Che la fiera campionaria assurgesse ad uno dei punti di forza del regine fascista e della sua propaganda volta, fra l’altro, a illudere che l’Italia fosse una potenza industriale non si può affatto dubitarlo. Saranno poi i nefasti esisti del folle conflitto mondiale in cui l’Italia e gli italiano vennero spinti a dimostrare che l’industria italiana era più un’idea che una realtà. La grandezza dell’Italia post 1935 (i famosi anni del consenso verso il regime) saranno anche per gli spettacoli scaligeri anni di grandezza. Ma questa grandezza era reale e non posticcia perché la Scala proprio con gli spettacoli e quindi anche con quelli programmati per il periodo della Fiera doveva dimostrare di essere il primo teatro d’Italia, ad onta del regime che implementava il reale dell’opera di Roma.
Chi vedesse i lussi che in quel periodo la Scala si permetteva non può che stupire, strabiliare e dolersi di quello che con la scusa dell’expo ci viene offerto. Senza polemica ma la fantasia che si dimostrava allora proponendo (1935) la Straniera (Marinuzzi, Cigna, Pederzini, Merli, Basiola) che succedeva alla Turandot (Marinuzzi, Cigna, Lauri-Volpi, Favero) o (1937) Mosè di Rossini (Marinuzzi, Pasero, Cigna, Pagliughi, Elmo, Armando Borgioli), o ancora il 1939 dove al sesquipedale Nerone di Boito (Cigna, Stignani, Pasero, de Sved, Voyer diretta da Marinuzzi) seguiva l’opera da prima donna come Favorita (Malipiero, Stignani) sembra merce persa inesorabilmente ed a poco valgono le solite frasi tipo ” ah ma sai facevano i tagli dei da capo” oppure ” ah ma la versione di Favorita in italiano” oppure : ” la Cigna era una cantante inadatta a quel repertorio”. Alcuni di questi assunti sono condivisibili, altri bufale, ma rimane il fatto che un evento cittadino era occasione per veri e solidi eventi operistici.