Annuario pontificio berlinese. Tutto da rifare.

WernerproklaNon habemus Papam! Se ne riparla l’anno prossimo… Il paragone con il conclave pontificio sarà pure scontato, ma ben si attaglia all’altro “conclave” – più profano certamente, ma non meno misterioso – che si è svolto ieri in una chiesa (sic!) di Berlino: non per eleggere il successore di Pietro, ma il nuovo direttore dei Berliner Philharmoniker chiamato nel 2018 a sostituire Sir Simon Rattle. Così i 124 orchestrali fin dalle 10 di ieri mattina, si sono trovati a scegliere tra una rosa di nomi secondo una procedura simile a quella seguita dai porporati romani: una prima votazione in cui ciascuno può votare “secondo coscienza” indicando liberamente qualsiasi direttore vivente, a cui seguono consultazioni più serrate per restringere la scelta sino ad individuare un nome condiviso con amplissima maggioranza. Ma a differenza del soglio pontificio, questa volta nel conclave berlinese non è disceso lo Spirito Santo: pare che la rottura tra modernisti e tradizionalisti non sia stata sanabile, così si è rimandato tutto all’anno prossimo. Molto si è parlato dei “papabili”: da Barenboim a Thielemann, da Jansons a Nelsons (nome circolato verso le 18 di ieri pomeriggio, ma poi smentito dalla stessa orchestra), fino a Dudamel e persino a Chailly. Non sapremo mai cos’è successo realmente all’interno del conclave berlinese, ma come spesso capita chi è entrato papa è uscito cardinale. E così è accaduto per i favoritissimi: Andris Nelsons (classe 1978, esponente del rinnovamento generazionale – scelta impensabile nell’Italia gerontocratica, ma in linea con le usanze dell’orchestra – e attuale direttore musicale della Boston Symphony Orchestra e della City of Birmingham Symphony Orchestra, proprio l’orchestra dove Rattle diede il meglio di sé tra il 1980 e il 1998) e Christian Thielemann (56 anni, già direttore dell’altrettanto prestigiosa Staatskapelle di Dresda e “padrone” del Festival di Salisburgo, caro ai tradizionalisti e , pare, ai nostalgici d’ogni tipo, più legato al repertorio classico e all’esempio di Karajan). Entrambi vittime degli equilibri di potere interni agli orchestrali? Oppure le divergenze interne e la mancata convergenza sono segno di qualcosa di più grave, di un imbarazzo nel trovare un nome al di sopra di ogni incertezza? Già, perché i Berliner non sono un’orchestra qualunque: hanno una storia che pesa e un prestigio conquistato insieme ad una libertà che sono riusciti a salvaguardare, pur con sofferenza e dolore, anche durante gli anni del Nazionalsocialismo, resistendo ai tentativi di trasformazione in orchestra del Reich. Il fatto che oggi non vi sia un profilo indiscutibile dice molto su un mondo musicale ormai avvitato su sé stesso e in cui faticano ad emergere nuove personalità nell’omologazione corrente (di suono, di repertorio, di interpretazione). Certo Jansons poteva raccogliere l’eredità di Furtwängler e Karajan, ma si è capito sin da subito che l’età avanzata e i tanti problemi di saluti l’avrebbero di fatto escluso per un un incarico impegnativo e continuativo (e ricordiamo che Karajan fu incoronato a 46 anni, Abbado a 56 e Furtwängler a soli 36). Tra i tanti nomi circolati, molti sono saldamente legati ad altre esperienze (un caso su tutti Salonen) e altri non corrispondono certo alla figura ideale (ad esempio Harding o Nézet-Séguin o Petrenko). Pure tra i papabili i contro erano probabilmente più forti dei pro: repertorio limitato, incostanza di rendimento, difficoltà nel gestire i rapporti, problemi caratteriali. E così dopo Ludwig von Brenner, Hans von Bülow, Arthur Nikisch, Wilhelm Furtwängler, Leo Borchard, Sergiu Celibidache, Herbert von Karajan, Claudio Abbado e l’uscente Simon Rattle, tocca aspettare un altro anno per conoscere chi avrà l’onore e l’onere di reggere l’orchestra, forse, più prestigiosa e mitica al mondo. Ruolo di immenso prestigio, coronamento di carriera, o premio per interpreti eccezionali, ma anche ribalta mediatica, incisioni, concerti, un compenso di 500.000 euro annuali (a cui aggiungere i ricavi del diritto d’immagine e i contratti con le case discografiche). Chissà se tra un anno le condizioni matureranno e si consolideranno intorno a un nome capace di assumere anche le  grandi responsabilità e limiti che il ruolo porta con sé (il confronto con una tradizione mitica, un dovere di rinnovamento e una libertà di repertorio differentemente declinata) e che riesca a riscattare il rapporto irrisolto con l’orchestra (non è un mistero che non vi fosse particolare feeling con Rattle e che lo stesso direttore inglese abbia assunto un atteggiamento passivo di fronte all’orchestra). Nell’attesa – rimandata al prossimo anno – del nuovo “papa” berlinese, il Corriere omaggia i lettori di una piccola e parziale carrellata dell’arte dei suoi predecessori (almeno di quelli dei quali ci rimane testimonianza sonora). Buon ascolto.

