Essendo il nostro Ivanoff in più pressanti incombenze affaccendato, è toccato a Tamburini assistere al debutto di Jordi Savall e dei suoi complessi (Capella Reial de Catalunya e Concert des Nations) nella più monumentale delle composizioni sacre bachiane e, forse, non solo bachiane. Grande l’attesa, e non meno impressionante il successo di pubblico (dieci minuti di applausi al termine della serata sono, con i tempi che corrono, un trionfo), per questa Passione secondo Matteo proposta nella cornice, di lussureggiante suggestione, del Palau de la Música Catalana. Sulla scorta dei “romanzi musicali”, che Savall abilmente costruisce a partire da musiche massimamente eterogenee, sarebbe stato lecito attendersi una versione ricca di tensioni e contrasti, per così dire “operistica”, del racconto della persecuzione e morte di Nostro Signore. Niente di tutto questo: Savall, in una sorta di rilettura meridiana del rigore luterano, smorza la drammaticità dell’azione sacra, stempera i contrasti timbrici e armonici in un delicato gioco di trasparenze sonore, che se esalta il contributo dei singoli strumentisti (in un’orchestra che supera di poco le trenta unità), sottrae più di qualcosa al fascino di una composizione che nella successione di blocchi musicali decisamente contrastanti trova una delle ragioni del proprio fascino. Una scelta “minimalista” che si può, almeno in parte, spiegare con la volontà di mettere in rilievo singole parti (soprattutto corali: numeri 27b, 29 e 68) in cui il dramma sembra improvvisamente accendersi e riverberarsi sugli altri numeri della partitura, contrassegnati invece da una solenne, e al tempo stesso sommessa, meditazione sull’ineluttabilità del Fato, come se al pubblico fosse concessa unicamente la possibilità di contemplare la sofferenza del Cristo, senza potere in alcun modo prendervi parte. Assistiamo insomma alla traduzione esecutiva e “spettacolare” del coro che apre l’opera: la Passione come meditazione rituale, lettura che trova non a caso nei corali, ossia nell’intervento della voce dei fedeli, il proprio cardine sonoro ed espressivo. Il rischio è che il sublime si trasformi, dapprima impercettibilmente, poi con forza sempre maggiore, nel sublime tedio di una messa meravigliosamente cesellata, raffinatamente drappeggiata, ma come stinta e un poco anodina, mentre la grandezza di un’opera come la Matthäus-Passion risiede anche nella tensione del racconto, nell’alternanza di tratti sublimi e grotteschi (la caratterizzazione dei sacerdoti e del popolo tumultuante), nella ricchezza insomma di un mondo musicale e poetico, che non conosce misura o confini “di genere” e che per l’appunto nella fusione di linguaggi differenti e disparati trova la chiave della propria grandezza. A ciò si aggiungano solisti di canto che, con la parziale eccezione di Matthias Winckhler (Gesù), buona voce di tenore non sfogato con seri limiti di ampiezza e ovvie carenze al grave, si adeguano in tutto e per tutto alla voga baroccara, capitanati da un Evangelista (Jörg Dürmüller, dagli incomprensibili trascorsi wagneriani) che miagola e bofonchia (oltretutto trasformando sistematicamente le “e” in “i”, con tanti saluti all’intelligibilità del testo), mentre, nei due gruppi di artisti del coro incaricati di eseguire i numeri solistici, il controtenore Maarten Engeltjes e il mezzosoprano Margot Oitzinger cantano esattamente allo stesso modo, vale a dire con inesistente sostegno e, quindi, suoni spoggiati in basso, malfermi al centro, bianchi e fischianti nelle parche incursioni all’acuto. Questa koiné di falsettisti e voci femminili (nonché maschili) è il tratto più deludente del concerto, e la conferma definitiva che, per eseguire degnamente (anche) la musica sacra, il rigore e la competenza del direttore/concertatore (Savall è, come sempre, impegnato alla viola da gamba) sono necessari, ma non sufficienti.
Johann Sebastian Bach
Matthäus-Passion BWV 244
Kommt, ihr Töchter, helft mir klagen
Evangelista: Jörg Dürmüller, tenor
Jesús: Matthias Winckhler, baríton
Judes Iscariot: Stephan MacLeod, baríton
Sant Pere: Marco Scavazza, baríton
Gran Sacerdot: Pierre Beller, baix
Ponç Pilat: Matthew Brook, baríton
Criada I: Carmit Natan, soprano
Criada II: Victoria Cassano, soprano
Sacerdot I: Vlad Crosman, baix
Sacerdot II: Simón Millán, baix
Esposa de Pilat: Claudia Habermann, soprano
Testimoni I: Jorge Enrique García, contratenor
Testimoni II: David Hernández, tenor
Solistes Cor I
Marta Mathéu, soprano
Maarten Engeltjes, contratenor
Manuel König, tenor
Stephan MacLeod, baríton
Solistes Cor II
Ruby Hughes, soprano
Margot Oitzinger, mezzosoprano
Thomas Hobbs, tenor
Matthew Brook, baríton
Cor Infantil Amics de la Unió (Josep Vila i Jover, director)
La Capella Reial de Catalunya
Le Concert des Nations
Jordi Savall, director
Palau de la Música Catalana 15/03/2015