Apprendiamo che ieri il Consiglio di amministrazione del ROF, ha “congedato” Alberto Zedda dall’incarico di Direttore Artistico del festival salutandone il successore, Ernesto Palacio, definito – in modo surreale – “uno dei massimi esperti internazionali di vocalità rossiniana”. Tutti sappiamo chi è Zedda e quali sono le sue competenze, preparazione, valore, pregi (e difetti, soprattutto quando impugna la bacchetta). Un musicologo di fama internazionale che ha contribuito in modo fondamentale alla Rossini renaissance. Del resto la particolare funzione del ROF quale “braccio esecutivo” della Fondazione Rossini e quindi legato a doppio filo alle problematiche filologiche e storiche nel riproporre un repertorio per gran parte dimenticato e nel recuperare una prassi esecutiva in parte da reinventare, suggerisce che la competenza musicologica della direzione artistica sia condicio sine qua non. Chi è, invece, Ernesto Palacio? Un musicologo? No. Uno studioso di vocalità rossiniana? Neppure. Uno storico della musica? No. Un esperto del settore con una carriera direttiva alle spalle e capace di circondarsi di competenti musicologi e studiosi rossiniani? No. Mi consta che Ernesto Palacio sia solo un ex cantante che sino all’altro ieri ha fatto l’agente di cantanti e direttori più o meno famosi (della sua scuderia: Florez, Korchak, Mariotti, etc… sì, tutti nomi che girano abitualmente a Pesaro). Ora, come direttore artistico del ROF potrà trattare con i suoi ex soci (ex da pochissimo, peraltro, ed ex, forse, solo per un minimo di cautela: non dico decenza perché non credo vi siano scrupoli morali nella scelta) nomi, ingaggi, scelte di repertorio. Una pacchia! Ci sarebbe una quisquilia…una piccolezza…un dettaglio: si chiama conflitto di interessi. Nei paesi civili è disciplinato, vietato, evitato. E pure quando una scelta sarebbe lecita, ma inopportuna, si fuga ogni sospetto: e sono proprio i diretti interessati a non mettersi in situazioni potenzialmente discutibili, rinunciando all’incarico senza cercare scappatoie atte a salvare capra e cavoli. Già, perché anche se una manciata di giorni prima della nomina, il diretto interessato è uscito dall’organigramma della sua agenzia, poco importa e poco toglie all’inopportunità della scelta che è e resta di forte conflitto: per un paese in cui vale più la forma della sostanza o, peggio, in cui la forma è da molti ritenuta sostanza, la carta bollata vale più della realtà. Ma la realtà resta e se con un pizzico di malignità si può argutamente sussurrare che da almeno 10 anni il Sig. Palacio sia il direttore artistico occulto del ROF, da ora si potrebbe dire che ne rimane l’agente occulto. Ma siamo in Italia, il paese dei furbetti, ergo “CHISSENEFREGA”… E davanti a questo aggiungiamo altri “CHISSENEFREGA” se la Rossini renaissance si è trasformata in decadence, se la fabbrica di cantanti si è ormai interrotta (sostituita dai surrogati dall’Est), se gli sponsor sono spariti, se i finanziamenti pubblici sono stati decurtati, e, soprattutto, se sono ormai state rappresentate praticamente tutte le opere del Maestro, ovvero se si è raggiunto lo scopo statutario del Festival e – soprattutto – la cassa vuota.
8 pensieri su “ROF anno zero.”
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le ultime stagioni del rof a parte poche eccezioni segnalate anche da noi erano state rossinianamente parlando (il che non significa solo esecuzione dello spartito e scelta dei cantanti, ma criteri filologici, scelte musicologiche) da tesseramento. Tesseramento, va detto, ben accettato da un pubblico che si crea miti e mitologie di princisbecco, tutti per motivi culturali ed anagrafici (qui nel dettaglio per non avere sentito i veri cantanti rossiniani sia a Pesaro che altrove, altri per essere ormai obnubilati dall’età e da cattivi ascolti antirossiniani). Ciò non si meno concordi e condivido l’impietosa disamina di Duprez e per il futuro mi immagino lo stabilimento balneare rof, la piadina gioachino, gadget e turisti deportati…. Cultura addio! ammesso che ci sia ancora
Ma se volessimo fare una “Piadina Gioachino” alla Rossini filologicamente corretta ne risulterebbe un piatto difficilmente vendibile sulle bancarelle del lungomare pesarese, dato che – come è noto – in gastronomia dicesi preparazione à la Rossini una preparazione in cui si usano fois gras e tartufi neri.
cfr. http://chefsimon.lemonde.fr/lexique/rossini.html
e per chi vuole provare:
http://d.repubblica.it/cucina/2014/02/25/news/filetto_alla_rossini_ricetta_food-2024760/
http://www.localistorici.it/it/Schede/view/slug/le-ricette-di-rossini/tipo/ricette-storiche
Il ROF oramai ha finito il suo compito che era quello di far conoscere
Rossini in tutte le sue sfacettature. Il viaggio a Rheims di Abbado
(mitico) portato alla Scala anni addietro ne ha chiuso il ciclo produttivo.
Orbene è giusto che si chiuda col pensionamento. Solo che si è pensionato chi ne era stato il motore:Zedda. Ora siamo giunti al bicchierino di liquore dopo il caffè. Cioè siamo tornati a goderci la famiglia.
Tutto ha una fine cari miei. Ha ragione Donzelli nel dire che già da tempo le scelte musicologiche e criteri filologici erano da tesseramento. Con questo cambio il ROF passa oltre (trapassa) e diventa un “festival alla memoria di…” come lo è già Bayreuth da anni… una fabbrica di eventi e non più una fabbrica di cultura.
Volta la carta la ze finia.
Comunque, è tutto un bel giro di amici ed amicizie vecchi e nuovi. Uno schifo!
Come si riesce a distruggere, più o meno lentamente, tutto!
Un baritenore senza acuti, che altro era Palacio?