La parte di Odabella, virago ed amazzone verdiana, animata da nobili sentimenti patriottardi, antesignana e modello più vicino a Cristina Trivulzio Belgiojoso (1808-1871), che ad Adelaide Bono Cairoli (1806-1870) fu scritta da Verdi per Sofia Loewe soprano ed amazzone essa stessa. Oggi la difficoltà della parte non lunga, ma appunto perigliosa è erroneamente ritenuta nella cavatina di sortita dove la fanciulla di Aquileja, a gola fredda, deve sfoggiare un saldo di sedicesima dal do acuto al do grave. Passato quello la parte “si distende e diviene lirica”, diceva Maria Chiara, acclamata Odabella negli anni ’80. Solo che questa era l’opinione di Maria Chiara, soprano solido ed esemplare quanto a legato e capacità di sostenere tessiture non proprio agevoli, come quella della cavatina del primo atto. Perché il vero scoglio per Odabella è quest’aria, dove la fanciulla, dismesso l’usbergo ricorda il padre e fa mostra, più formale che sostanziale, visto come lo tratta nel corso dell’opera, di essere innamorata del mite e buon Foresto.
Nella pagina che richiede canto legato, languida fiorettatura e prevede anche una non agevole salita al do acuto con seguente scala cromatica le cantanti poco rifinite e mal messe tecnicamente colano a picco peggio che nella patriottarda sortita.
Siccome in questi giorni sul presupposto tutto teutonico (e praticato anche in paesi di lingua tedesca o simile) e quindi per nulla latino, che “i nostri grandi cantanti possono essere amati ed applauditi anche in piccole parto quando non siano più in grado di sostenere quelle protagonistiche ” ci viene inflitta la mamma Lucia di Mara Zampieri siamo andati a riesumare l’Odabella del soprano padovano, che operò quasi esclusivamente in teatri di lingua tedesca più la soccorrevole succursale di Zurigo (già in epoca Pereira) per valutarne il confronto con una di quelle voci d’oro all’italiana, che va di moda bollare con “veriste” , quale Caterina Mancini.
Allora nel recitativo la voce di Caterina Mancini svetta senza difficoltà con la forza della qualità del timbro e la capacità di rendere lo stato d’animo di Odabella con un leggero rallentando su “in che posa ha pur le tigri” per contro la Zampieri esibisce sin dal mi4 di “piangi” quello che era il suo insuperato difetto ovvero emettere suoni fissi. Di suoni fissi e talora stonati la Zampieri infarcisce la parte tutte le volte che si presenti dal mezzo forte in poi una nota superiore al mi. Talvolta, sempre nel recitativo il vizio appare sul re di “tigri”. Con questo canto da locomotiva anche nel recitativo, che non presenta difficoltà vocali la cantante è assolutamente piatta e priva di dinamica alcuna.
Al cantabile (andante mosso, prevede lo spartito) la Mancini esibisce a larghe mani il timbro di qualità e la dizione chiara e scolpita. Benché tacciata di essere un soprano verista per gusto e tecnica non incorre in suoni aperti in zona medio grave, come potrebbe accadere sul fa di “NON sei tu padre” nota che cade subito dopo il primo passaggio del soprano. E’ anche vero che il brano di sapore elegiaco induce a suoni morbidi e raccolti ed all’espressione contenuta. E siccome la nomea di verista è appioppata abbastanza a casaccio la Mancini esegue con fermezza e rotondità di suono di suono e rispetto dell’indicazione dolce le quartine di “il mio Foresto”, con tanto di salita al si bem. Incorre invece in un amusicale fiato prima di salire al si nat di “amati Spiriti” dove evidentemente c’era la preoccupazione della nota acuta. Quisquillie rispetto al suono ghermito e fisso della Zampieri. Quando arriva la chiusa dell’aria con la salita al do nel mezzo di una lunga figura ornamentale che dovrebbe essere eseguita “leggerissima” la Mancini patteggia e pasticcia con i fiati prendendone uno non previsto subito dopo la salita al do mentre la scala discendente è eseguita senza difficoltà. Che la cantante sappia perfettamente cosa stia cantando ed il senso di rimpianto che deve pervadere la scena non è neppure il caso di ricordarlo a chi vorrà leggere anche perché con una siffatta dote vocale era facile rendere la situazione scenica e drammatica.
Chi non esprime nulla alle prese con una voce dura e fissa e quindi incapace di flettersi e di dare una scansione all’italiana è la Zampieri che, come già detto prima strilla il si ben dei “amati spiriti” e arrivata alla chiusa annega con prese di fiato del tutto abusive la prima alla ripetizione conclusiva di “spiriti” dove per prendere un la acuto ricorre ad una mezza acciaccatura non prevista, tralasciamo che succede al do 5 e alla chiusa “possa la voce udir” prende un bel fiato abusivo (musicalmente molto peggio di quello della Mancini all’inizio della scala) che spezza le quartine previste. Di dolcezza sulle quartine neppure l’ombra!
Domanda: quale fondamento se non piazzare una vecchia cantante, che cantava a Zurigo ha la scelta della attuale mamma Lucia?
Proporre come ascolto di Odabella la Zampieri, che negli anni 80-90
ci fu ampiamente menestrata ogni qualvolta si voleva vedere e ascoltare un Attila. Per nostra fortuna in quei dì viaggiava su un altro binario una altra Odabella, e che Odabella! Maria Chiara.
mescolata in cast simili che avevano come punti di forza sia Ramey, che Nesterenko,
mi permetto di linkare uno dei cast dell’Arena di Verona 1985 e poi si dice male di essa)
https://www.youtube.com/watch?v=ZmPOdniKknQ
Vvoglio quì ricordare un opera quasi sconosciuta di quel signore che era Rodolfo Celletti, con una sua recita a Martinafranca il 3.8.87
interpreti: Simone Alaimo,Paolo Coni,Jolanta Omilian,Dino di Domenico sotto la bacchetta di Massimo de Bernart.
un’altra edizione è stata quella di Dordrecht 1993 con Simone Alajmo,Ines Salazar,Giorgio Lormi, Dino di Domenico, sotto la dir. di Giuliano Carella