Il Gloria RV 589 in re maggiore ha sempre occupato una posizione di assoluto rilievo nella produzione sacra di Antonio Vivaldi: fin dalla prima esecuzione moderna nella già ricordate Settimane Vivaldiane di Siena nel 1939, questo Gloria è entrato nel più popolare, diffuso e amato repertorio barocco godendo addirittura di più di cento incisioni discografiche. Le cause di questo successo possono essere identificate ad un primo livello di analisi nella brillantezza e originalità delle frasi musicali, nella freschezza dei duetti fra i solisti e nel tipico gusto melodico vivaldiano, qui più evidente che mai. Andando però oltre questo primo livello di analisi, il Gloria nasconde diverse sorprese.
Il periodo 1713-1718 è centrale nella produzione musicale di Antonio Vivaldi: ufficializzata ormai la sua posizione come maestro del coro presso l’Ospedale della Pietà, il Prete Rosso inizia ad alternare con maggiore regolarità composizioni sacre e composizioni strumentali, a cui ovviamente si va affiancando poco a poco la sempre più intensa attività operistica a Venezia e in alcuni grandi centri del nord Italia. Sono anni felici nella produzione vivaldiana, anni di grande ispirazione, fantasia e originalità, elementi che col tempo, forse per l’attività operistica più imprenditoriale che musicale o forse per una troppo marcata distonia tra i gusti dell’epoca e i gusti di Vivaldi, andranno scemando lentamente. Di questi elementi il Gloria è, come detto prima, un’affascinante testimonianza.
Composto nel 1716 per le putte del suddetto Ospedale, questo Gloria, secondo recenti studi di Rinaldo Alessandrini, era stato fin dall’inizio inteso per essere eseguito nella Messa di ringraziamento per la vittoria dei veneziani e alleati contro gli Ottomani nei Balcani. Questa ipotesi è sostenuta dal filologo italiano per la presenza delle trombe, scelta per nulla casuale negli organici vivaldiani, strumento spettacolare e di grande impatto che collega direttamente questo Gloria al contemporaneo oratorio “Juditha Triumphans”, composto per le stesse ragioni militari e dall’organico non molto diverso.
Il Gloria, parte centrale dell’ordinarium, prevede due soliste (soprano e contralto) accompagnate da un organico strumentale di violini, viole e basso continuo, con le trombe che intervengono soltanto nel primo e nell’ultimo movimento.
Il primo, celeberrimo movimento si apre senza indugio con un elemento tipicamente vivaldiano: un intervallo di ottava con un ritmo saltellante, che si ripete sino alla fine, prima come elemento melodico, nelle parti puramente strumentali, e successivamente come basso continuo negli interventi del coro. Su questa cellula musicale di quattro ottavi, la vera e propria base di questa prima parte, Vivaldi organizza tutta la composizione, aggiungendo altre due piccole cellule minori: una di ottavi e sedicesimi (quella che appunto fa seguito, nell’apertura, alla cellula appena citata), un’altra caratterizzata invece da quattro sedicesimi (nello specifico, la cellula caratterizza la frase strumentale che modula alla sensibile per aprire la strada all’ingresso del coro). Si tratta più in generale di una pagina lineare, apparentemente banale, ma brillante e spigliata, strutturata con grande sapienza e spirito musicale.
Come in altre composizioni sacre, Vivaldi fa seguire il primo movimento, quasi sempre scintillante ed energico, da un secondo più pacato, spesso nella tonalità di si minore, in cui emerge una deliberata ricerca di tragicità e quasi epicità. La teatralità nasce non solo dalla tonalità, ma anche e forse soprattutto per il contrasto col movimento precedente. Il sistema delle cellule variamente (ma non casualmente) disposte appare anche qui evidente: ad arpeggi differentemente modulati di ottave si alternano piccoli e veloci gruppetti di sedicesimi in terze, la cui energia ritmica non è affatto diversa dalla cellula di ottavi posta come apertura del primo movimento. Un deliberato collegamento che Vivaldi cerca di mettere in atto (come vedremo, abbastanza frequentemente) per evitare il rischio di frammentazione musicale ,sempre in agguato nel caso di composizioni sacre strutturate su diversi movimenti. Un’altra sostanziale differenza col primo movimento è il modo di gestire il coro, là all’unisono, qui invece in contrappunto. Un contrappunto semplice, lineare, estremamente fluido, sostenuto da un accompagnamento strumentale assolutamente chiaro e solido pur nella sua pacatezza ed intimità.
Dal si minore Vivaldi ci porta ad un brillante sol maggiore per introdurre il primo duetto tra le due soliste. Una frase energica, veloce e concisa dallo scintillante gusto melodico (incessante la presenza degli intervalli estesi) presenta il tema centrale, che viene poi sviluppato dalle voci in diverse variazioni armoniche (sol maggiore – mi minore) e melodiche, spesso tendenti ad un moderato contrappunto. La scrittura è relativamente centrale: entrambe le voci si muovono perlopiù nell’ottava mi3-mi/fa4.
