Sul finire degli anni ’50 quando il boom economico stava per esplodere appieno e la Fiera Campionaria rappresentava il palcoscenico dei sogni degli italiani, in parte realizzati ed in maggior parte da realizzare ancora e quando questi sogni si chiamavano acquisto della casa di abitazione, posto fisso impiegatizio o quali operai in fabbrica, acquisto di elettrodomestici (dal rasoio elettrico alla lavatrice al frullatore, di là da venire la lavapiatti) la Scala offriva sempre spettacoli per l’occasione fieristica e li offriva alternando il solido repertorio a qualche novità o proposta innovativa. Ad esempio per la Fiera del 1956 propose un consolidato titolo (un ballo in maschera) in un consolidato allestimento (Stella, di Stefano, Bastianini, Stignani direttore Gavazzeni) il cui elemento di interesse sarebbe stato a posteriori l’addio alla Scala della Stignani a distanza di trent’anni dal debutto. Della Bolena dell’anno successivo abbiamo già parlato e dobbiamo segnalare che se nel 1959 venne proposta come serata inaugurale per la fiera una recita di Assassinio nella Cattedrale, quindi un’opera contemporanea l’anno successivo la Scala peccò di tradizionalismo e scarsa fantasia proponendo a distanza di due giorni Aida e Ballo in maschera, ma lo fece con gran lusso perché le Aida si chiamavano Nilsson e Price al suo debutto scaligero e la Amelia Antonietta Stella, il che significava che alla Scala nel volgere di pochi giorni si potevano ascoltare i più importanti soprani verdiani. Forse un po’ più sguarnito il reparto tenorile perché Pier Miranda Ferraro, soprattutto, ed anche Gianni Poggi (Riccardo) non erano la livello di un Corelli, un Bergonzi ed un Tucker, che nei ruoli protagonistici dei due titoli verdiani rappresentavano, allora, il meglio. Adesso rappresentano l’irraggiungibile, l’impensabile.