Con i Pagliacci migliorano le cose nella seconda parte dell’importante serata salisburghese dal punto di vista della produzione, mentre non cambiano su quello musicale. L’allestimento, coloratissimo, a cavallo tra cinema e fumetto, è stato organizzato da Stolzl come una visione su due livelli di varie azioni separate, facendo leva sulle scene di coro, con la recita delle maschere che scorre da una parte parte ed il pubblico che agisce ed interagisce col circo in altre zone del palcoscenico. Così il teatro nel teatro viene restituito come la sincronia di vari momenti ripresi da più punti di vista da telecamere invisibili, concezione ribadita dalla proiezione cinematografica della scena finale, collocata proprio a lato del teatrino in cui Canio sta accoltellando Nedda e Silvio. I pagliacci sono veramente tali, ed i personaggi insistiti fino alla caricatura, Nedda e Tonio soprattutto, come se la poetica verista non potesse essere realmente teatro “veritativo” per il regista. Tutto scorre come un fumetto piacevole, diciamo pure un cartoon dalle sgargianti cromie, che oggettivamente funziona, vuoi perché ben congeniato, vuoi perché il soggetto e l’artificio teatrale della scena nella scena sostengono l’azione veloce, ma non certo perché il regista abbia colto, come già in Cavalleria, la poetica che il testo sottende. Manca il teatro verista in questa produzione, perché tutto è reso sopra le righe o come una serie di “strisce” anni ’40, privato degli elementi realisti che il testo richiede. La negazione del verismo italiano, mal compreso o volutamente messo da parte, è poi il tratto che accomuna regista e bacchetta. Thielemann, direttore capace di prove straordinarie come pure di serate mediocri, non riesce nemmeno, alla testa della stupenda compagine di Dresda, a centrare una cifra plausibile dell’opera di Leoncavallo. Inutile discettare su una concezione fondata sulle anticipazioni novecentesche vs tradizione o consimilia, perché Thielemann semplicemente dirige male. L’opera non scorre, gli slanci melodici frantumati, le atmosfere che non si colgono, l’azione che avanza con fatica, i cantabili senza respiro e continue durezze o strappi dell’orchestra, che pure suona bene; insomma una generale sensazione che il maestro berlinese di “questa roba” non sappia che farsene, preludio e intermezzo inclusi, riducendo Leoncavallo ora a operetta ora ad un ben orchestrato rumore. In fatto di canto, poi, le riprese televisive tradiscono una costante attenzione dei cantati sul direttore, che non pare lasciare loro gli spazi per un canto più agevole e sicuro, come se i tempi del maestro li mettessero a disagio.
Il cast peraltro è molto fragile sul piano tecnico e dei mezzi naturali di cui dispone. Le voci sono in generale modeste, prive di armonici, inadeguate ad un ‘opera che ha cotanta ricchezza di orchestra. I protagonisti urlano tutti, incapaci di modulare in sourplesse la voce, almeno in zona centrale per garantire i cantabili: tutti perennemente impegnati a spingere quando non a gridare. E che canto vogliamo mai produrre, quale respiro melodico può avere mai il canto di esecutori che ad ogni minima salita della linea musicale devono forzare? Un procedere a strattoni, per conati di suono, le frasi senza ampiezza, tutto continuamente strattonato e tirato per i capelli. Cantare con arte, ossia con la possibilità di fraseggiare tramite espressioni comunque armoniche e strumentali, presuppone la voce libera dalla gola, sfogata, fuori, extracorporea, scevra da ogni senso di fatica e di trazione. E l’esecutore non può cantare col corpo perennemente contratto, rigido, la gola con le vene che scoppiano. Il vero canto con la voce libera dovrebbe dare assenza di sensazioni in chi lo produce e nel pubblico che ascolta e vede un senso di assenza di fatica fisica e di duttilità, per poter declinare lirismi, paure, potenza, persino la retorica e le gigionate che immancabili condiscono il verismo in salsa “popular”. Questi Pagliacci, invece, sono la più perfetta declinazione del fare opposto a quello che si deve e che, fino a qualche tempo fa, si sapeva fare nel canto lirico.
