Dall’ascolto di ier sera in diretta dalla Adriatic Arena e dalla reazioni del pubblico ivi accorso abbiamo creduto che qualche malevola interferenza abbia trasformato la mirabilie proposte dal festival nella arena estiva trasformandole in quell’autentico orrore che la RAI ha recapitato al domicilio dei propri utenti. In difetto salvo e non vogliamo crederlo che il pubblico venga sedato e drogato non si possono comprendere le reazioni del medesimo.
Sappiamo bene che il genere di mezzo carattere che Rossini frequentò e con Gazza Ladra e con Torvaldo è difficile da rappresentare e ancor di più da comprendere, oggi. Un tempo che si trattasse più che di mezzo carattere, ma di pièce à sauvetage era chiarissimo ed il pubblico lo apprezzava non certo per la storia, ma per le situazioni quelle topiche del dramma serio che il genere offriva e della medesima opinione dovevano essere i cantanti atteso che i maggiori soprani da opera seria e bassi vestirono i panni dell’infelice Ninetta e del di lei padre il leale e sfortunato soldato Fernando Villabella. Se non si accetta quest’ottica il rischio è una esecuzione scentrata prima concettualmente che nella pratica esecuzione.
E così è stato con la direzione di Donato Renzetti, che pure ha affermato nelle tradizionali interviste dell’intervello di avere eseguito la famosa sinfonia come si trattasse di opera seria mentre nel pratico era una serie di clangori e colpi di mazza ferrata. La mazza ferrata poi ha imperato sovrana alla sortita di Ninetta e soprattutto nella cabaletta di Giannetto, in generale quando non andava di mazza ferrata con un suono e una precisione orchestrale da orchestra di conservatorio è stato meccanico (brindisi di Pippo, pessimamente cantato) e nel terzetto Ninetta-Fernando-Gottardo un po’ meglio, ma senza abbandono, senza slancio e senza afflato romantico, il cui presagio in certi passi di Gazza Ladra è davvero invadente e preponderante, sia il finale primo che la scena di processo per tacere della preghiera di Ninetta condotta al patibolo e quanto segue sino allo scioglimento del dramma. Renzetti, pure più esperto e rodato di molti giovani bacchette di Pesaro in ogni senso sembra non capire che il Rossini tragico e questo che parente assai prossimo gli è impongano colori, intensità e dinamiche da dramma protoromantico e non già da farsa. Ormai da anni a Pesaro si assiste alla farsettizzazione di ogni titolo. Questo per un malinteso concetto di estraneità di Rossini al mondo romantico.
Proporre a solo titolo di esempio l’esecuzione della sinfonia ad opera di Fricsay o di Furtwangler mi sembra una proposta di riflessione e non polemica, come con faciloneria si potrebbe replicare, quando protesi nella difesa dell’istituzione festivaliera.
Per altro se un malinteso sottende alle scelte direttoriali non vediamo se non il realizzare il detto milanese “mal tra insema” quale motivazione delle scelte di cast.
Non contenti di averla proposta quale amoroso di Aureliano in Palmira l’anno passato (dove il successo lo lucrarono altri elementi della compagnia) il Festival ripresenta Leka Belkina nel ruolo di Pippo. Si accontenta di affidarle la versione originale del personaggio e non già quella rimaneggiata per la Pisaroni dove la cantante annaspa miseramente senza legato e senza slancio in un brano brillante quale il brindisi e fatica nella coloratura del duetto del carcere. Nell’ensemble della prima scena non si distingueva la differenza fra la Belkina e la Jervolino (altra meteora del buio firmamento rossiniano che non riesce ad emettere un timbrato la acuto alla arietta del secondo atto, rituale aria del sorbetto che consente il cambio di scena). Quanto al Podestà di Marko Mimica abbiamo assistito alla versione rossiniana del peggior Burchuladze soprattutto nel secondo assolo alla scena quinta del secondo atto. Quanto alle voci gravi un poco meglio nel ruolo di Fernando Alex Esposito, molto amato dagli habitué pesaresi, che ormai non ha più la tornitura e la rotondità (oltre che il patetismo e la dolcezza paterna data dal galleggiare della voce sul fiato) che il personaggio, uno dei preferiti dalle voci gravi dell’epoca rossiniana, richiede.
Insignificante, dalla voce piccola e chiara e dagli acuti squittiti il Giannetto (questo sì ruolo molto prossimo al mezzo carattere anche se canta la cabaletta di un ruolo drammatico come Ricciardo dell’omonimo titolo) di René Barbera e poi il vero punto debole della serata ossia la protagonista. A Pesaro la tessitura molto centrale motivo presto spiegato al di là delle caratteristiche della prima Ninetta (Teresa Belloc Giorgi) dalla necessità di esaltare bontà, remissività e caratteristica di vittima predestinata sin dal suo apparire in scena o quasi, ha sempre indotto a scegliere soprani lirici (Katia Ricciarelli nel 1989) o addirittura leggeri (Mariola Cantarero nel 2007 ed anche la Rinaldi del 1980 e 1981) accorciate o addirittura periclitanti in alto. L’ultima della serie Nino Machaidze è sotto questo profilo la più disastrata essendo la voce compromessa in zona grave (vedi duetto con il padre) e inconsistente al centro, se aggiungiamo una virtuosa limitata abbiamo l’ennesimo errore nella scelta della cantante cui affidare un ruolo. Inutile ricordare che cantanti dall’espressione languida e patetica come Giuditta Pasta ed anche la Alboni (mezzo dotatissimo in alto e famosa per la morbidezza, la rotondità e la dolcezza della voce) vennero considerate esemplari nel ruolo di una servetta o servotta che canta melodie e trenodie degne di dame di rango, come si conviene nel melodramma che dell’illusione è la fabbrica. Qui, temo e nessuno me ne voglia, l’illusione era quella dei presenti in sala, che applaudivano, credendo di avere ascoltato una completa esecuzione del titolo. Spes ultima dea!
Un pensiero su “Gazza ladra a Pesaro: gli equivoci del Rof.”
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Per caso ho sentito un pezzo del primo atto della Gazza, ma solo un pezzo, di più le mie orecchie non reggevano. Concordo sostanzialmente con Donzelli, ma sono in disaccordo su un punto. A mio parere affermare che “Quanto al Podestà di Marko Mimica abbiamo assistito alla versione rossiniana del peggior Burchuladze” è asserzione troppo pesante nei confronti di Burchuladze, cantante che al confronto dell’inascoltabile Mimica era un maestro di finezza (e poi aveva una vera voce, nonostante tutto e nonostante i noti difetti)! E pensare che nel 1989 il podestà era Ramey….. E pensare che allora avevano criticato la Ricciarelli! La Ricciarelli si sarebbe mangiata in due bocconi la Ninetta di questa edizione. Come gli altri cantanti dell’edizione diretta da Gelmetti (Manda di Nissa, Coviello, D’Intino, Furlanetto, Matteuzzi,etc.).