non possiamo negare che nel primo quinquennio degli anni ’60 una certa routine si impossessò della serata inaugurale della Fiera campionaria. Dopo mezzo secolo dobbiamo ammettere che se non declino dei mezzi e delle proposte forse il primo segno del declino, estraneo alla qualità della produzione, derivò dal diminuito interesse per il melodramma. Arte forme d’arte si erano inserite prepotentemente in Italia e negli interessi degli italiani. Pensiamo al cinema, che proprio nel 1960 vide a Milano la bruciante polemica di Luchino Visconti per i tagli a certe scene “spinte” di Rocco ed i suoi fratelli, cui replicarono le proteste del pubblico per la prima di Arialda di Testori, sempre a regia di Visconti, il quale non trovò di meglio che rinunciare alla regia di Poliuto ad onta del fatto che lo spettacolo prevedesse il rientro di Maria Callas alla Scala. Chiaro che il melodramma era il meno importante. Le proposte erano di qualità, ma mancava quel pizzico di voler fare ben anche se la Lucia di Joan Sutherland nell’apriel del 1961 segnò una di quelle serate importanti alla Scala perché si esibiva la più probabile erede di Maria Callas e l’anno successivo il Rigoletto con Bastianini, amatissimo dal pubblico scaligero, e Raimondi e soprattutto la Gilda di Renata Scotto era, giustamente, un must. Probabilmente un grande spettacolo fu l’Aida del 1963 non per il titolo, non erano neppure rarità i protagonisti (Price, Cossotto, Bergonzi, che in quegli anni ovunque cantavano il titolo verdiano) ma per l’allestimento ad opera di Lila de Nobili e regia di Zeffirelli, che per oltre cinquant’anni è stato proposto alternato con molti altri e che ha dimostrato come Zeffirelli abbia sempre rifatto Zeffirelli e come altri (alludo a Stein di questa stagione) non meriterebbero il Rosetum.