Goebbels disse che una bugia ripetuta un milione di volte diventa una verità: vale anche per le fesserie. E purtroppo quando si parla di Carl Orff e dei suoi Carmina Burana, le fesserie non mancano mai. Destino curioso e ingiusto quello di Orff: compositore di grande cultura e curiosità intellettuale dedicatosi per la maggior parte della propria esistenza alla pedagogia e alla didattica musicale, viene tuttora associato al nazionalsocialismo. E non solo dai tanti ignoranti di successo che pubblicano libri o scrivono articoli, ma pure dalla critica musicale “ufficiale” o quasi. Tra i tanti con licenza di sproloquio ricordo il solito Baricco che in uno dei suoi “mirabili” barnum, dopo aver sparato le consuete banalità sui decibel e i colpi di timpano ed “arditi” paragoni coi cori da stadio, si spinge ad irridere chi, secondo lui, “si arrampica sugli specchi per spiegare che Orff non era nazista” arrivando alla “perla” per cui “magari Orff non era nazista, ma se uno nel ’36 in Germania concepisce e realizza un progetto del genere come bisogna chiamarlo?” Amen: caso chiuso per Baricco e per altri migliaia di pappagalli che si dilettano nell’ascoltare il risuonare sordo della propria ignoranza. Già, peccato che Orff non fu mai nazista né fu mai iscritto al NSDAP (anzi, si dimise dalla prestigiosa Münchner Bachverein nel ’33 all’indomani dell’ascesa hitleriana), che non ebbe mai alcun incarico ufficiale dal Reich (a differenza di Strauss), che i suoi Carmina Burana furono aspramente criticati dal regime e raramente eseguiti, che la sua scuola musicale passò seri guai perchè nell’insegnare ai ragazzini usava il flauto dolce (strumento considerato giudaico e bolscevico). Ma tutto questo non importa al Baricco di turno che “sentenzia”: Orff era un nazista, punto. Altri capi d’accusa: aver fatto partecipare alle Olimpiadi del ’36 la sua scuola anche se lui non contribuì con nessuna composizione, come invece fece Strauss e l’aver scritto nuove musiche di scena per il Sogno d’una notte di mezza estate per sostituire quelle proibite di Mendelssohn. Orff come molti altri, credeva nella superiorità dell’arte e nel dovere dell’artista di preservare la bellezza e la civiltà anche nella tragedia o nei regimi totalitari: come Furtwaengler era un tedesco e amava la sua terra rifiutandosi di confondere il nazionalsocialismo con la cultura tedesca o col popolo tedesco. Ma ancora oggi, nonostante gli studi, gli approfondimenti e la conoscenza non si riesce a superare il presunto nazismo di Orff soprattutto in relazione alla sua opera più popolare:quei Carmina Burana composti tra il ’35 e il ’36 sulla scia dell’interesse tutto intellettuale per gli antichi canti profani medievali: crogiolo di lingue e culture, simbolo di anarchia contro le barriere nazionali e gioco colto ricchissimo di contaminazioni (l’esatto contrario di ciò che il nazionalsocialismo voleva imporre nella sua politica culturale). La musica di Orff si fonda sul recupero del linguaggio arcaico che sta alla base della civiltà europea, nelle sue diverse anime (eredità classica, medioevo germanico, rinascimento), rifiutando lo sperimentalismo nella ricerca del superamento della tonalità che invece altri suoi colleghi approfondiranno (si pensi a Schoenberg, Berg etc..) così come l’eredità romantica e tardo romantica impersonata da Strauss (le sue opere pseudo “romantiche”, Der Mond e Die Kluge, infatti, si rifanno ad un mondo fiabesco preromantico e simbolico). Proprio il recupero dell’antica polifonia e delle forme musicali arcaiche aprirà la strada a Henze, Rihm e Reimann. Certamente Orff si inserisce nel ricco mondo musicale del ‘900 tedesco e sicuramente il ricondursi alle tradizioni medievali germaniche, ai clerici vagantes, all’antica goliardia, al gotico e ad una religiosità epicurea, lo portano in quelle correnti novecentesche che possiamo definire come reazione alla neue musik (intesa come ricerca di linguaggi alternativi alla tonalità o) e che fondevano tradizione e irrazionale. Anche Pfitzner può essere ricondotto, almeno in parte, alla stessa categoria (e pure la sua musica è giudicata dai soliti “sapientoni” come roba da nazisti…). Non vi è nulla di “barbarico” o di “primitivo” – come spesso si legge – nel linguaggio di Orff, nè alcuna contaminazione con la musica “bassa”, si tratta, piuttosto, di un’operazione culturale ed intellettuale che intende porgere l’antico recuperandone l’attualità linguistica reinventandone lo stile secondo una complessa valutazione filosofica che riporta all'”anima” di quella musica. Certo ci si può fermare ai decibel e ai colpi di timpano o al “latinorum” d’accatto (in realtà si tratta di latino medievale, sul quale Orff fece ricerche filologiche), come fa Baricco (e molti altri), ma con un minimo di approfondimento si comprende il senso metastorico e metafisico di quest’opera. La stessa scelta linguistica – come dichiarerà lo stesso Orff – non è un semplice riferimento classico