Nel recensire questo Tell londinese devo riconoscere che sono uscito dal cinema più soddisfatto di come ne ero entrato: fuori un caldo torrido, cinema semideserto, la sala della proiezione ospitava ben 5 persone, me compreso, che hanno affrontato 4 ore e 45 di musica, intervalli e pseudo-interviste di cui si poteva fare a meno, confortati dall’aria condizionata. Essendo la prima volta che vedevo l’opera al cinema mi sono domandato quale sia il ritorno effettivo in termini economici di operazioni come queste se le persone tra Vicenza e dintorni erano solo 5, pur tenendo presente che domenica 5 luglio non è esattamente un giorno o un periodo propizio per attirare folle al cinema.
Partirò dal versante musicale, quello certamente più importante. La direzione di Antonio Pappano è stata varia e intensa, sempre tesa, teatrale, e anche quando sceglie dei tempi piuttosto lenti (la sinfonia, alcune parti corali nel primo e nel secondo atto) riesce a mantenere viva la tensione e a guidare l’orchestra sottolineando molte meraviglie della partitura. Si sente chiaramente che il maestro conosce bene l’opera e l’ha diretta già molte volte: ne dà una visione romantica in cui la natura e le masse corali hanno un ruolo centrale e i cantanti sono perfettamente amalgamati nel contesto. Ci sono stati pochi tagli (qualche da capo e poco altro), che non inficiano minimamente la resa complessiva, mentre l’unica nota davvero deludente sono stati i ballabili, non perché mal eseguiti, ma perché tirati via a un ritmo forsennato. Capisco che l’opera è lunga e si è scelto di non ricorrere al corpo di ballo, eppure i balletti restano un tratto importante del Grand-Opéra, che non dovrebbe essere del tutto trascurato.
Gli esiti dei solisti sono invece più discontinui. Il più convincente è Gerald Finley, che disegna un Tell nobile, eroico, mai urlante, elegante e riflessivo che ha come maggior pregio quello di riuscire a emergere quale vero protagonista in un’opera in cui, di solito, si tende a guardare sempre al tenore. La voce di Finley ha un bel timbro e regge bene la parte, nonostante abbia il dubbio che dal vivo qualche acuto possa essere indietro o non perfettamente girato.
John Osborn ritorna al ruolo di Arnold, ruolo in cui oggi è forse il solo a risultare davvero convincente nella massacrante parte rossiniana. La voce di Osborn non è bella, non è grande, è per natura leggera, ma non sfigura nei momenti più eroici ,nei quali, paradossalmente, risulta forse più convincente che in quelli lirici perché difetta di legato e abbandono. Sicuramente ha tutte le note, ci crede, ha un buon piglio, ma, a mio avviso, a questo Arnold manca qualcosa. Nel primo atto nel duetto con Tell parte in sordina e gli estremi acuti non sono perfettamente a fuoco, riesce a disimpegnarsi, ma senza emergere. Nel duetto con Mathilde alcuni acuti non sono a posto, ma fa un figurone visto chi gli canta a fianco. Nella sezione centrale cerca di essere molto dolce e gli riescono delle mezzevoci, pur se un pelo troppo falsettanti, quello che manca è ancora il legato. Osborn si rifa alla grande nel restante secondo atto in cui riesce a coniugare alle intenzioni una buona gestione della voce e tutti gli acuti sono più a fuoco, tranne quello su una delle ripetizione di “mon père”. Il quarto atto lo vede partecipe emotivamente, però nell’aria emergono dei piccoli problemi di intonazione sul passaggio, gli acuti sono talvolta suoni misti non perfettamente riusciti e difetta sia di legato, sia dell’ampiezza che sarebbe richiesta. La cabaletta, pur se visibilmente stanco, lo vede riuscire molto meglio ed espugnare con facilità i sopracuti tenuti, ma non i due brevi su “arrachons Guillaume à ses…”, infine la puntatura in chiusa è lunga, ma manca un po’ di appoggio. Nel complesso ritengo positiva la prova di Osborn, specie se rapportato alla concorrenza odierna, ma non si possono non evidenziare alcuni limiti: acuti brevi o da prendere non in forte risolti con suoni misti o mezzevoci che necessiterebbero di maggior appoggio del fiato, mancanza di legato forse connesso anche al poco feeling con la dizione francese, molto legnosa e scolastica, mancanza di ampiezza, quindi poche sfumature, e troppo ricorso al naso per prendere certi acuti. Rimane il dubbio che se Osborn affrontasse ruoli più leggeri sarebbe più convincente e la voce ne gioverebbe. Aggiungo che la scelta di presentare Arnold come una sorta di disturbato affetto da ansia e indecisione cronica (parte kaufmanniana oserei dire) non rendeva un buon servizio né al cantante, né a livello visivo.