Kaufmann, nei primi piani crudissimi della diretta, è un tenore svociato, che tutta la sera urla una frase via l’altra, la gola che scoppia ed il busto senza attività respiratoria di sorta ( guardatelo nelle frasi “ A ventitre ore “ in canotta e confrontate l’assenza di attività del diaframma con i filmati di un Gigli o di un Tucker ..tanto per capire che si tratta di un altro modo d cantare ), che arriva al “Vesti la giubba” senza benzina ed è costretto a fare appello ad ogni più remota energia del suo corpo per eseguire “O meretrice abbietta” come un uomo che urla mentre sta per morire strangolato. Fatica e sgobba paonazzo con tutta la sua forza ma la voce drammaticamente…non sia ampia, il suono privo di armonici e senza proiezione. Le frasi straordinarie “ Sperai tanto il delirio…” tutte sbranate senza poesia mente spinge sono il metro di una voce che non è della stazza sonora necessaria per questa parte. E non parliamo dell’assenza di suono in zona centro grave, dove i veri tenori da verismo spinto si accomodano a riposare la voce. Che canto “maschio” d’egitto…..ma di quale voce drammatica parlano i suoi fans!! La tv ha restituito l’immagine di un uomo sofferente che finisce la serata stremato, dopo un “No pagliaccio non son” col fiato corto, la fatica che gli impedisce anche di muoversi in scena, la voce arrochita, perché quello che canta è al di sopra cento volte le sue possibilità fisiche ( il suo vero miracolo è che riesce, pur cantanndo in questo modo, ad essere musicalmente ordinato e a non stonare ). La voce ingolata, lo hanno sempre insegnato in passatoe lo sapeva ogni melomane, non può avere le risonanze di “maschera” di una voce retta dal fiato: la tecnica serve a questo, diversamente il suono dal corpo non si stacca nemmeno urlando come fa il ferreo Kaufmann dalla forza mentale e fisica oggettivamente encomiabili. Spinge tutta sera, ma la voce non si proietta; il suono scurito un tarocco per chi ha dimenticato che il canto lirico è altra cosa. Il Tubo consente a tutti di apprezzare il suono chiaro, squillante e potentissimo del mitico Martinelli, tanto per comparare, e la sua facilità di emissione. Certo, l’evento di questa Cavalleria e Pagliacci di Kaufmann ( 2 recite ) sarà unico ed irripetibile, perché anche in questo caso, non può che trattarsi di un mordi e fuggi a scopo commercial discografico, un po’ come il Tell di Florez per intenderci. Le maratone gloriose di un Gigli che li cantò a spron battuto tutta la vita sino al ritiro, ma anche di tenori di età più recente come Corelli o di robusti tuttologi come Domingo paiono impensabili in questo caso, a giudicare la fatica mostrata sul viso dal tedesco.
A fianco a lui, Maria Agresta aspirante diva polivalente, che canta e annuncia Norme a ripetizione mentre stenta sui trilli della ballata di Nedda, il registro grave chioccio e sordo, incerte le messe di voce e soprattutto la tendenza a spingere spesso non solo gli acuti, perché l’orchestrale di Leoncavallo è troppo ampio per la sua voce. E dire che di buone Nedde ce ne sono state molte in passato, compresa la sua maestra di canto: ruolo cui bastavano buone voci liriche in ordine, che dalla Norma stavano ben lontane. La signora Agresta, al di là di ogni osservazione tecniche, mi è parsa dal video vocina-ina per un ruolo che per un soprano da Leonora, Contarini, Amalia etc dovrebbe essere un bicchier d’acqua. Dopo una modesta esecuzione della ballata canta meglio la scena con Tonio e soprattutto quella con Silvio, ma più in forza della sua musicalità che abbiamo sottolineato altre volte, che non della mera esecuzione vocale, dato che i problemi si sentono e soprattutto è parsa carente di ampiezza ed armonici.
