In einem Bächlein helle,
Da schoß in froher Eil
Die launische Forelle
Vorüber wie ein Pfeil.
Ich stand an dem Gestade
Und sah in süßer Ruh
Des muntern Fischleins Bade
Im klaren Bächlein zu.
Ein Fischer mit der Rute
Wohl an dem Ufer stand,
Und sah’s mit kaltem Blute,
Wie sich das Fischlein wand.
So lang dem Wasser Helle,
So dacht ich, nicht gebricht,
So fängt er die Forelle
Mit seiner Angel nicht.
Doch endlich ward dem Diebe
Die Zeit zu lang. Er macht
Das Bächlein tückisch trübe,
Und eh ich es gedacht,
So zuckte seine Rute,
Das Fischlein zappelt dran,
Und ich mit regem Blute
Sah die Betrogene an.
In un chiaro ruscelletto,
guizzava lieta e svelta
la trota capricciosa,
veloce come una freccia.
Io stavo sulla riva
e osservavo in dolce calma
il bagno del bel pesciolino
nel limpido ruscelletto.
Un pescatore con la lenza
si mise sulla sponda
e guardò, a sangue freddo,
dove andava il pesciolino.
Fin che l’acqua chiara,
pensavo, non verrà meno,
non potrà catturare la trota
col suo amo.
Ma infine al disonesto
l’attesa sembrò lunga. Rese
il ruscello torbido, il perfido,
e prima che me ne accorgessi,
fece scattare la sua lenza,
il pesciolino si agitava, preso,
ed io col sangue sconvolto
guardai la vittima ingannata.
Nello scorso mese di luglio Waltraud Meier (nata nel 1956) ha dato l’addio (non sappiamo se assoluto o circoscritto al teatro di Monaco, attendiamo i biografi della signora per illuminazioni in proposito) al personaggio di Isotta, frequentato per oltre due decenni, sempre con risultati, per essere buoni (ma buoni sul serio), dimenticabili. Siccome la signora passa per una raffinata interprete, abbiamo deciso di renderle omaggio proponendola in un brano di quel repertorio che agli interpreti, preferibilmente di lingua tedesca, è per tradizione riservato, ossia quello cameristico, ormai ingrediente unico e solo dei concerti scaligeri (con qualche timida eccezione, magari poi destinata a svaporare nei forfait dell’ultima ora). La pagina scelta è la celeberrima “Trota” (Die Forelle op. 32 D 550) di Franz Schubert e il confronto è con una grande cantante wagneriana (e straussiana), Ernestine Schumann-Heink (1861-1936). Il brano è una piacevole melodia (indicazione di movimento ‘Etwas lebhaft’, ossia ‘Un poco vivace’) che insiste nella zona centrale della voce e presenta una strofa esposta due volte (con testo differente), una terza strofa su musica differente, che nella chiusa si riallaccia alle prime due. Un rapido quadretto bucolico, che l’interprete deve restituire in tutta la sua freschezza, opportunamente differenziando le sezioni in cui il testo descrive l’allegro guizzare dell’animale, la serenità e quindi il disappunto del narratore, che vede il pesciolino cadere vittima della “perfidia” del pescatore. Fin dall’attacco emerge, nell’esecuzione della Meier, l’ispessimento artificiale della voce, con conseguente effetto di “patata in bocca” che rende poco chiara la dizione, faticoso il legato (si ascolti ad es. la quartina discendente di semicrome su “froher Eil'”), impossibile la variazione del colore vocale quando dalla descrizione dell’animale si passa alla figura del pescatore: in questo modo si mortifica la struttura stessa del brano, che riproponendo la medesima melodia, da scandirsi con differente inflessione e accenti, crea un drammatico contrasto fra i personaggi del microdramma. Anche il “passaggio all’azione” da parte del pescatore non suggerisce alla cantante che suoni chiocci su note ribattute (“er macht das Bächlein tückisch trübe”) e un suono malfermo su “eh'”, mentre l’unica variazione dinamica (il piano sulle parole “das Fischlein zappelt dran”) fa sì che il sostegno (o quel che ne resta) si perda definitivamente, passando dalla declamazione intonata al parlato puro (si fa per dire). Anche alla chiusa nessuna malinconia, nessun abbandono, sempre e solo una scansione gelida e metronomica, senza che lo strumento possegga quelle caratteristiche di naturale dolcezza o singolarità timbrica atte a sostenere, per quanto possibile, un’esecuzione piatta e scolastica. Nelle due incisioni proposte (realizzate a diciotto anni di distanza l’una dall’altra, la seconda alle soglie della settantina e a carriera sostanzialmente terminata) la Schumann-Heink dimostra come l’età possa rendere un poco più secco il mezzo vocale (specialmente se l’opulenza dello strumento è davvero fuori dal comune), senza però intaccare – o intaccandoli in misura molto limitata – il controllo del fiato e la posizione del suono. Solo con una voce così flessibile si può essere esecutori corretti e, magari, anche interpreti ispirati. Qui non c’è sillaba che non venga esattamente scandita e illuminata dalla voce, con un ricorso alla sprezzatura (ad es. su “süsser Ruh” e “Bächlein”) che sottolinea l’abbandono del narratore all’oziosa contemplazione della bellezza della Natura, prima che la linea vocale si carichi di sarcastica irritazione alla descrizione dell’appostamento del pescatore. Nell’ultima strofa la cantante modifica l’agogica quasi a ogni battuta, con rallentando e accelerando improvvisi che rendono per così dire visivamente la rapidità del tranello fatale, mentre la chiusa esibisce, ancora una volta, un eccellente controllo del suono, che consente una dinamica sfumata unita, ancora una volta, alla perfetta declamazione del testo. Caratteristica, quest’ultima, che distingue il grande dal mediocre esecutore, tanto nei grandi ruoli wagneriani e straussiani quanto nelle più abbordabili melodie da salotto.