La Mathilde di Malin Byström è stata la peggiore in assoluto: bella donna resa assai brutta da smorfie e sforzi orrendi a vedersi e a sentirsi mentre canta. Una voce allo stato brado: bel timbro al centro ma gonfiato, posizione bassissima, gravi vuoti e acuti letteralmente gridati e lanciati colla speranza di prenderli, ma 9 su 10 calanti. Impossibilità di cantar piano e modulare la voce e legato reso impossibili dal fatto che cambia posizione per emettere ogni singola nota. Se in Selva opaca fa già male ma può barare perché la tessitura è abbastanza centrale, già nel duetto affonda e fa sembrare Osborn un dio del canto e dell’interpretazione, i tentativi di eseguire note staccate sono ridicoli e i trilli solo il tenore prova a farli, fortunatamente la cabaletta è scorciata. L’aria del terzo atto è davvero una pena per tutti i difetti già elencati e per la totale incapacità di eseguire le poche agilità previste, si segnala la sezione finale scorciata. La sua prova continua così fino ai concertati in cui dispensa grida calanti a iosa facendo espressioni bartolesche e rivelando una grande stanchezza. Di meglio si poteva certamente trovare e gli impietosi primi piani, così numerosi, si potevano ridurre per evitare di vedere tanta sofferenza nel cantare.
Jemmy, quasi sempre presente in scena e reso centrale dalla regia, è stato reso senza infamia e senza lode da Sonia Fomina che, simile a Tintin, è interprete partecipe e non fa atrocità, seppure qualche acuto è un poco duro in chiusa del primo atto.
La Hedwige di Enkelejda Shkosa non è certamente una gran cantante e nel quarto atto emette suoni di petto piuttosto volgari e brutti a sentirsi.
Il Melchtal di Eric Halfvarson è imbarazzante: voce vecchia con pronuncia pessima e oscillante in modo fastidiosissimo. Credo che la fine che fa alla fine del primo atto fosse attesa con gioia da molti ascoltatori.
Gesler è Nicolas Courial, cantante dall’indubbia bella presenza, ma pessimo per canto e con risibili difetti di pronuncia.
Enea Scala è il pescatore, già non bravo di per sé e in difficoltà sugli estremi acuti, doveva anche emettere i singhiozzi di chi è ubriaco nella sua aria.
Dopo tutto il cancan mediatico che se ne è fatto, sono rimasto sconcertato nel constatare che la regia di Damiano Michieletto non è né particolarmente stupida, né particolarmente geniale, anzi, in alcuni momenti risulta anche d’effetto. Le idee di base sono poche e semplici da comprendere perché ribadite insistentemente: Guillaume è un eroe riluttante che solo alla fine accetta che solo lui può assumersi il carico di guidare gli svizzeri e uccidere il tiranno, l’oppressione del popolo svizzero inerme se privo di una guida carismatica ma gradualmente consapevole del proprio ruolo e della propria condizione, il legame con la terra, sempre presente sul palcoscenico, e la natura, nello specifico alberi divelti chiare allegorie del’orgoglio spezzato del popolo svizzero. Si aggiunge che tutta la vicenda è narrata conferendo un’attenzione privilegiata a Jemmy, che fin dall’inizio sfoglia un fumetto in cui si dipana la storia del Tell e che capisce il potenziale eroico del padre prima del padre stesso e lo aiuta ad accettarlo. A queste idee condivisibili, se ne aggiungono altre che, per lo più, danneggiano la resa complessiva spettacolo.
Il primo atto è davvero brutto. La vicenda è trasportata in epoca moderna: in una sorta di bunker gli svizzeri celebrano i loro riti, mentre un figurante (che comparirà numerose volte) vestito da classico Guglielmo Tell porge frecce agli uomini, ma solo Guillaume ne raccoglierà una. Non ho capito il senso di rappresentare ubriaco il pescatore, temo però sia dovuto alla parola “ebbrezza” da lui pronunciata. All’arrivo del terribile Melchtal la preghiera è ben resa con la sottolineatura del legame con la terra, ma poi il ballabile è vergognosamente svilito da una sorta di gioco-addestramento di Jemmy al tiro con l’arco da parte di Guillaume che, alla vittoria del figlio nella gara, fa una gag di pessimo gusto in cui finge di essere morto trafitto da una freccia per poi balzare in piedi ridendo. L’irrompere degli austriaci in divisa nera da CIA o SWAT armati coi mitra conduce in modo piuttosto volgare al finale d’atto in cui Melchtal viene parzialmente spogliato, legato a un tavolo e infine freddato con un colpo di pistola, dopo che i soldati hanno tentano invano di farlo uccidere dai bambini svizzeri porgendo loro le armi. Un alberello, credo rappresentante il patriottismo del vecchio Melchtal, viene sradicato alla calata del sipario.
Il secondo atto, per converso, è molto bello e ben riuscito, eccetto il coro dei cacciatori con mitra che danno armi a dei bambini orripilati. Un enorme albero sradicato, probabilmente vero, occupa orizzontalmente il palcoscenico. Davvero riuscita e d’effetto tutta la scena del terzetto e del giuramento (col sangue) in cui si riesce a rendere senza storpiature l’afflato epico della partitura.
