emetteva le note basse nel contempo con suoni di petto senza “svaccare”, senza aperture, eseguiva ovviamente le varianti acute con salite al re bem e smorzava i suoni o li emette flautati con la facilità che hanno sfoggiato molte dive del post Callas, lucrando da questa qualità fama (che poi una di loro ha provveduto a rovinare con esibizioni da baracconi)
La seconda è Barbara Kemp, che cantava. Oltre a Verdi e Mozart (esemplare l’esecuzione del rondò di Donna Anna) Wagner e, persino, la Carmen. Nella corrispondenza Strauss – von Hofmannsthal si dice che la scelta del lei marito von Schilling quale direttore principale del Charlottenbourg Theatre a Berlino discendeva dalla necessità di avere la Kempe nei rosters del massimo teatro della capitale. Livore per il direttore, ma la cantante con un timbro italiano, morbido dolce e un gusto castigato giustifica l’imposta scelta. L’abbiamo vista anche nel dopo Callas per certi titoli belcantistici ( e aggiungo con ragione)
La terza è il soprano wagneriano per eccellenza insieme e prima della Flagstad ovvero Frida Leider, che a Berlino fu il primo soprano drammatico da Wagner alla Norma o Gluck, passando ovviamente per Weber, Verdi ed alla bisogna Puccini o Strauss (con parsimonia!) eppure l’esecuzione della aria del quarto atto del Trovatore è il trionfo della morbidezza di emissione, del legato della chiarezza di dizione.
Chiariamo: non sto celebrando la scuola di canto mitteleuropea, ma la qualità del canto. Faccio un parallelo giustamente si è parlato di un’eccezionale gruppo di soprani (a diffusione ed a provenienza mondiale) per le dive del dopo Callas come Sutherland, Sills, Caballè, Scotto, Gencer, Deutekom ed anche Price o Freni. Ed allora quale aggettivazione “alla Giudici” dovremmo spendere per commentare il plotone dei soprani drammatici italiani nate fra il 1870 ed il 1880 che rispondono ai nomi di Amelia Pinto, Giannina Russ, Celestina Boninsegna, Eugenia Burzio, Ester Mazzoleni, Tina Poli Randaccio (cui aggiungere, stando alle cronache Cecilia Gagliardi, che non registrò un disco, purtroppo) ed anche per andare ancora più indietro ad Emilia Corsi, Maria de Macchi ed Ines de Frate cui risponde un uguale “plotone” di area middleuropea con Johanna Gadski, Barbara Kemp (appunto), Berta Morena, Melanie Kurt, Emmy Destinn.
Credo che per tutte queste corpose prime donne parlino le registrazioni, difficile trovare una maggior raffinatezza tecnica e precisione di agilità rispetto alla Norma di Giannina Russ (che aveva la voce di Norma) o un vigore drammatico ed una fantasia di accento, che superi quella di Eugenia Burzio, il cui attacco di Pace mio Dio è geniale o l’equilbrio fra le due rappresentato da Ester Mazzoleni, che nell’esecuzione dell’aria di Vestale supera il celebrato splendore vocale della Ponselle e la tragicità di Maria Callas.
La storia non si fa ne con i se ne con i ma….ma una dubitativa la devo lasciare: siete proprio certo che Giannina Russ o Barbara Kemp non potessero eseguire Desdemona di Rossini o Anna Bolena?
5 pensieri su “Revisioni, ripensamenti : il pre Callas era proprio uno schifo?”
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Invece, uno come me, che ignora Celletti, non ha di questi problemi!
Complimenti sempre per gli ascolti deliziossissimi!!
Sarà l’attacco hacker, sarà l’estate, sarà stata la Edita alla Scala ( 😀 ), ma se è possibile il livello degli articoli che proponete ultimamente è di altissimo livello!
Condivido i contenuti, il pre-Callas riserva sorprese e personalità straordinarie anche se in incisioni precarie, rare (ma oggi c’è youtube) e parziali (le incisioni di opere intere prima dei 40 sono davvero poche). Bisogna conoscere, approfondire e giudicare con una serenità di giudizio che Celletti, spettatore di un fenomeno in corso di svolgimento, non poteva avere. Celletti va conosciuto, ma ripensato rispetto all’oggi, aggiornato e integrato appunto con le incisioni di cantanti stranieri.
