Pietro Schiavazzi, sardo precisamente cagliaritano, come de Muro è considerato da sempre come uno dei primi tenori veristi in ogni senso di quelli che al singhiozzo, all’espressione stentorea talora plebea e facilona presto mal ridotti e presto ritirati. Poi si ascolta questo addio alla madre brano di scrittura centrale dove il cattivo gusto potrebbe imperare ed invece ascoltiamo ben altro. Ossia una voce chiara e squillante, sempre a fuoco nella maschera, capace di reggere un tempo indugiante e con una dizione netta e scolpita, esente o quasi da enfasi, capace di cambiare colore nel trapasso fra le frasi di quella falsa conversazione a quelle del sentire di Turiddu, che canta il proprio testamento. Vedi il primo “voi dovrete fare da madre a Santa”, vedi i vari stentando ed allargando di cui dissemina le ripetizioni del “s’io non tornassi” (pare fossero gli allargando una peculiarità del primo direttore di Cavalleria: Leopoldo Mugnone) e la smorzatura dell’ultimo “s’io non tornassi” prima dell’intervento di mamma Lucia e quella con ulteriore rallentando sul “m’ha suggerito il vino” prima di attaccare la perorazione finale. Per completezza va rilevato come talvolta gli acuti (il si bem di s’io normassi alla stretta ) suonino un poco sfuocati e spinti. Effetti del verismo? Forse, ma mi permetto di dubitare perché il canto di Schiavazzi al centro è corretto e di scuola.