Una delle pagine sacre più significative dei primi anni di attività di Antonio Vivaldi presso l’Ospedale della Pietà, ruolo definitivamente ufficializzato nel 1716, è il Salmo 126 “Nisi Dominus” RV 608, musicato dal Prete Rosso una sola volta nella propria vicenda artistica. Caso raro e degno, comunque, di nota, visto che delle Antifone e dei Salmi più comuni nella liturgia cattolica tra cui il “Beatus Vir”, il “Laudate Pueri”, il “Dixit Dominus” e il “Salve Regina” ad opera di Vivaldi se ne conoscono in alcuni casi addirittura più di tre versioni diverse.
Questo Salmo venne composto quasi certamente durante i primi anni di attività presso l’Ospedale della Pietà, e cioè presumibilmente tra il 1714 ed il 1718/1719, anni in cui lo stile di Vivaldi, reso maturo grazie alle due grandi raccolte di sonate per violino e basso continuo (op. 1 e 2) e alla serie di concerti op. 3 pubblicati col titolo “L’Estro Armonico”, era già ben consolidato. Stile che in questa composizione, desinata alla sola voce di contralto accompagnata da archi (violino, viola e violoncello più forse una viola da gamba) più basso continuo, emerge con particolare chiarezza in ciascuna delle nove parti che la compongono.
Il Salmo inizia fin da subito con due elementi squisitamente vivaldiani, ossia il ritmo anapesto, che la apre (due note col tempo forte seguite da uno debole) e il successivo intervallo di dodicesima (ottava + terza) trovata, di natura violinistica, che, all’epoca, doveva essere vista e considerata dal pubblico come bizzarra ed stravagante. Questo allegro, poi recuperato poco più avanti nel “Sicut erat in principio”, rappresenta una interessante pagina del Vivaldi alle prime armi col repertorio vocale: al contralto è affidata una linea centrale, che non supera il re4 caratterizzata, però, da copiose fioriture, quasi sempre in modulazione, sulle vocali “e” (laborabErunt) ed “o” (custOdit).
Con una forte carica teatrale, degna di un uomo esperto e di certo avvezzo alle quotidiane pratiche del melodramma, Vivaldi passa dal severo ed austero sol minore della prima pagina, ad un secondo movimento, “Vanum est nobis” impostato su un intimo e più docile si bemolle maggiore, che conferisce una notevole leggerezza e tenuità grazie ad un ritmo di 3/4. Questo gioco di contrasti, elemento ricorrente in questo repertorio, permane attivo per tutto il Salmo: dopo il si bemolle maggiore, Vivaldi ci riporta con grande abilità al tono di apertura (sol minore) in una delle pagine più suggestive di tutta la sua letteratura sacra: “Cum dederit dilectis suis somnum”, costruita con una straordinaria semplicità e allo stesso tempo con grande perizia armonica e melodica. Gli archi, cosa frequentissima nella musica vivaldiana, si uniscono al basso continuo delineando un inciso ritmico ternario di un quarto più un ottavo che, sulla tonalità di sol minore, conferisce a questa quarta parte del Salmo una impalcatura estremamente suggestiva e teatrale. Impalcatura ritmica sulla quale Vivaldi costruisce quella melodica: si tratta di una melodia tutta caratterizzata da un tono tranquillo e disteso, statico, teatralmente rispettoso di quella semplice parola “somnum” il cui significato pare caratterizzare questa parte. Da un punto di vista vocale, la solista affronta nel “Cum dederit” uno spartito sempre centrale nella scrittura (che non supera il re4), ma sicuramente complesso ed arduo sia per i grandi ed estesi legati non solo in incisi ritmici di ottavi e sedicesimi, che per le ampie scale cromatiche ascendenti sia da ultimo per le lunghe messe di voce di quasi dodici 12/4. Insomma una vera sfida per il controllo del fiato.