Dei due baritoni vorrei dir poco, entrambi senza legato il signor Platanias ed il signor Arduini. Il primo con una emissione dura e torva cui non corrisponde, pure a lui, l’ampiezza del mezzo che Tonio presuppone; i soliti acuti indietro completano il quadro della sua prestazione scenicamente molto efficace. Il secondo, signor Arduini, esibisce gravi inutilmente cavernosi e una povertà timbrica non compensata da un buon legato, appunto, nonostante ce la metta tutta per essere elegante nel canto amoroso del duetto. Un po’ troppo starnazzante per i miei gusti la ballata di Beppe del signor Akzeybek.
Quelli che possono davvero chiamarsi fenomeni
Due tenori a fine carriera insieme
Il tutto potrebbe essere riassunto con tre parole: “conati di suono” cit. G. Grisi.
Kau potrebbe, a mio parere, essere utilizzato in opportune masterclass come esempio di malcanto a 360°. Risulta persino meno sonoro di altri tenori in attività. La ragione? Kau, oltre ad essere tutto spoggiato, ingola così tanto per simulare un timbro macho (che per natura NON avrebbe) che a stento scavalca l’orchestra. Ora, se è vero che il sostegno aiuta sicuramente a portare la voce in avanti, ci sono (e ci sono stati) vari tenori (soprattutti leggeri) che, pur spoggiando frequentemente, per lo meno si impegnavano a tenere la voce in maschera. Ne usciva un suon(ino) sicuramente più proiettato rispetto al bitume di kau kau. Il problema è che nella scelta fra sonoro-in-teatro e fonogenico-pseudomacho il secondo parametro ha attualmente (e tristemente) la meglio.
Appoggiato o no è cmque certo che un suono chiaro è più sonoro
Ma forse meno fonogenico per il repertorio macho come attualmente (mal)concepito 😉
Il Prologo è una nenia da balera di periferia, la seconda scena è una brutta copia di edizione già vista alla Scala, il suono orchestrale è poi di una povertà di esecuzione sia timbrica che di colore vocale.
L’apparizione del divo fa accapponare la pelle, neppure alla fine della carriera Domingo risultava così penoso, insulso e senza verve.
Nell’insieme sembra una serata di lutto.
visto che i video sono stati, giustamente, commentati da Giulia Grisi, mi permetto anche io un commento dedicato a Gino Vanelli e Rosetta Pampanini. “un capolavoro di eleganza e finezza”
ahi ahi ahi…il declino dell’arte inquina qualsiasi forma. Alla Scala venerdì applauditissimo il giovane Sergei Polunin in Giselle, forse più per merito del breve video in cui danza semi nudo e tatuato che per reali meriti, visto che braccia e busto parevano di cemento armato tanto erano inespresivi…
ma questo pubblico che applaude senza discernimento si sforza mai di informarsi, leggere, confrontare prima di andare a teatro??? Consolazione con un divino della danza invaso dal demone dell’arte
https://www.youtube.com/watch?v=NzaqPp7nPEk
che Poulin sia legnoso basta guardare il tubo; ma quanto a legnosità come diceva il nostro amico tino anche il divino Roberto Bolle e non da oggi non scherza. Sempre il nostro tino diceva “l’è douma un bel portor!”
E così ti abbiamo sistemato anche Poulin e Bolle. Esiste per qualcuno, talvolta non privo di carenze affettive e/o psicologiche, la convinzione che più le si spari grosse più si dà l’impressione di essere intelligente. Inutile dire che l’effetto è inevitabilmente ( e tristemente ) l’opposto. Questo capita spesso specie nelle osterie di periferia, sovente frequentate da verbosi sproloquiatori di norma evitati dai più. Altro caso è quello dei gay che non accettano la loro condizione, morbosamente attratti dall’oggetto delle loro inesauste invettive. Costoro sono inquietati, ad esempio, dai riccioli di Kaufmann e ne parlano di continuo, a ogni occasione, ripetendosi monotonamente, colpevolizzandosi della loro segreta passione sogliono reagire distruggendo a parole l’oggetto del loro inconfessato desiderio.