Dopo un momentaneo ritorno del coro prima all’unisono nel “Gratias agimus Tibi”, ieratico e solido nella sua imponenza, e poi in una fuga a quattro voci nell’agilissimo e veloce coro “Propter magnam Gloriam”, entra il soprano con la prima aria solista, “Domine Deus, Rex Caelestis”, una pagina di squisita fattura dove all’intima ed ispirata melodia d’apertura intonata dall’oboe (o violino o viola da gamba) risponde il soprano con una linea vocale delicata e fluida, centrale ma di grande difficoltà per la notevole presenza di frasi dall’ampio e morbido fraseggio, come sempre d’altronde nelle arie sacre di Vivaldi. Su un basso continuo di terzine “alla siciliana”, l’oboe e il soprano intrecciano qui un dialogo di grande suggestione ed intimità, facilmente riconducibile al genere pastorale.
Segue il suggestivo coro “Domine Fili unigenite” in fa maggiore, costruito su un’agile polifonia delle quattro voci, che si inseguono parodiando e parafrasando la frase strumentale di introduzione, tutta costruita su una cellula di due note (ottavo puntato + sedicesimo) che, ripetuta quasi ostinatamente, riesce a conferire una notevole liquidità e freschezza ritmica a tutto il brano. In contrasto con questa fluidità Vivaldi organizza il brano successivo per contralto e coro su un lento e placido adagio in re minore: dopo una melodica ed intima introduzione del basso continuo e dell’organo, il contralto fa il suo ingresso con una messa di voce sul la3. Nota che viene ripresa dalla frase successiva per dare poi inizio a una frase musicale di grande complessità. Evitando abbellimenti, note scomode e registri acuti, Vivaldi riesce a elaborare un pezzo estremamente affascinante nella scrittura vocale ricorrendo nuovamente a frasi ampie e morbide, cui si alterna un discreto e moderato canto neumatico. A questo canto risponde il coro con frasi lineari e concise, ma estremamente affascinanti e soprattutto funzionali alla realizzazione di un clima di mistica intimità.
Il coro successivo “Qui tollis peccata mundi”, sempre adagio, si apre quasi come un recitativo con una grande e volontaria incertezza armonica fino al deciso e serrato allegro in la minore su “suscipe deprecationem nostram”. Allegro che pare anticipare l’aria in si minore del contralto “Qui sedes ad dexteram Patris”. Un allegro che conferma l’intenzione e la preoccupazione di Vivaldi, sottolineata poc’anzi, di creare una unità interna tra tutti i brani. Il compositore veneziano organizza questo brano, frizzante e pungente, su una delle tre cellule che caratterizzano il primo movimento. Si tratta della cellula di due sedicesimi più ottavo, elemento tipico della letteratura vivaldiana. Su questa cellula, come sempre variamente ripetuta, Vivaldi crea un breve brano a forma di concerto. Dopo una breve introduzione (il ritornello) dell’orchestra, inizia un dialogo breve ma efficace tra solista e strumenti che segue la stessa organizzazione musicale dei concerti per violini: ad ogni frase del contralto si alterna il ritornello iniziale variamente modulato in diverse tonalità (struttura A b A’ c A” d A) per tornare al si minore iniziale per la conclusione.
Col “Quoniam Tu solus Sanctus” si torna, in una sorta di composizione ad anello, al primo movimento, in questa occasione vistosamente accorciato per passare subito al suggestivo coro finale sempre in re maggiore “Cum Sancto Spiritu”, una pagina brillante, luminosa, di grande respiro gusto melodico, dove le diverse voci si alternano nel migliore stile contrappuntistico dell’epoca. Si tratta però di una composizione composta nel 1708 dal veronese Giovanni Maria Ruggieri (1665-1725) che Antonio Vivaldi pone come conclusione sia di questo Gloria che del precedente RV 588.
Il Gloria RV 589, al di là dei maltrattamenti subiti dalle recenti commercializzazioni, resta una delle pagine più felici del Vivaldi sacro, una pagina compatta e coerente nella sua struttura musicale che, grazie ad uno spiccato e ispirato gusto melodico unito a un senso teatrale e persino religioso, appare oggi come ieri degna di grande attenzione.
Manuel Garcia
Teresa Berganza, Lucia Valentini-Terrani – Riccardo Muti, New Philharmona Orchestra & Chorus 1977
Jennifer Smith, Nancy Argenta – Trevor Pinnock, The English Concert 1993
Emma Kirkby, Judith Nelson – Christopher Hogwood, Christ Church Cathedral Choir Oxford, Academy of Ancient Music 1985