Ho assistito quasi per caso venerdì sera alla recita genovese di Lucia di Lammermoor chiusa da applausi scroscianti per tutti nonostante il mediocre livello del cast, ampiamente descritto in recensioni e siti web pubblici. Recensioni e siti in cui sono state ampiamente stigmatizzate le cattive condizioni vocali ed i vizi stilistici della coppia protagonista Rancatore –Terranova, quasi che all’improvviso a pubblico aficionado e critica si fossero accesi gli apparati uditivi addormentati da tempo. In teatro, mentre la recita scorreva fiacca e faticosa anche per il caldo tropicale che regna nelle gallerie del Carlo Felice, il replay di alcuni commenti letti mi ha tenuto compagnia.
Quello per Dario Argento, indicato come copiatore della Zimmermann e della sua produzione di Lucia newyorkese, un pensiero che al cospetto di tutto quel trovarobato delle soffitte genovesi mi è parso anche troppo lusinghiero, perché dell’originale manca proprio la qualità della realizzazione. Le apparizioni della morticina ed il finale di Edgardo con i coristi non sono nemmeno una copiatura, o una copiatura della citazione, bensì il nulla, perchè in scena nulla c’era, nemmeno un pensiero sul testo, o un gesto registico che uscisse dalla più trita banalità. Solo un attimo di vero ridicolo, di quello che ti fa scivolare sotto la seggiola, ossia l’improvviso alzar di “serranda” alla scena che precede la pazzia, con il quadretto lampo di Lucia che urla mentre accoltella meccanicamente lo sposo: 5 secondi di vero e straordinario trash da restare sbalorditi. Riprendiamo il vecchio invece di giocare agli specchietti per le allodole indicando in cartellone un nome che poi non fa nulla, salvo mettere una grande parrucca in testa alla Rancatore: sarebbe più onesto verso il pubblico.
Della prova infelice della coppia protagonista hanno parlato tutti, vi dicevo. Ho letto le analisi vocali, quelle d’autore in particolare: all’improvviso tutti paiono aver scoperto che Desireè Rancatore ha i gravi tubati, il centro schiacciato, gli acuti poco sicuri e flautati…scopiazzando macroscopicamente nostre vecchie recensioni, quella della Lucia parmigiana soprattutto, in cui la povera “Desy” venne travolta da un intero loggione ( a suo dire a causa della Grisi, incolpevole presente in un palco invece ). Lei come il signor Terranova in quel di Cremona, contestato dal pubblico in occasione dei Puritani alla prima ( quindi alle repliche ) dalle medesime brigate che avevano contestato Desirèe, scatenato pure lui contro questo sito, che gli ha dedicato solo quella recensione, scopiazzata a man bassa pure quella, in cui si descriveva il suo canto nerboruto e faticoso, l’emissione non nobile, lo stile inadeguato a Bellini causa il suo “affondismo” prepotente. Oggi tutti scrivono di quello che è noto da tempo a chi ha le orecchie aperte e sa un po’ come sentire, cosa e come ascoltare, mentre i due, più stanchi e provati nel mezzo, si trascinano oggi sulla scena per finire faticosamente la recita. Dopo tutti gli scatenati improperi rivolti al nostro piccolo “Ufficio Reclami” ( con cui hanno cercato di darsi un alibi per le loro prove negative ) non sono andati lontani: la loro carriera pare piuttosto una mesta palestra di esercizio di scrittura per chi, cercando di essere autorevole mentre scrive inutilmente da anni, si fa bello….sparando praticamente sulla Croce rossa. E’ la via facile e perniciosa di una critica che sa fare le pulci ai cantanti solo quando stanno tramontando oppure quando non interessano a nessuno, ma mai a quelli che vengono lanciati e pompati, sostenuti, issati là dove non possono stare. Una critica che indica modelli di canto dove non ci sono, astri che non possono splendere, incapace di sottrarsi dalla corrente dei “vincenti”, quelli che il meccanismo del marketing artistico stabilisce che devono andare di moda. Il risultato a cui questa critica concorre è anche la formazione di questo pubblico ( si può ancora parlare di pubblico???) che prima trangugia passivo ogni cosa, anche la più immonda se debitamente sponsorizzata e pubblicizzata con glamour, poi si accende all’improvviso, criticando cantanti che ha molto amato e seguito. A Milano ad esempio sta andando in scena un Silla cantato orrendamente, eppure a leggere i commenti pare che piaccia e nessuno si accorga di nulla. Ho sentito a Genova, molto usurati, i cantanti di sempre. La signora Rancatore ha sempre cantato in questo modo, e il fatto che oggi i mezzucci con cui si arrabatta nei primi due atti siano più scoperti di ieri cambia poco nel giudicarla. La sua Lucia non è mai stata una ciambella col buco ( ricordiamo l’infelice debutto bergamasco) e l’incidente parmigiano non fu un caso né una rappresaglia, ma poiché all’epoca andava assai di moda, occorreva difenderla a spada tratta. Stesso discorso anche per il signor Terranova, che a furia di affondare oggi non riesce a legare, ad esempio, le frasi centralizzanti di “Tombe degli avi miei”, che lo mette alla corda più del “Tu che a Dio“, o a cantare, legando, il duetto d’amore. Di lui, peraltro, non ho letto che è stato l’unico del cast ad avere delle intenzioni di fraseggio…ripeto, intenzioni: se un cantante le ha, credo gli vadano riconosciute anche se gli intenti finiscono per non avere adeguata realizzazione.