Gli ascolti Arthur Nikisch (1895-1922) – Hector Berlioz: “Le Carnaval Romain”

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Wilhelm Furtwängler (1922-1945 & 1952-1954) – Ludwig van Beethoven: Ouverture “Coriolan”

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Leo Borchard (1945) – Johan Strauss: Ouverture “Die Fledermaus”

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Sergiu Celibidache (1945-1952) – Pëtr Il’ič Čajkovskij: Sinfonia n. 2 in Do minore “Piccola Russia”

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Herbert von Karajan (1954-1989) – Arnold Schoenberg: “Verkärte Nacht”

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Claudio Abbado (1989-2002) – Ludwig van Beethoven: Sinfonia n. 3 “Eroica”

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Sir Simon Rattle (2002-2018) – Gustav Mahler: Sinfonia n. 5

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5 pensieri su “Annuario pontificio berlinese. Tutto da rifare.

    • Quando venne eletto – nel 2002 – gli auspici erano ottimi: direttore atipico e dal repertorio particolare e molto aperto (anche ai nuovi approcci esecutivi), ma anche interessantissimo interprete del classicismo secondo una visione più moderna. Davvero poteva rinnovare l’orchestra. Poi purtroppo la magia non scattò e rimase come un rapporto inespresso, freddo…molto diverso dall’ultimo Abbado o dal feeling con Karajan. Nel 2002 l’altro favorito era proprio Barenboim (improbabile dunque che venga preso oggi – a 72 anni suonati – in qualche considerazione). I Berliner hanno fatto sempre scelte che guardavano avanti…progressiste direi (lo era Furtwängler, lo era Karajan, lo era Abbado e lo era Rattle). Se ora non trovano una convergenza forse il problema è più profondo: non solo una questione di nomi.

  1. I Berliner hanno comunque fatto una pessima figura a livello mediatico. Non si convocano i giornalisti da tutto il mondo per poi fare un simile buco nell’ acqua. Anche le altre orchestre tedesche scelgono il direttore con una votazione ma fanno le loro riunioni in segreto, senza tamburi né trombette, e tengono la conferenza stampa solo per annunciare il risultato

    • Quando nominarono Abbado, invece, il nome saltò fuori -pare – dopo che Kleiber fece sapere di non essere interessato e Bernstein fu escluso per motivi di età e salute. Si dice che anche nell’89 Barenboim era in lizza (insieme a Ozawa, Haitink, Levine e Solti). Maazel era sicuro di essere il prescelto.

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