Gluck, Alceste: 4 rappr. (4-20 aprile)
Callas, Gavarini, Silveri, Panerai, dir. Giulini, regia Wallmann
Verdi, Don Carlo: 5 rappr. (12-27 aprile)
Ortica, Rossi Lemeni, Mascherini, Callas, Stignani, dir. Votto, regia Erhardt
Puccini, Tosca: 5 rappr. (14 aprile-2 maggio)
Tebaldi, Di Stefano, Silveri, dir. Votto, regia Frigerio
Honegger, Giovanna d’Arco al Rogo/Ravel, Dafni e Cloe: 7 rappr. (22 aprile-12 maggio)
Bergman, Benassi, Badioli, Ticozzi, Nessi, Prandelli, Elmo, Tegani, dir. Gavazzeni (Honegger)/Curiel (Ravel), regia Rossellini, coreografia Fokine
L’inizio dei tempi nuovi, per riprendere le parole con cui Donzelli aveva chiuso la precedente puntata, regalò comunque ancora stagioni di tutto rispetto, come quella proposta per la XXXII Fiera di Milano nel 1954. Nell’arco di una ventina di giorni uomini d’affari, turisti e pubblico stanziale godettero dell’apparizione delle due divine per eccellenza del teatro d’opera e di una non meno eccellente e diva Ingrid Bergman, che già pochi mesi prima a Napoli aveva affrontato, sempre sotto la direzione di Gavazzeni, l’oratorio drammatico di Honegger. Accanto a Di Stefano, divo e beniamino, c’erano cantanti meno celebri ma non meno degni di attenzione, come Renato Gavarini, Giacinto Prandelli e soprattutto Mario Ortica, titolare di Don Carlo e sostituto last minute in una replica di Tosca (un exploit che sarebbe, oggi, impensabile o quasi), e poi Paolo Silveri impegnato come Sacerdote d’Apollo e Scarpia (oggi avremmo forse diritto a Thomas Hampson, nientemeno), Nicola Rossi Lemeni, Enzo Mascherini e, ovviamente, Ebe Stignani, alla sua quarta e ultima Eboli scaligera. Le precedenti erano state negli anni 1926, 1928 e 1952: superfluo ogni altro commento. Merita invece una chiosa la replica di Tosca del 2 maggio, già oltre i confini della manifestazione fieristica e definita, infatti, “Serata per i lavoratori”: i biglietti erano in vendita, come specifica la locandina, “tramite la Camera Confederale del Lavoro, la C.I.S.L. (Unione Sindacale Provinciale) e la U.I.L. (Camera Sindacale Provinciale) di Milano e di Sesto San Giovanni”. I lavoratori, a differenza di quelli delle generazione successive, avevano diritto ad ascoltare Tebaldi e Di Stefano, e non già secondi o terzi cast di sorta. Era un modo di “fare cultura” e “inclusione sociale”, tanto per citare qualche slogan a noi più vicino nel tempo, di cui sembra essersi perduto il segreto.