Ieri sera nella Chiesa di San Marco dove ebbe luogo la prima esecuzione (ed anche quella del centenario) è stata proposta Messa da requiem sotto la direzione di Zubin Metha. Come sia andata la serata non ci interessa ci limitiamo a due osservazioni la prima che nel pomeriggio verso le 16 il sito della scala (ulteriormente complicato, rectius rinnovato) dava ancora 450 posti liberi, in una struttura che ne ospita 1500 in formato sardine e l’altra che coi tempi di “rella” per dirla alla milanese il costo minimo prossimo ai 50 euro francamente è difficilmente sostenibile. A maggior ragione si sta a casa perchè la qualità prospettata da questa produzione per qualità e stato dei convocati cantanti è nota senza bisogno di ascolti, bastandone di recenti e consiglia la poltrona del salotto.
Mi sono però soffermato sulle due voci femminili scritturate, che oggi vanno per la maggiore, accompagnate da osanna. La prima riflessione è che la sola voce da messa verdiana sarebbe quella di Anita Rachvelishvili, ma non quale mezzo, ma quale soprano perché la giovane signora, dotata di voce e complessione fisica da cantante d’opera se evitasse di emettere suoni tubati ed ingolati canterebbe da soprano spinto. Quanto a Maria Agresta, che passa da Mimì a Norma, come fosse una Caballè, se sapesse cantare avrebbe nella fioraia parigina il suo ruolo più pesante e lascerebbe Norma, donna Leonora per tacere di Lucrezia Contarini al salotto ed alle serate con amici dove si accenna per diletto proprio e dei presenti e non per arte e professione.
Pur non essendo il giorno deputato agli ascolti comparati sono ricorso alla comparazione ricordando una cantante Franca Mattiucci, che negli anni sessanta e settanta non ebbe l’onore dei grandi teatri o del primo cast (che toccava ad una Cossotto ad una Verrett o ad una Bumbry), ma che cantava con gusto, sobrietà e correttezza di emissione senza suoni da finto mezzosoprano, accontentandosi si fa per dire della propria voce che era comunque di qualità. Come di qualità erano le voci di altri mezzosoprani allora di rincalzo alle dive come la Nave, la Berini, la Baglioni. O lo stesso discorso può valere per Rosalind Elias, che fu una delle colonne del Met in ruoli di mezzo dal 1954 al 1996.
E l’altra comparazione è con Renata Scotto che del soprano verdiano, soprattutto da verdi pesante poteva essere una imitazione fondata più sull’eloquenza e varietà di fraseggio che sul colore e qualità timbrica. Eppure con queste pesanti limiti, che la portavano ad eccedere ed a forza le voce la Scotto nel disperato finale della messa è credibile e pertinente non venendo mai meno alle prescrizioni dello spartito ed alla situazione drammatiche a costo di intaccare la perfezione formale dell’esecuzione, ma che la cantante potesse anche fare questo discende dal controllo della respirazione e dalla posizione del fiato, ben evidente nel video.
