Di Spagna sono la bella, regina son dell`amor.
Tutti mi dicono stella, stella di vivo splendor.
Stretti, stretti, nell’estasi d’amor,
la Spagnola sa amar cosi,
bocca a bocca la notte e il dì.
Amo con tutto l’ardore a chi è sincero con me,
degli anni miei il vigore vi fo ben presto veder.
Sguardi che mandan saette, movenze di voluttà.
Le labbra son tumidette, fo il paradiso toccar.
Anche una canzoncina da salotto (salotto napoletano in salsa spagnola, o forse è il contrario?) permette di discernere l’esecutore limitato, perché di limitata tecnica, da quello ispirato e sostenuto da un più completo controllo delle proprie risorse. E questo anche nel caso in cui le rispettive risorse profondamente divergano. Non v’è dubbio che Nadezhda Obukhova (1886-1961) possedesse una sontuosa voce di autentico mezzosoprano (voce che, senza assurgere al sommo grado di una Stignani o di una Schumann-Heink, permetteva alla sua detentrice di sostenere un repertorio vasto e oneroso, da Carmen e Dalila ai grandi ruolo del melodramma russo, non diversamente da quanto avrebbe fatto, decenni più tardi, una Arkhipova), mentre Joyce Di Donato (nata nel 1969) è un nominale mezzosoprano in fondato sospetto di soprano lirico, con velleità (finora frustrate alla prova dei fatti) da drammatico di agilità. Poco o nulla determinante anche la tonalità in cui viene eseguito il brano (solitamente affrontato da interpreti maschili), in re per la russa e in fa per l’americana, stante la limitata difficoltà vocale. Quello che impressiona, nella Obukhova, è la grande omogeneità dei registri vocali, in cui la facilità in zona medio-alta (“la Spagnola sa amar così”) trova riscontro nella salda discesa a un grave che è poitriné come “colore spagnolo” impone (“stella di vivo splendor”), ma che non risulta affatto sordo o tubato. Viceversa è per l’appunto la scelta di ingolare la prima ottava a generare, nella voce della Di Donato, i suoni opachi al centro (“di Spagna sono la bella”, di malcerta intonazione) e malfermi in alto (“d’amor”, “la notte e il dì”), con sistematiche spoggiature a ogni (opportuno) tentativo di smorzare e addolcire la linea di canto (“veder”, “sguardi che mandan saette”, il tentativo di trillo prima della ripresa del ritornello). Anche la respirazione risulta problematica, con riprese di fiato che vanno a spezzare incisi come “Stretti, stretti” e “sa amar così”, rendendo, di fatto, poco comprensibile il significato del testo, imperfettamente scandito (“il vigore”, “tumidette”). Ottima, per contro, la pronuncia della Obukhova, specie se si considera che la carriera del mezzosoprano russo si svolse interamente nelle terre patrie, eppure il “colore locale” del divertissement salottiero è presente all’appello e non basta certo l’arrangiamento, per così dire, fantasioso (balalaike a evocare le chitarre, o piuttosto i mandolini?) a sciuparne il fascino (costruito interamente da frasette come “stella di vivo splendor” o “nell’estasi d’amor”, galleggianti sul fiato e quindi morbide, insinuanti, davvero seducenti).
Un confronto davvero impari… e la Obukhova aveva già une certa!!! Leggevo il commento di un altro utente su fb che mi permetto di far mio perché l’ho sempre pensato anch’io: una mancata star di Broadway reciclatasi nell’opera.
Mi meraviglio che un altro autore del sito non abbia scritto che la garland era, rispetto alla yoice, tutt’ altra cosa