Il “Sicut sagittae” ci porta, invece, ad una tonalità più ampia e brillante di gusto marcatamente italiano dove alla voce viene affidata una linea vocale in cui forte appare l’influenza violinistica di Vivaldi con ampie strutture di sedicesimi, che si alternano a terzine di ottavi dando a questo breve passo del salmo una veste agile e spigliata interrotta da brevi incisi sulla parola “excussorum” dove il tono diventa invece più severo e statico. Segue il “Beatus Vir” in si bemolle maggiore, breve e sintetico nella sua scrittura quasi puramente sillabica. Il “Gloria Patri”, in cui si ritorna ad una tonalità minore (re minore), rappresenta una delle pagine più felici di questa composizione. Vivaldi, da grande strumentista qual era, struttura questo passo su un severo dialogo tra contralto e violino solista (più probabilmente viola da gamba) il cui spartito appare elaborato e ricco di morbidi trilli e profondi accordi. Uno spartito di fatto non lontano dai secondi movimenti dei suoi migliori concerti per viola da gamba. Su questa base strumentale si appoggia il contralto con una scrittura semplice da un punto di vista ritmico ma non altrettanto nella melodia: fin da subito infatti Vivaldi inganna l’ascoltatore con un frequente cromatismo fatto di si naturali e do diesis (chiaro l’uso della scala minore melodica) che conferisce una notevole e non casuale instabilità armonica. L’esito è affascinante, ampio, morbido ma caratterizzato da una sottile e leggera tensione.
Il Salmo si conclude con il “Sicut erat”, che appunto riprende il tema della prima frase “Nisi Dominus”, per poi passare all’Amen finale, nella stessa tonalità di sol minore, in cui ritornano gli incisi di sedicesimi ripetuti in varie e diverse soluzioni melodiche nel corso di questo ultimo passo. Passo che si conclude teatralmente, e che chiude così l’intero Salmo, con una lunga serie di sedicesimi troncati da tre ottavi secchi e da un sol3 finale (la tonica) limpido e ieratico.
Il Nisi Dominus risulta tra le composizioni sacre meglio riuscite di Antonio Vivaldi. La grandezza di queste pagine sta proprio nel loro linguaggio, linguaggio che, pur partendo da una “norma musicale” particolarmente rigida e invadente quale la barocca, riesce, senza sganciarsi da questa norma, a trovare la sua indipendenza, la sua autonomia e autenticità. La musica di Vivaldi, in altre e più semplici parole, è meno “seriale” rispetto a quella di alcuni suoi colleghi e più facilmente riconoscibile grazie a determinati elementi, alcuni dei quali, come abbiamo visto, emergono con particolare chiarezza in questo Salmo. Più in generale a rendere questo Salmo una delle pagine più affascinanti di Vivaldi vi sono la straordinaria inventiva musicale che caratterizza ogni singola parte, mai ripetitiva (se non per necessità di tradizione) e sempre originale, fresca e brillante. In secondo luogo, il gusto per il contrasto sia melodico che armonico/ritmico, che in questo caso emerge nel continuo alternarsi di tonalità minori e maggiori con ritmi ora allegri, ora adagi nelle rispettive varianti (presto, larghetto, andante…). Non ultimo il sottile e raffinato gusto teatrale fatto di grande attenzione non solo alla parola e al suo significato ma più in generale, alla complessiva struttura melodica, ritmica e armonica del componimento. Struttura meno elaborata rispetto ad altre pagine sacre dello stesso Vivaldi, ma estremamente curata ed equilibrata nel dialogo fra le varie parti che la compongono.
Aaah, che bei suoni fissi la Berganza…
Non è sicuramente la migliore berganza… ma ci sono delle cose comunque interessanti. Questo è il grande problema del Vivaldi vocale, ci sono pochissime interpretazioni corrette ed interessanti.
Sono d’accordo.
Comunque non è che io trovi orrenda questa interpretazione, eh.
certo anche il controtenore Bowman non scherza in quanto a suoni fissi!
