Per i credenti il venerdì santo è giorno di necessaria dolorosa riflessione, il cui risultato dovrebbe essere la speranza. Mai mescolare profano quale è l’amore per il melodramma e sacro ossia quanto di più profondo ed impenetrabile dell’essere umano e da rispettare sempre e comunque. E’ solo l’idea alla sfera della religione, che scippiamo. Or bene prima di scrivere avevamo fatto un rapido sondaggio fra autori attivi e quiescenti del blog per identificare ed esaminare i mali dell’opera, che potessero costituire un buon oggetto di riflessione. Le risposte sono state, pur nel diverso ordine e nel privilegio, che ciascuno di noi attribuisce, all’incirca le stesse ovvero i sovrintendenti, la critica, i registi, i direttori artistici, i direttori d’orchestra, il pubblico. Che ciascuna di questa categorie fosse responsabile dello stato da rovine romane, dopo il passaggio delle truppe talebane, in cui versa il melodramma, nessuno di noi aveva dubbi. Ma confesso mi sembrava scontato e difficile fare, se utile poi, una graduatoria della singola incidenza di queste, che da forze dell’opera, si sono volte in mali. E allora doveva esserci sopra questi elementi qualche cosa d’altro che li riunisse e compendiasse nel contempo. La risposta mi è giunta in parte da Antonio Tamburini e grazie alla sua lampadina ho acceso quale del mio cervello (che sono ancora le vecchie Osram al tungsteno per motivi anagrafici e non per l’ ammirazione per Madga Olivero) e ho trovato due parole: pigrizia ed ignoranza. Ecco la magica endiadi, che, poi, si esplicita e realizza nei singoli soggetti del teatro e da luogo alla dolorosa evidenza.
Ho ripensato alle stagioni d’opera, che ci vengono presentate e che offrono -a stare larghi- in tutto l’orbe terrario trenta titoli, che ad ogni presentazione danno luogo alle perplessità e lamentale del pubblico a base del “ sempre le solite…, ma si potrebbe….., si dimenticano…., il tal teatro sembra la succursale di quello di Vorodin (Russia), non c’è solo Verdi o non c’è solo la Semiramide”. Ma tutto questo ci dice la pigrizia in particolare dei direttori artistici, che non vanno oltre quei titoli che le agenzie, fornendo i loro precotti e sempre più spesso decotti casts imboniscono, esercitando una professione non loro senza neppure sforzi per ampliare le loro vedute e, buono non ultimo, occultare le magagne dei loro rappresentati. Ancora ci dice della ignoranza della critica, che per un posto ed un rinfresco come i commensali del conte zio plaude prona e non osa neppure suggerire una minima variante, magari su autori di cui si offre sempre e solo un titolo. E più ancora ci dice del pubblico, che ormai levatura di conoscente e cosciente pubblico da opera ha perso, beato dalla stolida certezzache secoli di produzione melodrammatica siamo trenta titoli. Ma alla base della pigrizia sta l’ignoranza. L’episodio dell’informazione sui titoli operistici e sugli esecutori di Lissner ha fatto il giro del mondo web. Si commenta da solo, come da solo si commenta e oggi è provato oltre ogni ragionevole dubbio, che il medesimo soggetto all’offerta di un cantante di eseguire il title role di “Assassinio nella cattedrale” abbia chiesto informazioni su Pizzetti, che gli era sconosciuto. Quanto all’attuale confermato i titoli zurighesi si stanno osmotizzando in quelli milanesi e con essi le compagnie di canto. E questo frutto di comoda pigrizia ed ignoranza, che altra pigrizia ed ulteriore ignoranza genera. Vogliamo dire sempre a stigmatizzare i due mali fondativi di giovani aficionados dell’opera, onnipresenti in teatri e festival, che, con innocente candore, anni or sono fuori del Donizetti di Bergamo in attesa di assistere a Favorite dichiaravano di non conoscere alcun passo del titolo. Ma un giro sul tubo digitando Favorita apre un ventaglio di ascolti dal 1901 al 2012 per ogni gusto ed orientamento e poi i melomani di una volta “spirto gentile”, “o mio Fernando” ed anche “vien leonora” le conoscevano bene non fosse altro perché cavalli di battaglia di molti dei loro beniamini. Eppure spesso quel pubblico aveva un livello di scolarizzazione molto più basso di quello medio attuale eppure… eppure gli bastava sentire “fia dunque vero” per sapere che poi arrivava “o mio Fernando”. Eppure allora la divulgazione della musica era la radio, il carro di Tespi oggi disponiamo di internet, non c’è prima di un teatro italiano o straniero, che per il malinteso che si tratti di un evento viene trasmessa in tv, in radio via streaming. Non racconto i miei vent’anni operistici quanto poche riprese televisive e radiofoniche, niente carro di Tespi, inesistente internet eppure a suon di nastri spediti per posta l’informazione era garantita ed efficace. Ma quando mi sento raccontare che i grandi della filologia affidano la trascrizione di spartiti inediti di cui curerebbero le edizioni critiche a studenti comprendo come Handel musicò il trionfo del tempo e del disinganno e noi potremmo apprestare la sola edizione critica della “class di asen”, ma quelli della commediola, che allietava i carnevali nelle filodrammatiche e parrocchie ambrosiane riferiva l’epiteto ai discenti oggi spetta di diritto ai docenti, veri encomiabili incarnazioni dell’endiadi pigrizia e ignoranza!
A noi la penitenza, la sofferenza, ma la redenzione arriverà mai?
3 pensieri su “Riflessioni pasquali: digiuno e redenzione”
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Caro Donzelli, servirebbe tanta fede per credere in tale salvezza!
Cari auguri di buona Pasqua a tutti.
Auguri di buona Pasqua a tutti ,autori ,e lettori .
Ma da un teatro che affida la sua pagina Facebook a qualcuno che non sa neppure usare Paint e Word… che cosa possiamo aspettarci, in fondo? Auguri! http://tinyurl.com/l85exq4