La Callas, grandissima cantante e artista, è diventata un simbolo e come tale troppo ingombrante, un argomento quasi taboo per non incorrere in semplificazioni e fanatismi (che su social etc imperversano come sono testimone, con mio gran sconcerto, da qualche mese), un fenomeno straordinario senza dubbio; oggi è necessario provvedere a una riabilitazione del prima (io nella Callas vedo più continuità che rivoluzione per tecnica e per un certo repertorio) e a una giusta valutazione del poi, cioè se i pro sono stati maggiori dei contro. Questa operazione, riservando a ognuno i propri meriti storici e il proprio posto nell’immaginario collettivo, dovrebbe essere fatta non solo sulla Callas, ma anche su Sutherland, Caballé,… insomma su tutti i “miti” e non del post Callas così da inquadrarli meglio e fornirne una valutazione meno idealizzata e più aderente agli effettivi risultati conseguiti (necessariamente alterni a seconda di età, ruoli,…).
Anche se ho avuto una discussione sulla pagina del bel canto su fb sulla Callas ,dove la Callas praticamente veniva definita un soprano normale,e che si fatto,e detto troppo su questa cantante,sono sempre dell’idea che la Callas e stato uno spartiacque tra un vecchio modo di cantare,e uno nuovo,più maturo,e dando la giusta vocalità a ruoli che nei decenni decedenti sono stati degradati,come l’importanza di avere riportate alla luce opere ormai nell’oblio ,e dare la giusta drammaticità dove viene richiesta,senza compromettere le agilità,e poi entrare nei ruoli,quindi la rubrica del prima e dopo Callas e sempre valida per me,chiaramente in personaggio del genere,anche a distanza di tanti anni dalla sua morte,suscita ancora in una certa parte del mondo operistico,una specie di invidia,o qualcosa di simile,ma la cantante Callas,non va soggetta a nessuna revisione,per quello che ha dato all’opera,come vorrebbero certi maestri o cantanti,o certi critici,sulle cantanti meno recenti ormai si sa tutto,come anche consigliare alla Caballe di evitare figure penose come fa ultimamente
la mia esperienza musicale ha invece avuto un percorso diverso; ho conosciuto prima la Callas, poi la Ponselle e la Muzio, poi le opinioni di Celletti. Ho sempre condiviso l’idea che in Maria Callas ci fosse più continuità con il passato che rivoluzione, pur senza nulla togliere alla grandissima musicista (qui si rivoluzionaria) che fu. In un epoca in cui non solo internet non esisteva ma nemmeno il CD, conoscere i cantanti pre Callas non era cosa semplice. Ci si doveva affidare a poche etichette specializzate che riversavano i vecchi 78 giri. Personalmente quando conobbi Claudia Muzio e Rosa Ponselle, mi spiegai il “fenomeno” Callas, la quadratura del cerchio fu poi completa quando ascoltai le registrazioni della De Hidalgo. Che la Callas abbia restaurato la vocalità femminile poi, credo di poterlo escludere, se così fosse non si spiegherebbe perché ai giorni nostri tutte gonfiano e ingolfano la voce…
non ho mai dato soverchia importanza a Gualerzi etc sul concetto di Callas spartiacque,ma in sostanza che fosse rivoluzionaria nel restaurare la vocalità del primo 800,lo era.Spesso proprio tornare all’originale-con inevitabili limiti del tempo-è sconvolgente.La sua prassi esecutiva era temeraria perchè basata sugli spartiti.Prima di lei non era immaginabile uno Spargi d’amaro pianto non sculettante ma tragico. Che prima tutte cantassero male non è vero,d’accordo,gli esempi ci sono.Ma in contemporanea sì e come ricorda Panerai ne nacque una invidia implacabile..Se avesse accettato i ruoli di Menotti,ad esempio,non avrebbe destato la sua leggenda.E non trascuriamo il fatto scenico visivo sostenuto da maestri e registi grandissimi.