Mascagni – Cavalleria rusticana
Atto unico
Tu qui, Santuzza?…Bada Santuzza, schiavo non sono…Fior di giaggiolo…No, no Turiddu – Giuseppe di Stefano & Antonietta Stella (con Maria Luisa Fazzea, dir. Fernando Previtali – Roma 1962)
L’evento che doveva celebrarsi alla Scala poche settimane or sono, e che doveva vedere l’accoppiata Kaufmann-Garanca trionfare in Cavalleria rusticana era evento evidentemente auspicato e orchestrato da tempo, vuoi dalle agenzie, vuoi dalle major discografiche, tanto da proporre già in concerto nel 2013 a Baden Baden (nuovo eldorado degli eventi Deutsche Grammophon) e in diverse occasioni brani dalla Cavalleria rusticana a mo’ di prova per i due divi prima di cimentarsi nell’effettivo debutto nei rispettivi ruoli, debutto effettivo avvenuto al momento solo per Kaufmann quest’anno a Salisburgo, come tutti sanno, anche sea onor del vero, la signora Garanca ha cantato in concerto quasi tutta la parte di Santuzza (penso manchi solo l’incontro iniziale con Mamma Lucia e il duetto con compare Alfio, forse il brano più scomodo per Santuzza). Abbiamo dunque pensato che fosse interessante proporre questa coppia di divi in comparazione con altra coppia prettamente operistica, incontratasi più volte sulle tavole dei palcoscenici in Aida come in Cavalleria o Ballo in maschera, piuttosto che nelle sale di incisione, ossia Antonietta Stella e Giuseppe Di Stefano, in questo caso in una recita di Cavalleria rusticana al Teatro dell’Opera di Roma nel 1962.
Nello specifico Di Stefano è qui colto nella fase di carriera in cui lo status di divo era al suo assoluto (di quell’anno è la celebre incisione Decca di Tosca diretta da von Karajan in compagnia di Leontyne Price) ma si avviava al tramonto, mentre il cantante cominciava ad avvertire i segni del proprio declino vocale, purtroppo già udibili da qualche anno per aver applicato una voce in natura lirica ad un repertorio oneroso ed estraneo a tale natura, come il Verdi di Aida piuttosto che di Forza del destino, così come il divo Kaufmann negli ultimi anni ha applicato voce di natura lirica, modesta però timbricamente e ancor più per volume, ad un repertorio sovradimensionato alle sue capacità tecniche e vocali.
Iniziando con la più recente coppia di divi, e appunto in ispecie con il signor Kaufmann possiamo notare che già alle prime frasi come “Tu qui Santuzza”, piuttosto che “Mamma cercavo” ovvero “Santuzza credimi”, che battono su note come fa e sol, ossia note del passaggio di registro, offre suoni e accento del tutto sguaiati, imitazione del peggior Domingo declinante. Le intenzioni, ove presenti, sono apprezzabili solo in zona centrale, come il secondo “Santuzza credimi”, dove cerca di modulare la voce, ma appunto sono solo sprazzi, perché la scrittura vocale di Turiddu mette a mal partito il bel Jonas, com’è possibile ascoltare in modo evidente nel la naturale di Vuoi che m’uccida, aperto e sguaiato, così come quello di “schiavo non sono” all’incipit del duetto “Bada Santuzza”, ma più in generale ogni qual volta il cantante si trova ad affrontare la zona del passaggio di registro e dei primi acuti è incapace di modulare la voce o di accentare, per evidente sforzo tecnico.
Per un nominale mezzosoprano, soprattutto se d’ascendenza belcantista, dove la parola d’ordine dovrebbe essere pulizia e correttezza di ogni suono emesso, stupisce che i vari mi in primo rigo di “Qui t’aspettavo” e “Debbo parlarti” o “giù dal sentier” siano tubati e soprattutto con sospetto di essere sconnessi dal resto della voce, come se fossimo già in presenza del famoso “scalino” tipico dei mezzosoprani usurati. C’è anche qualche difficoltà con il legato di “e stamattina all’alba”, dove l’artista è costretta a spezzare la frase per prendere fiato. Soprattutto all’incipit della scena l’apparente compostezza di accento nasconde spesso la totale estraneità a quanto cantato, spesso compito in modo del tutto metronomico, ignorando le indicazioni dinamiche presenti in spartito, mentre solo a frasi come “Tu l’ami dunque” o “Quella cattiva femmina ti tolse a me” viene mostrato una parvenza di accento.
Le cose migliorano molto nella sezione centrale “Battimi, insulta, t’amo e perdono”, dove l’accento riesce a sembrare dolente e la scrittura centro acuta permette di stare nella zona a lei più comoda vocalmente, riuscendo ad umiliare in questo caso il proprio partner, invece sempre più sguaiato e sbraitante, nonostante vada rilevato per la Garanca come i vari acuti siano spesso indietro. Corretta, infine, lo è anche in “No, no, Turiddu”, dove qualche problema torna a farsi sentire a metà sezione sulla frase “rimani ancora, dunque tu vuoi abbandonarmi?”, dove la voce è portata fino al do basso, zona per la Garanca piuttosto vuota e che la cantante quasi si inventa ingrossando la voce per creare un suono che non c’è. Anche in questa parte del duetto però l’accento dolente e castigato quanto basta è molto apprezzabile e ben reso, tanto da sopraffare un partner ancora incapace di accentare o semplicemente esprimersi vocalmente senza aprire i suoni o gridare, come dimostrano le frasi “Perché seguirmi, perché spiarmi”, di suono baritonaleggiante e costantemente spinto.