Il terzo atto presenta oltre all’albero, inutili divanetti e poltroncine nella scena Mathilde-Arnold e poi una tavola imbandita ove siedono gli austriaci, rappresentati come gerarchi in uniforme (pressoché uguale a quella della Guardia di Finanza), mentre gli svizzeri oppressi sono situati dietro l’albero. La famosa scena dello stupro durante i ballabili non è proprio nulla di che: i gerarchi istigati da Gesler spogliano una ragazza e tentano di violentarla. Posso assicurare che, nonostante tutte le critiche lette e le mani avanti messe da Holten, direttore della ROH, durante l’intervista e della presentatrice che ha annunciato più volte che si sarebbero viste scene forti che avrebbero potuto disturbare, di nudo ce n’era molto poco e la scena non era certamente traumatica, semmai del tutto inutile e atta a distrarre e dalle musiche dei ballabili, che senza dubbio sarebbe meglio vedere con i ballerini. Mi domando se lo scandalo non fosse pilotato perché se ne vedono davvero di peggio in tutti i sensi… forse questa pubblicità gioverà al teatro e al regista, chissà! L’atto si chiude con la scena della freccia in modo efficace, anche se stona il fatto che la vicenda ruoti intorno a una freccia, quando gli austriaci hanno mitra e pistole.
L’ultimo atto vede ancora l’albero al centro della scena e Arnold su un letto da ospedale disturbato da incubi o allucinazioni; ammetto di non aver compreso il senso della scena. Molto bello invece il finale in cui Tell, accettato finalmente il proprio ruolo, uccide Gessler e poi tutti, coro e solisti, inginocchiati sulla terra, se ne riempiono le mani, mentre l’enorme albero viene sollevato e il palco illuminato da intense luci gialle a significare una nuova alba di speranza e libertà, testimoniata dall’arrivo di un bambino svizzero che pianta un germoglio di albero.
La regia, pur avendo numerosi momenti positivi e altrettanti scadimenti nel ridicolo, nel grottesco e nel brutto gratuito, non è nel complesso da crocifiggere, anche se personalmente mi domando se siano davvero necessarie tutte queste sovrastrutture quando, rimanendo più vicini al libretto, si riuscirebbe a essere più attinenti e efficaci, oltre che ad evitare delle insanabili contraddizioni tra quanto si dice e quanto si vede. Va riconosciuto che Michieletto non stravolge del tutto la storia, la conserva grosso modo intellegibile e, come già sottolineato, realizza alcuni momenti risultano di grande effetto, anche se mi viene spontaneo affermare che, a dispetto dei tentativi di far parlare di sé con trovate provocatorie, oggi la grande rivoluzione sarebbe vedere le opere, specialmente quelle meno proposte, rappresentate in modo fedele al libretto.
Ninia92
Grazie!
questa cosa dell’opera in diretta al cinema mi incuriosisce parecchio; non ci sono mai stato ma alla prima occasione voglio provare. A dire il vero non capisco bene cosa spinga il teatro a vendere la diretta e il circuito di sale cinematografiche ad acquistarla. Se lo scopo è quello di allargare il pubblico acquisendo spettatori a prezzi popolari non mi sembra funzioni, tantomeno credo il cinema si aspetti di fare cassetta. Bah! Proverò, l’atmosfera non sarà quella di una serata a teatro ma son curioso…
Grazie Ninia, proprio una bella recensione! È in ogni caso una esperienza interessante andare ad ascoltare l’opera al cinema.
…ma, agli autori del sito chiedo se davvero vogliono lasciare carta bianca ai lettori… mi trovo ad Aix-en-provence in questi giorni e volendo potrei scrivervi anche io qualche storiella su Petibon-Alcina, Jaroussky-Ruggiero cui ho assistito e altre cose che ascolterò nei prossimi giorni… (anche un concerto di Zimerman che non vedo l’ora)
Certo !
Che invidia (Zimerman, mica la Pety ) .
Ovvio. La Petibon Alcina? Ma è una versione comica dell’opera di Haendel?
Non ho ancora visto l’opera in teatro, ma volevo solo puntualizzare che dopo le polemiche e in vista della diretta al cinema la scena è stata un po’ “ammorbidita”…
Interessante il commento su Pappano, diversi l’hanno criticato in Inghilterra per essere stato pesante nella direzione e aver tagliuzzato un po’ dappertutto (come si può vedere anche dalle durate degli atti se confrontate con altre interpretazioni).
Xalira grazie per la precisazione, ché francamente ignoravo la cosa non essendone stata fatta parola. Mi domandavo infatti come potessero esserci state tali polemiche per così poco! Sai per caso in cosa sono consistiti i cambi?
Su Pappano io dissento invece, c’è un’idea chiara e la porta avanti coerentemente. Potrà non piacere, ma pesante non trovo sia proprio un termine calzante, per me una prova positiva. Dei taglietti qui e là ne ho accennato, ma ripeto che è poca cosa rispetto ai tagli del passato e bisogna considerare che è una rappresentazione dal vivo. I tagli alle parti con Mathilde (duetto, aria) tra l’altro erano più che auspicabili visto chi cantava e come.
e poi tagliavano l’aria del terzo atto a Matildi come la Ponselle, la Rethberg, la Cerquetti, la Gencer, la Arangi-Lombardi!