Del resto del cast poi non ho letto l’atroce verità, ossia che cantano tutti male, davvero tanto male. Il signor Parodi con la voce tutta nella pancia, il suono largo e fibroso; il signor Antonucci dall’emissione volgare, nessun legato, accenti plebei non moderati dalla bacchetta ( un duetto con Lucia da dimenticare…); pessimi l’Arturo di Alessandro Fantoni ed il Normanno di Enrico Cossutta. Così mentre assisti ad una serata così mesta dal punto di vista delle prestazioni vocali, ti domandi a che serva poi la critica se non a fare della pubblicità per fare andare di moda questo o quello. Non è certo funzionale ad un miglioramento delle cose se arriva tardiva, a carriere consumate o esaurite.
Le riflessioni più divertenti, però, sono state quelle che mi ha suscitato il maestro Bisanti. Ha diretto noiosamente e pesantemente, con momenti di vera apoteosi del torpore e del prot prot provinciale, l’aria di Raimondo, il coro che interviene nel finale di Edgardo ( pareva di ascoltare un ‘opera comica), nonché il concertato della festa. Nel caldo da savana del teatro il pensiero è andato alla sua recente intervista ad un sito web con tanto di piccola querelle con un utente pignolo, circa edizione critica, prima versione e tradizione: a domanda malposta risposta criptica del maestro, tanto che c’era da chiedersi se intervistato ed intervistatrice sapessero mai di cosa parlavano. Di fronte a cotanta Lucia c’era da chiedersi davvero di cosa mai stessero parlando! Oggi tutti devono darsi un cotè intellettuale: tutti si concedono di parlare di versioni, edizioni critiche, tonalità, Rubini, versione Malibran e versione Grisi… un ciarlare a vuoto diffuso di un ambiente a cui poi mancano i fondamenti del mestiere, l’abc che fino a 30 anni fa reggeva il teatro lirico. Ma di quali edizioni originali e tonalità si deve mai parlare quando in tutta la sera non si è sentita una sola frase cantata e “detta” bene, con la recita si trascinava leggera come…le pietre delle piramidi? Mettiamo il profumo aristocratico della filologia nel cassetto, e recuperiamo la base della professione, per favore! Perché i cotè intellettuali vanno poi sostenuti con i fatti in teatro, sennò ci si ritrova nel surreale paese del “vorrei ma non posso”. Del resto, e chiudo la mia breve polemica, costoro mi paiono l’altra faccia di quel pubblico capace di dottissime dissertazioni storiche, informati anche sui minimi dettagli musical filosofici di ciò che ascoltano ma che poi, al momento di sentire, non hanno gli strumenti “acustici” per distinguere la Callas da una capra che bela, un grande direttore da un maestro di banda. Ma forse così oggi va un po’ tutto il mondo, come mi ha suggerito il mio vicino di posto all’uscita dal teatro.
4 pensieri su “Lucia di Lammermoor al Carlo Felice di Genova”
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Sic transit gloria mundi. Visto che si parla di stelline filanti, che fine ha fatto quella che su Facebook vi augurava la morte?
Vista domenica scorsa, Rancatore preceduta da annuncio “nonostante le condizioni ecc ecc”. Quindi non posso giudicare (certo la cantante del secondo cast sarebbe stata disponibile). Tenore: a parte una generica tendenza a “ingoiarsi la lingua” e a scucchiaiare qualche attacco mi è parso comunque una bella voce comunque con un certo buon gusto. Acuti così e così. Volume adeguato, ci mancherebbe, non è una voce piccolina e correva fino alla galleria tranquillamente. Secondo me potrebbe senz’altro migliorare. Regia terrificante. Scene e costumi da recita in parrocchia. Cimitero da film di serie z (ed Wood ne avrebbe allestito uno migliore). Accoltellamento da film da Dario argento…opps..oltre il cattivo gusto, così come la camicia da notte.
Il fantasma che cammina stando bene attento a non inciampare nella scalinata è secondo me il peggio della serata. Un fantasma fermo immobile ci sarebbe anche potuto stare, ma un fantasma che ha paura di cadere e farsi male….la direzione invece mi è piaciuta e l’orchestra ha suonato molto bene (secondo me).
Speriamo almeno che questo allestimento non sia costato troppo…
Anche alla recita precedente la signora ha fatto fare annuncio….ne ma i modi del canto sono gli stessi di sempre….e portano al lumicino..
per altro quando dieci anni fa, altrove virtualmente parlando, i grisini diagnosticavo che con il centro aperto e gli acuti flautati non si andava lontano eravamo solo cattivi, ignoranti, fautori di altre cantanti (magari la serra ritirata da un decennio) e poi …e poi puntuale è successo quello che doveva succedere. ciao a tutti perdonate la superbia e l’autoreferenzialità!!