Estate. Come ogni anno ritornano zanzare, afa, diete last minute, scandali più o meno al sole, ondate di caldo stagionali rese più mediaticamente interessanti da improbabili nomi mitologici (Caronte, Minosse, Flegetonte e chi più ne ha più ne metta), tasse, feste di piazza etc… E come ogni anno, all’alzarsi della colonnina di mercurio, si alzano i sipari dei 10, 100, 1000 festival musicali, che percorrono la penisola con i loro inutili “eventi unici” dal livello semi balneare: almeno nella maggior parte dei casi. Ce n’è per tutti i gusti, per tutti i generi e per tutte le tasche: dai grandi raduni popolari alle rassegne più fighette ed esclusive, dai festival di respiro (e/o velleità) internazionale a quelli più radicati nel territorio, da manifestazioni, che vantano antiche e rispettabili tradizioni a novità ed improvvisazioni dell’ultim’ora. In questo mare magnum di campanilismo al quadrato e di generose elargizioni di risorse pubbliche e private (rastrellate da enti locali, province, comuni, regioni, sponsor, associazioni, fondazioni, uomini d’onore…ciascuno con un preciso e “nobile” intento che solo raramente riguarda la musica), non mancano inciampi, impicci e inciuci. E’ il caso di due rassegne: l’una dedicata all’operista italiano più eseguito al mondo e, pertanto, meno bisognoso di un festival dedicato (Puccini); l’altra – di recentissima istituzione e di altrettanto rapida soppressione – garantiva, tra gli scavi di Pompei e i custodi in sciopero permanente pur a stipendio pieno, “serate straordinarie dal 500 a.C.” includendo, immagino, anche spettacoli di gladiatori che si scannano e di esseri umani sbranati da belve…ma tant’è, ognuno si diverte come vuole! Ce ne sarebbe anche una terza, a Taormina, appaltata ad un noto commentatore radiofonico con licenza di “spettacolari” cambi d’opinione, ma ne parlerò un’altra volta…forse. Delle altre due, dicevo, la prima è segnata da un livello talmente basso, ma da pretese così elevate, che definirla provinciale è peccare di lusinga: una brutta copia dell’Arena di Verona per pubblico altrettanto turistico in una struttura faraonica – pagata con denari pubblici ça va sans dire – mai coperta dagli introiti del festival e che più di un omaggio a Puccini sembra giustificare i più sorpassati ridimensionamenti del compositore a canzonettaro da “anema e’ core”…o da “anema e’cozze” dato il livello artistico medio degli spettacoli offerti. La seconda era un regalo fatto da quel ministero che non trovava i pochi denari per salvare l’Orchestra Verdi, ai soliti noti (con genitori facoltosi, amicizie giuste o un passato remoto di una certa importanza)…e per la quale si sarebbe auspicato l’intervento se non di qualche Procura della Repubblica, almeno della Corte dei Conti, ma dato che il diavolo fa le pentola e non i coperchi, la rassegna pompeiana è morta sul nascere: evidentemente non c’era più interesse a perseguire l’ennesimo inutile sperpero di denari pubblici. Ma senza addentrarmi troppo nelle miserevoli vicende voglio raccontare semplicemente una storia. La storia di un direttore d’orchestra figlio di un celebre e del pari discusso medico oncologo trovatosi – senza particolari meriti (per giudizio unanime della critica ufficiale) – a dirigere i Wiener e incidere per la stessa casa discografica di Kleiber e Karajan. Misteri o fortuna: nelle condizioni giuste le salite sono sempre in discesa. Ma non basta: dopo la nomina a direttore artistica del festival più inutile mai ideato dall’uomo, si candida alle ultime elezioni amministrative per il comune che – guarda il caso! – gestisce proprio il Festival Pucciniano. Così il direttore fortunato appoggia uno dei candidati sindaco col proposito di entrare in Consiglio Comunale in un ballottaggio tutto in casa PD (siam pur sempre in Toscana, bischeri!) tra ex, post e pro rottamatori. Alla fine il cavallo che vince è quello giusto, ma il nostro non entra in Consiglio. Poco male, perché il neoeletto congeda senza troppi scrupoli il direttore in carica del Festival (come se fosse “casa” o “cosa” sua e nonostante la ventata di aria fresca nel programma di quest anno) per liberare il posto a chi l’ha appoggiato in campagna elettorale. E in questo modo Alberto Veronesi, direttore d’orchestra senza merito particolare se non quello della prosapia, torna in sella al pucciniano – come in una barzelletta di cattivo gusto – e i primi effetti sono devastanti: dal dimezzamento dei compensi già contrattualizzati ad uno spaventoso Sanremo lirico-pop con cantanti neomelodici o star bollite chiamate a rivisitare “in chiave moderna” le musiche del Maestro (che nella tomba avrà smesso di rigirarsi per bestemmiare con maggior costrutto). Tra le vittime più illustri della “rivoluzione” Veronesi – in un Festival che mai ha brillato di suo – l’evento forse più interessante dell’intera sua storia: infatti l’esecuzione di Turandot con i 4 finali alternati nelle repliche (Berio, Alfano I, Alfano II, Incompiuto) è stata cassata a favore del solito finale tradizionale, quello che la Casolla (alla faccia delle novità) replica da 50 anni! E così muore, affogato nel più palese conflitto di interessi, un altro pezzo di dignità e moralità di questo paese: muore nell’indifferenza della stampa drogata dal compiacere e difendere il regime, nell’arroganza di un potere svergognato nell’elargire favori, cariche e compensi solo ad amici, parenti o figli di…muore nel corto circuito di privilegi, malaffare e illegalità così diffusa da non suscitare più scandalo o riprovazione. Muore come la povera Liù, schiacciata, con la sua innocenza, in un gioco più grande di lei, da un Principe ingrato e assetato di potere e da una frigida calcolatrice con un impero in dote.
L’ascolto:
Grazie di questo articolo.non dico altro.
E questa è solo una piccola parte della storia intera!!