Il confronto di Kaufmann con Di Stefano è dunque per certi versi imbarazzante tanto il canto di Di Stefano è facile e quasi squillante in molti passaggi proprio in quelle zone a Kaufmann invece difficoltose per la sua organizzazione vocale, ossia il passaggio di registro e i primi acuti, sistematicamente chiamati in causa però dalla scrittura vocale di Turiddu.
La prima cosa che colpisce nel canto di Di Stefano è l’eccezionale facilità di suono e bellezza della voce, ancora apparentemente intatta quando si trova a cantare semplici frasi di conversazione, pur in zona di passaggio, qui facili e naturali, come pure i sol bem-sol di “Santuzza credimi”, laddove in Kaufmann sentivamo fatica immane e suoni scomposti. Insieme ad Antonietta Stella condivide poi una eccezionale dizione, chiarissima, che permette ad entrambi di scandire ogni frase in modo netto e comprensibile per l’ascoltatore, oltre che ad accentare con facilità.
La Stella, come più volte detto, oltre alla voce sontuosa e di qualità timbrica eccezionale, ha una completa padronanza del registro basso, unito in modo del tutto omogeneo al resto della voce. Molto bella è anche l’evoluzione della dinamica e del fraseggio che porta la rabbia iniziale al tono sempre più angosciato di “Battimi, insultami, t’amo e perdono”, con l’effetto previsto in spartito di diminuendo sul secondo “l’angoscia mia”, espressivo quanto bello vocalmente. Da notare è anche il tempo piuttosto lento con cui si sceglie di eseguire il brano, che non mette in difficoltà la cantante ma semmai ne esalta il legato come la bellezza e l’importanza della voce.
Al “Bada Santuzza” invece il canto di Di Stefano è un po’ aperto, in ispecie nel la di “schiavo non sono”, ciò dovuto probabilmente a fatica nel reggere a lungo certi passaggi, ma bisogna notare che non si arriva mai a note sguaiate come nel caso di Kaufmann, quanto piuttosto un po’ aperte.
Una nota merita la Lola di Maria Luisa Fazzea che interviene nel duetto con un bellissimo stornello, cantato con gusto e bella voce, una vera oasi rispetto alle starnazzanti Lole che capita troppo spesso di ascoltare in teatro oggi, così come è apprezzabile il tono ironico con cui scambia le proprie battute con Santuzza, contrapposte alle frasi insinuanti della Stella, bellissima, per esempio, “Gli dicevo che oggi è Pasqua e il Signor vede ogni cosa”, dove l’assottigliarsi della voce va quasi a sottolineare il fine espressivo di tale risposta, mentre perfetta per compostezza di suono e d’accento è la successiva “chi sa di non aver peccato”, frase tutta sotto al rigo, di suono sempre composto e raccolto ma pieno e assolutamente facile.
Nel “No No turiddu “ la Stella offre ancora una volta una vera e propria lezione di canto ed espressività, le ampie frasi di Santuzza sono rette con la consueta facilità e sicurezza, ancora una volta impressionante, mentre Di Stefano, in alcune frasi tende ad essere stentoreo e un po’ in difficoltà, specie quando deve cantare all’unisono con la Santuzza della Stella (ad esempio “Va non tediarmi” e “Pentirsi è vano) toccando la zona del passaggio di registro, anche se la la voce riesce a rimanere bella e a non farsi sopraffare dalla bravissima partner.
Da ammiratore di Di Stefano, posso solo dire che è un peccato sentirlo proposto in anni e repertori in cui lo si sente spingere e forzare. Che purtroppo sono la stragrande maggioranza delle sue testimonianze discografiche. Il confronto con il canto della Stella è imbarazzante, tanta è la morbidezza e la turgidità del suono di quest’ultima, senza alcuna spinta neanche nei momenti più drammatici. Sull’altra coppia mi taccio. Complimenti per l’articolo.
Il Kau-Kau imita il peggior Domingo che a sua volta imitava il peggior Di Stefano che imitava a sua volta (stop.)
Andiamo bene!
Questo sarebbe il “nuovo” scaligero?
Il problema è che di Stefano in scena, avendolo visto, era una bomba e tante pecche andavano, diciamo, in secondo piano.
Mi ricordo Gobbi in Falstaff, Iago e Scarpia… In scena, dal vivo, tutt’altra cosa.
La Stella. Dov’è MEZZA COSÌ oggi? La vidi in qualche ultima recita sua. Sempre meravigliosa e con una gran classe…
Il confronto? “Taccio, taccio. Più nulla”!
In tema di KaKau o quello che è, consiglio l’ascolto comparato del “Di rigori armato il seno con quello di Pavarotti”
https://www.youtube.com/watch?v=M-UQt5HXWnQ
https://www.youtube.com/watch?v=QPFGX2V7Vmc
Ti piace vincere facile
BONCI-BONCI-BO-BO-BO
Condivido meno il giudizio sostanzialmente assolutorio su Di Stefano, ma alla fine è bello avere opinioni anche diverse su argomenti così.