Ormai assuefatti a tenori russi (o comunque provenienti dalle terre che furono dello Zar e poi degli zelanti funzionari del partito unico), che in basso tubano i suoni e in alto imitano i peggiori urlatori mediterranei, ascoltiamo Nicolai Figner e ci domandiamo come un tenore dalla voce così chiara e duttile, tutta “avanti” e omogenea nei diversi registri, potesse affrontare, accanto a Lensky, al Fernando di Favorita, a Faust e al Duca di Mantova (ruoli che oggi sono dominio incontrastato delle vocine o vocette), ruoli quali Arnoldo del Tell (nel quale le vocette o vocine miseramente naufragano, come peraltro nei precedenti, ma più spettacolarmente), il protagonista della Dama di picche, Otello, Radamès e Raoul de Nangis. A tal punto il concetto di voce importante è, nella nostra testa e soprattutto nelle nostre orecchie, associato a suoni rauchi e malfermi, a vociferazioni spacciate per temperamento interpretativo, a soluzioni enfatiche e squinternate che dovrebbero “medicare” difetti di emissione e impietosamente li sottolineano. I dischi di Figner, al pari di quelli di Tamagno e di Francisco Viñas, ci confortano nell’opinione contraria.