straniante come per fissare una cesura tra il nostro tempo e l’antico (seppur reinventato), come ad esempio sarà Oedipus Rex di Stravinskij la cui scelta linguistica – latino classico rigorosamente nella pronuncia restituta – è motivata esplicitamente nel senso di distacco: il latino nella sua forma “volgare”, come il provenzale e l’alto tedesco, sono invece per Orff veicoli di internazionalizzazione, strumenti per sottolineare la koinè che supera le ubriacature nazionalistiche e i miti della razza. E così appaiono oziose le digressioni lette anche recentemente su presunte imposizioni hitleriane su quale pronuncia utilizzare per il latino dei Carmina (si ricordi che la critica ufficiale nazionalsocialista ostacolò l’opera di Orff proprio per la sua scarsa germanicità e per gli argomenti ritenuti licenziosi), così come fastidiosi i riferimenti politici. Non è qui il luogo per approfondire le problematiche musicali insite nella partitura dei Carmina o la ricchezza onomatopeica della sua strumentazione (che può essere considerata un unicum nella musica coeva) come il ruolo del ritmo e dell’apparato scenico in una tendenza a totalizzare l’esperienza teatrale…così da riconsiderare la pretesa “facilità” di una musica troppo frettolosamente bollata come “populista” o ridotta al solo elemento spettacolare, ma il discorso sarebbe troppo lungo (rimando, pertanto, all’eccellente saggio di Alberto Fasson “Carl Orff” edizioni LIM). Due piccole note a margine: il 10 ottobre prossimo venturo saranno 73 anni dalla prima esecuzione italiana dei Carmina Burana (eseguiti alla Scala sotto la bacchetta di Gino Marinuzzi); anche quest’anno all’Arena hanno eseguito l’opera nella sua interpretazione più superficiale e triviale, affidandola al preteso enfant prodige Battistoni, ad un’amplificazione da concerto rock e ad un pubblico vacanziero in ciabatte…finché questo sarà il modo in cui in Italia ci si accosterà a questo capolavoro (concerti in piazza, decibel, amplificatori, Baricco, strapaese areniano) non ci saranno possibilità di comprendere la sua profondità e bellezza: ci si accontenterà dei colpi di timpano. Per rifarsi dagli orrori veronesi (in cui per certa critica avrebbe brillato uno solo dei solisti, ossia il controtenore che canta per 3 minuti scarsi, ma si sa che certi cantanti devono restare tabù in determinate consorterie e si fa di tutto per tacere i meriti di interpreti fuori dal solito giro…), consiglio alcune edizioni storiche: Ozawa con la Boston, Kegel, Chailly e la recentissima incisione di Immerseel.
L’ascolto:
bellissimo articolo Duprez, bello davvero. Non nutro nessuna speranza che nella nostra italietta (ma forse tutto il mondo musicale è paese…)possa esserci una qual si voglia rivalutazione di un compositore come Orff, tanto meno di un opera come questa oramai assurta allo status di icona Pop e quindi banalizza e semplificata nella sua fruizione. Esecuzioni come quella areniana fanno il paio con il concerto in piazza duomo per l’expo o con i concerti allo stadio stile Italia ’90 (anzi il primo concerto dei tre tenori a Caracalla per Italia ’90 aveva una dignità musicale che oggi ci sogniamo.)
Ti ringrazio per l’apprezzamento. Purtroppo la storia della ricezione di Orff in Italia si interrompe bruscamente nel ’53 con le sfortunate vicende dell’allestimento scaligero (in prima assoluta per quanto riguarda il terzo pannello) dell’intero trittico dei Trionfi (Carmina Burana, Catulli Carmina e Il Trionfo di Afrodite), compromesso dalla superficialità della dirigenza di allora e dall’arroganza di Karajan che si era impuntato nel curare anche la messinscena (salvo non occuparsene mai seriamente e ricorrere a spietati tagli per districarsi dall’impegno che non era in grado di gestire). A questo si aggiunga l’incomprensione sprezzante di Mila che bollò l’opera come frutto di banale arcaismo dal linguaggio semplice ad uso delle masse: e così su Orff fu messa la pietra tombale e la sua opera – soprattutto in Italia – relegata ai margini. Uno dei tanti “splendidi” risultati della nostra inteligencja organica.
Bellissimo articolo, e tanto più meritorio visto quanto banalità e luoghi comuni informino non solo la ricezione critica di Orff, ma anche le proposte ‘da stadio’ dei Carmina Burana.
Peraltro, i ‘cori da stadio’ e la pretesa tonitruanza non sono affatto la cifra di questo lavoro: basta ascoltare proprio l’esecuzione di Jochum, così attenta ai momenti che direi quasi ‘intimistici’ della partitura. Il luogo comune baricchesco del ‘coro da stadio’ è degno di quelli che riducono Wagner al Walkurenritt
Verissimo: la cifra di questo capolavoro non è certo il numero di decibel emessi da coro e percussioni. I Carmina Burana – a dispetto di ciò che comunemente si sente dire – sono un’opera raffinatissima e complessa. L’edizione di Jochum è molto bella. Mi permetto di consigliarti la recenti incisione di Immerseel che risalta proprio i caratteri dell’orchestrazione.
