Quer pasticciaccio brutto de via del Collegio Romano

1426611857344_palazzo_del_collegio_romanoPensavate che la vicenda dell’Orchestra Verdi si fosse finalmente risolta e che il riconoscimento ministeriale suggellasse davvero l’eccellenza conquistata sul campo? Credevate che il pasticciaccio brutto dell’Opera di Roma avrebbe sensibilizzato ad un rinnovamento delle politiche culturali nel nostro paese? Eravate sicuri che l’allontanamento del satrapo Nastasi cancellasse anni di malaffare e donasse nuova linfa al disastrato mondo teatrale italiano? Pensavate davvero che le roboanti gride (a mezzo twitter ovviamente) dell’evanescente Franceschini e del suo mallevadore a Palazzo Chigi avrebbero restituito dignità alla nostra indignata cultura? Sveglia ragazzi! E’ tutto come prima, nel migliore dei casi, o peggio di prima. Già, perché usurpando quell’egemonia culturale che, dai tempi di Gramsci, il variegato universo dell’intellettualità marxista aveva conquistato innervandosi negli strati più fluidi della nostra società, il PD al potere – in una raccapricciante sceneggiata che ha come padri “ignobili” il peggio della DC, del neoliberismo, del neoclericalismo e del qualunquismo – sta sistematicamente “rottamando” non solo gli amabili resti della nostra povera cultura, ma sta demolendo quella civiltà umanista fondata su diritto e legami sociali, baluardo ultimo e – si pensava – solido anticorpo all’autoritarismo morbido del pensiero unico, a colpi di una modernizzazione del paese (concepita, immagino, in calde nottate a giocare con la playstation o a trastullarsi in altri svaghi virtuali) che nasconde solo disprezzo e ignoranza. Disprezzo per la democrazia, la libertà e lo stato di diritto; e ignoranza nel governo della cosa pubblica, declinata a “cosa nostra” cioè propria, da condividere solo e soltanto con prediche a mezzo social network o letterine sulla propria rubrica del cuore nella risorta Unità (quel giornale fondato da Antonio Gramsci, già “suicidato” dai suoi principali azionisti politici e ora risorto come fanzine del Presidente Boy Scout grazie alle nostre tasse, che ogni giorno ci ricorda, da sinistra naturalmente, che l’abolizione dell’art. 18 e delle garanzie conquistate da generazioni di lavoratori ha portato a immaginarie migliaia di nuovi posti di lavoro, che lo sciopero è un reato “in senso lato”, che l’elettività non c’entra nulla con la democrazia e via discorrendo…). In questa macelleria di diritti, di garanzie e di legittime aspirazioni, non può certo mancare la consapevole svendita del nostro patrimonio culturale e ideale, con una gestione infantile e incapace delle risorse ed un palese nepotismo atto a favorire quella corte dei miracoli che da sempre accompagna le sorti magnifiche e progressive del premierino, così da piazzare un variegato esercito di nani, ballerine, ruffiani e signorine buonasera in posizioni che meriterebbero altre competenze, altra formazione e altra autorevolezza. L’ultimo episodio di dilettantismo al potere riguarda la presunta “serrata” di alcuni monumenti della capitale con conseguente coda di turisti bloccati fuori dai cancelli e presumibile “figuraccia” sui media di tutto il mondo. Peccato che la “serrata” era in realtà un’assemblea sindacale – discutibile, ma legittimamente autorizzata da settimane – della durata di 3 ore (tanto che i suddetti monumenti hanno regolarmente riaperto le porte alle 11 di mattina); peccato che la suddetta assemblea era frutto del mancato pagamento degli straordinari (forse ai neoschiavisti ubriachi di liberismo sfugge il fatto che non tutti hanno la garanzia di 20.000 € mensili, o il padre ricco imprenditore, o una cattedra a vita da scaldare in università o enti e – cosa orribile e vecchia – pretendono di essere pagati a fine mese); peccato che quel presunto “sciopero” non era un reato, se pure in senso lato, come si è affrettata a sentenziare un’altra miracolata dal Bugs Bunny fiorentino, ma un “diritto” che la sinistra italiana ha sempre difeso con le unghie e con i denti (anche in casi ben discutibili) salvo poi augurarsi – come fece tal Rondolino, ex portavoce di D’Alema e ora “prestigiosa” firma della nuova Unità – che la polizia manganellasse gli insegnanti che manifestavano per le strade e “liberasse” il centro di Roma; peccato, anche, che questo reato in senso lato, che questa figuraccia di fronte al mondo non si fosse configurata quando, qualche anno fa, il premier di oggi era sindaco della sua città e, senza preavviso alcuno, chiuse Ponte Vecchio in faccia ai turisti per consentire a Montezemolo e ai “proletari” dei Club Ferrari di zona di autocelebrarsi. Peccato infine, che chiusure, rivendicazioni o scioperi esistono anche a Parigi (dove poco tempo fa una serrata “selvaggia” chiuse la Tour Eiffel), a Londra (National Gallery chiusa per un paio di giorni a causa di agitazioni dei dipendenti con interminabili code all’esterno), e nella civilissima Berlino dove qualche genio illuminato ha pensato bene di chiudere il Pergamon sino al 2025 per lavori di restauro… Il tutto avviene in Italia sotto il viglie occhio (chiuso) della stampa riunita che, indegna della libertà che sta sperperando, invece di fare il proprio mestiere di cane da guardia della democrazia allunga ancor di più la lingua nel deretano dei nuovi potenti, accusando di disfattismo chi denuncia il torpore della ragione. Ciliegina sulla torta è la vicenda dell’Orchestra Verdi: quella salvata da fantasma di Franceschini e riconosciuta ad aprile come ICO (portandola al livello – sacrosanto – che sul campo già si è conquistata, ovvero la maggior realtà orchestrale italiana insieme a Santa Cecilia) e quindi di diritto destinataria di fondi aggiuntivi per la sopravvivenza. Ebbene per un gioco burocratico – o per un colpo di coda dell’uscente Nastasi, da sempre “nemico” dell’Orchestra Verdi – la compagine di Largo Mahler è stata declassata d’ufficio a rango di complesso amatoriale e privata dei fondi che le spettavano: questo disattendendo il decreto del ministro, che ha chiuso entrambi gli occhi, e le pubbliche promesse. Inutili e patetici gli appelli del sottosegretario dello stesso ministero (che ha affossato La Verdi) alla solidarietà. Ci prendete per il culo? Beh sì, altrimenti non sarebbe possibile che Salvatore Nastasi che ha fatto terra bruciata degli enti culturali del nostro paese invece di essere congedato con disonore, viene premiato con un posto di maggior prestigio e influenza: direttore generale di Palazzo Chigi…alla corte di Renzi il Magnifico e della sua orchestra di giullari targati PD o NCD o altri transfughi (quelli, beninteso, non ancora agli arresti domiciliari…ma si attende una legge per azzerare le prerogative della magistratura). Questo spaccato drammatico e grottesco è la meritocrazia al tempo di Renzi: e ora lascio la parola a Domenico per raccontarci del concerto di Bignamini alla Scala. – Gilbert-Louis Duprez