Se gli argomenti di opposizione sono questi sono lieta di pubblicati..tanto ormai siamo nel mondo dove l ‘opinione di 1 vale 1, competenti o ignoranti fa lo stesso. Vince la legge delle masse e non quella della competenza. E chi si oppone è un gay represso….del resto chi applaude lo fa perché lo è…….ritornello pietoso della lirica morta e sepolta da competenti senza argomenti come te che fanno pure.gli agenti o i.critici con questa sostanza intellettuale
Caro Billy Budd, alla tua domanda si potrebbe semplicemente, laconicamente rispondere “No”; ma se è vero che un Poulin non regge il confronto con lo straordinario Baryshnikov che hai postato è altrettanto vero che nessuno potrebbe dire che Poulin non conosca le basi della danza o non abbia le conoscenze e capacità tecniche sufficienti per portare a termine Giselle.
È un tema che Mozart2006 ha proposto più volte in passato, ma credo sia interessante chiedersi perché nel canto invece certi incompetenti totali siano acclamati come grandi cantanti.
Perché non accetteremmo mai un étoile azzoppata e un cantante strangolato sì?
Sottoscrivo le parole della Grisi E Pregherei Fernando Corena di lasciare da parte riferimenti alla sessualità altrui, tanto più che chi disprezza compra vale per tutti, indipendentemente dall’orientamento sessuale, ma in ambiti diversi dal canto. Argomentare così è peggio dei discorsi da osteria che tanto deprechI.
Dispiace leggere commenti di questo tenore su un blog come questo.
Sempre su Giselle (come si può amare Lucia e Sonnambula e non amare Giselle!). Riguardavo il dvd del 1996 con Ferri e Murru, alla Scala, ebbene nessuno dei due ha gambe di acciaio come Zakharova e Polunin, ma al loro confonto sembrano Meryl Steep e Laurence Olivier tanto sono intensi e commoventi. La tecnica NON è tutto , come insisto a scrivere anche quando si parla di canto. Se poi si possiede tecnica trascendentale ed espressività ci si chiama Callas o Baryshnikov, ma questo è ovvio.
Aggiornamento. Il bel Jonas l’ atro ieri a Colonia ha iniziato la tournée promozionale del CD di operette. Ha cantato col microfono e ci sono stati problemi all’ impianto di amplificazione. Successo di pubblico ma critiche pessime. Domenica sentiremo come andrá qui da noi
ti siamo vicini con la preghiera! noi ci infliggeremo i puritani torinesi con i mariotti. Mica the bonynges
io vado al Billy Budd di Genova !!!
Opeara splendida…ovviamente sconosciuta a Milano nel terzo mondo scaligero
Fate aumentare la potenza dell’amplificazione…. controllate se ha i boccoli…in testa. Hi hi
L’opera di Bellini si intitola ” I Puritani e i cavalieri”…mi dicono che stanno cercando dove siano finiti gli uni e gli altri
Caro Donzelli, anche Harnoncour di mestiere faceva e forse ancora fa il direttore, Da quì ad esserlo ci corrono miglia e miglia
Beh Harnoncourt – e non Harnoncour – E’ un grande direttore d’orchestra checché la crassa ignoranza di taluno dica il contrario
L’amico Pasquale ci manda una foto del “bel Jonas” intento a preparare i pagliacci, e forse la cavalleria…. ammirate pure la sua
mascolinità:
https://www.facebook.com/photo.php?fbid=932371040129053&set=gm.10153407715572150&type=1&theater
Finalmente Harnoncourt ha un estimatore: Gibert-Luis Duprez
forse soffre di insonnia…pertanto gli auguro di cuore buona dormita.
Non in tutto, ma sì, sono estimatore di Harnoncourt (soprattutto nel repertorio di ‘800 e ‘900)