Non posso che unirmi pure io alle lodi per l’articolo. Riguardo al sig. Baricco, non so se avete presente la sua “geniale” riscrittura del Flauto magico di Mozart data al Regio di Torino nel 2006, lì nata e lì, fortunatamente, morta. Una cosa che il rag. Fantozzi Ugo avrebbe potuto commentare in modo perfetto definendola come definì la Corazzata Potiomkim….. Io c’ero… purtroppo! Povero Mozart e povero Schikaneder! Più ancora che brutta una cosa del tutto inutile, insulsa, velleitaria e pretenziosa, condita da una messa in scena ad essa confacente affidata al solito sconosciuto enfant prodige (anzi prodigue!) venuto mi pare dalla Lituania, tale Oskaras Korsunovas, mai più sentito. Rimando alla critica di un sito ritenuto più “buono” del Corriere della Grisi, in cui si possono leggere stralci dell’opera baricchesca ed in cui pure si accusava il testo baricchesco si essere alle volte sciatto e banale:
http://www.operaclick.com/recensioni/teatrale/torino-teatro-regio-il-flauto-magico
Quanto alle critiche verso Orff, non posso che condividere quanto scrive Duprez. Invito piuttosto ad ascolarne l’Antigone (l’avevo sentita tanti anni fa alla radio, mi pare da Salisburgo o Monaco), musica di tipo esattamente opposto a quella cara al Dott. Goebbels ed ai suoi camerati, e, allo stesso, tempo, opposta pure a quella propugnata da “Zdanov l’immortale” (per usare una definizione del fu Rubens Tedeschi) e compagni….
Vedremo in autunno a Torino come i Carmina saranno realizzati scenicamente. Peccato che non si sia colta l’occasione per presentare “I trionfi” nella loro integralità. Ciò anche perchè i Carmina da soli, per la loro durata, non fanno serata teatrale completa e, secondo le buone e sagge usanze, ci si sarebbe dovuto unire qualcos’altro per giustificare il prezzo del biglietto. Se ben ci si ricorda di solito non si fa mai Gianni Schicchi, Cavalleria rusticana o La voce umana in solitaria, ma ci si unisce un altro titolo. Ed ai tempi altri titoli erano talvolta uniti anche ad atti unici come Elettra o Salomè.
bravo, le buone usanze di un tempo che sembra si vogliano abbandonare un po’ ovunque …. a settembre alla Fenice faranno “la cambiale di matrimonio” atto unico da si e no un ora e un quarto…. non saranno i 60 minuti di Gianni Schicchi ma siamo sulle dimensioni di cavalleria…
Antigonae, Oedipur der Tyrann, Prometheus, fino all’ultimo e più inafferrabile capolavoro, quel De Temporum Fine Comoedia che costituisce la summa del teatro orffiano, passando per le rielaborazioni del mondo preromantico della fiaba nonché dalle fondamentali riscritture monteverdiane: sono un corpus musicale straordinario, compatto, ricchissimo. Orff è insieme a Schoenberg uno dei pilastri su cui si regge la musica del ‘900 nel superamento dell’eredità romantica. Purtroppo è sempre ricondotto a stereotipi hitleriani (che nulla c’entrano…nonostante il Baricco) o a banalizzazioni pop… Francamente trovo che non solo la neue musik tedesca (Henze, Rihm, Reimann) debba moltissimo alla sua opera, ma anche lo studio della poetica monteverdiana ha un debito con le sue riscritture.
Bello veder demolire un ennesimo luogo comune: grazie!
P S:Trovo i bariccari ancor più calamitosi dei baroccari.
Questa te la rubo: è splendida!
Ho conosciuto Baricco 33 anni fa: fu mio supplente di filosofia, era appena laureato, ma era già un gran presuntuoso, nonostante non fosse assolutamente nessuno a quell’epoca. (Non che dopo sia diventato qualcosa). Mi rattrista che Torino, che è stata la patria di Antonio della Corte, che ha visto Franco Abbiati studente universitario, che ha ed ha avuto una alta tradizione culturale, sia oggi “rappresentata” da sedicenti intellettuali ed improbabili scrittori come Baricco, o Giordano (quello che invece di inseguire le solitudini dei numeri primi avrebbe fatto meglio a trovare compagnia alle sue poche idee). Giro per la mia città e fra restauri restyling e grattacieli non la riconosco più, mi sembra kitsch e falsa come i “libri” di Baricco… come una qualunque città turistica.
Ho sempre amato i Carmina Burana, trovo che siano belli come il clavicembalo monstre di Wanda Landowska.
Grazie per il bellissimo articolo.
Grazie a Duprez per questo pezzo Cercherò le edizioni che hai suggerito e mi avventurerò alla scoperta dei Carmina Burana, che ho avuto modo di incontrare finora solo in letteratura e non in musica.