Nei giorni scorsi alla Scala si è tenuto un concerto dell’orchestra Verdi diretta da Jader Bignamini, che, di fatto ne è il direttore principale.
Ovviamente la manifestazione non si inquadrava nel contesto delle grandi orchestre a Milano. Qualcuno potrà dire che a tale rango la compagine milanese non può appetire, altri, magari invece di fondate dietrologie preciserà che non vi sia interesse da parte della Scala a concedere e riconoscere alcunchè alla orchestra di largo Mahler. Un “nolo” della Sala del Piermarini non si nega a nessuno e, poi, in epoca di miserie e ristrettezze pecunia non olet e “tutto fa brodo” per supportare i bilanci del massimo teatro milanese, da tempo in affanno ad onta di cospicui puntelli. Quei puntelli e sostegni metartistici di cui, invece, la Verdi, difetta.
Per quanto concerne la sfera artistica possiamo dire che l’orchestra ha suonato bene con un suono di qualità in tutte le sezioni anche perché il vasto repertorio della compagine milanese mette alla prova tutte le sezioni di una formazione orchestrale. Dobbiamo anche dire che dei tre brani proposti nel concerto il meglio è venuto per qualità del suono e affezione del direttore da Sheherazade mentre i Quadri di una esposizione, offerti nella trascrizione orchestrale di Ravel (del 1922), eseguiti con precisione sconosciuta alle altre orchestre italiane (Santa Cecilia esclusa, infatti, anch’essa a subito trattamenti pari a quelli della Verdi) sono risultati facile nell’esecuzione sempre ora pulsanti (la promenade iniziale), grandiosi (Porta di Kiev), ma forse un tantino faciloni, paghi di ottimo suono, precisione e tenuta orchestrale e forse non tanto differenziati fra loro nell’alternanza fra le varie “promenade” ed i singoli episodi. Prodotto molto al di sopra della media, che nelle pilotate meritocrazie italiane brucia assai. – Domenico Donzelli

10 pensieri su “Quer pasticciaccio brutto de via del Collegio Romano

  1. Caro Duprez, è un articolo nel quale mi riconosco interamente. Mi ricordo perfettamente di non aver potuto passare dal Ponte Vecchio in quelle maledette sedici ore. Una cosa di una volgarità intollerabile. Che proprio da Firenze sia venuto un simile orrore è un fatto che mi addolora profondamente.
    Marco Ninci

  2. Cari amici, ho letto e condivido da cima a fondo il vostro sacrosanto post… ma avrei una piccola obiezione da rivolgervi. I miei poveri occhi, non più nel fior degli anni, hanno fatto una fatica terribile ad affrontare il brillio del bianco su nero…. Buon lavoro, comunque, poiché quel che conta è la sostanza, in qualunque colore sia scritta. !

  3. Discorso a due voci cristallino: l’opposto dei peti mediatici del bulletto al potere (e, ahimè , di moltissimi altri illusionisti della comunicazione) il cui “Big Bang” e “Game Over” attendiamo convinti e fiduciosi.

Lascia un commento