Liber scriptus – Rosalind Elias, dir. Georg Solti – 1963
Liber scriptus – Franca Mattiucci, dir. Vasil Stefanov – 1977
Da giovane ho sentito decine di volte la Mattiucci, la Nave, la Berini, la Baglioni e la Lazzarini, oltre a Viorica Cortez. Allora molti le snobbavano. E sono stati premiati, visto cosa si ascolta oggi che la gente impazzisce per un pesce lesso come la Garanca, tanto per dirne una…
C’è anche da dire che forse il pubblico si è anche rotto le scatole di ascoltare sempre le stesse cose (opere, concerti, sinfonie, musica sacra)… Il Requiem verdiano viene imposto al pubblico milanese almeno due volte all’anno….salvo particolari eventi o ricorrenze od occasioni che ne impongono ulteriori somministrazioni! E questo poco dopo l’indigesta ubriacatura verdiana del bicentenario i cui postumi intossicati non sono ancora stati smaltiti (tanto che si dovrà ancora tollerare un 7 dicembre verdiano e stavolta con l’opera più brutta tra quelle – e non sono poche – meno riuscite del bussetano). Pertanto non mi stupisce che non venda, perché la soglia di sopportazione è ormai superata (idem per certi programmi sinfonici all’insegna degli stessi titoli da un decennio: le solite quattro o cinque sinfonie beethoveniane, l’Imperatore, le ultime di Mozart, Brahms, orrende sinfonie da opere verdiane, Brahms…). Per non parlare delle stagioni liriche fotocopia con opere reiterare da 50 anni. Non c’è da stupirsi se la gente diserta il millesimo Barbiere, l’ennesima Lucia, il Requiem biennale… c’è da chiedersi piuttosto perché il mondo musicale va da una parte e in Italia invece si va dalla parte opposta…
La Agresta ormai imperversa in qualsiasi ruolo dalla coloratura al drammatico riscuotendo plauso pressoché unanime da parte di tutti coloro che sono pronti a incensare l’artista del momento in modo del tutto acritico. Che sia la Frittoli, la Cedolins,… ora la Agresta non importa! Tanto dopo pochi anni diventano rottami inascoltabili che spiace criticare troppo, quindi finiscono nel dimenticatoio oppure si invocano per l’occorrenza pretesti e giustificazioni di ogni sorta.
La Agresta può ancora fare in tempo a dedicarsi al repertorio lirico puro che le sarebbe congeniale e in cui potrebbe potenzialmente fare bene. Ma temo che sarà l’ennesima osannata per le promesse piuttosto che per i risultati effettivi.
Avendo da sempre una particolare attenzione alle voci maschili, mi preoccupa non poco non vederne fatto neppure un cenno. Erano così scarse che è meglio coprirle di un velo pietoso? Oppure ci stiamo tanto abituando alla mediocrità che non vale neppure più la pena di criticarla?
il punto era ricordare come cantanti che non riuscirono ad essere di primissima linea come, appunto, la Mattiucci eseguissero in maniera irreprensibile la parte del mezzo del requiem oppure come se la cavino, molto diversamente nella parte del soprano due soprani che di Verdi dovrebbero (Agresta) avrebbero dovuto (Scotto) cantare Gilda, Violetta e poi Desdemona. Solo che la Scotto lo ha fatto e splendidamente per 15 anni, la Agresta mai. E quando la Scotto, dotata della presunzione di cui un cantante d’opera è maestro, ma con un buon bagaglio tecnico, risorse ed idee interpretative che basterebbero per dieci soprani, ha affrontato Giselda, Amelia, la duchessa Elena e la Lady (che ho sentito entrambe) tecnica e doti interpretative le consentivano di essere sempre interessante e degna di nota, anche se non sapeva tacere e si attirava le ire del loggione della Scala, allora iracondo, ma onesto e di orecchio finissimo. Oggi applaudono i pianini di Maria Agresta e la voce gonfia e tubata di Anita Rachevelishvili, che sarebbe un bel soprano di forza, come si diceva un tempo, ma mezzo proprio no!
Quanto agli uomini di quel Requiem non godono del “popolar favore” delle due signore e quindi …..
Una delle mie fisse è che il tenore sappia eseguire bene i due trilli previsti nell’Hostias. In San Marco c’è stato un timido tentativo… per altro rarissimamente mi è capitato di ascoltare i due trilli meglio eseguiti di quanto non faccia questo, per me, sconosciuto tenore dell’est!
https://www.youtube.com/watch?v=D3XO3mbHy74
József Simándy (18 settembre 1916, Kistarcsa (Ungheria)- 4 marzo 1997 Budapest) é stato uno dei maggiori tenori ungheresi del XX secolo, probabilmente il piú amato dai magiari.
Notevole davvero! peccato sia così poco famoso fuori patria