Mi piace molto questa rubrica, grazie!
Bowman è pessimo. Ho comunque deciso di mettere quel video perchè Hogwood dirige molto bene e perchè penso sia corretto mettere anche un testimone contemporaneo della storia intepretativa della musica vivaldiana, per coerenza e completezza.
Anche a me piace molto questa rubrica. Bravi.
Io trovo che bowman abbia una voce molto peculiare,sicuramente meno attraente rispetto ai nuovi mostri sacri controtenori o sopranisti ( perdonate l’atecnicismo ),sicuramente brutta,a volte odiosa ( al pari di dominique visse ) ma cmq andrebbe premiato l’aspetto relativamente di precursore di tale ruolo ( bruttissima anche quella jacobs che sembra una trombetta di plastica)
Generalmente Bowman non mi piace, ma francamente in questa incisione mi soddisfa – insieme alla splendida direzione (un Vivaldi vivido, asciutto, ma non isterico; apollineo, ma non slavato) che non ha nulla a che fare con lo slavato accompagnamento alla Berganza – certo il timbro è quel che è, ma in quest’occasione lo trovo molto musicale.
Diamine che la Berganza abbia dei suoni fissi non c’è alcun dubbio, che la sua interpretazione non soddisfi appieno, nulla da obiettare, però
innalzare ad un ascolto più gradito, la LAGNA noiosa e petulante di Bowman, e un insulto impietoso all’intelletto.
E quindi che problema ci sarebbe? Trovo più lagnosa complessivamente la pappa con la Berganza che l’altra interpretazione
La direzione della versione con la Berganza è un po’ lagnosa, pesante ma nel complesso più che sopportabile. Certo, Hogwood, che non sempre mi piace, dirige davvero bene. E ripeto questo è stato il principale motivo per cui ho ritenuto opportuno mettere quel video. Ma Bowman, diamine, è musicalmente brutto, stonacchia parecchie volte, è tremendamente fisso… Insomma, viva la Berganza con tutti i suoi difetti.
Poi taccio sulla odiosa vocalità controtenorile di cui Bowman è testimone. Mi sembra anche inutile ribadirlo: i castrati erano ben altro. Io per provare almeno vagamente a capire cosa fossero, scusate, evito Bowman & co. e mi ascolto il Montezuma di Graun cantato dalla Sutherland.
Lo strumentale di Vivaldi non può sopportare una direzione “più che sopportabile”, concordo con Duprez nel complesso preferisco anche io l’edizione di Hogwood, nonostante la presenza di un controtenore.
Io ho conosciuto handel attraverso un cd di bowman con alcune sue celebri arie.quel cd lo ascoltai cosi tanto da consumarlo ( i lettori portatili dell’epoca erano un disastro,o forse era scadente il supporto materiale ).alcune opere di handel lo vedevano nella parte dei protagonisti ed erano le uniche edizioni discografiche disponibili.oggettivamente e’una brutta voce,pero’dotata di una certa umanita’ che non sento negli attuali grandi nomi.La Sutherland che Alcina!che Rodelinda!
Il brano vivaldiano è splendido; condivido pure io gli elogi per la rubrica. Trovo insopportabile Bowman, falsettista che francamente non sono mai riuscito a digerire (mi pare invece proprio bravo Hogwood come direzione). Già di per sé la scelta del falsettista in un bravo che, se è stato composto per il Conservatorio della pietà, evidentemente era pensato per voce femminile, mi pare fuori luogo. Ciò a prescindere dal fatto che l’uso dei falsettisti è fuori luogo nella maggior parte dei casi, soprattutto nell’opera seria, in cui, in carenza di castrati, si usavano i contralti donna (mi pare che vi siano più casi in cui Haendel ha utilizzato “cantatrici” in luogo di “musici”). L’uso dei falsettisti, a mio modesto parere, è corretto nel repertorio in cui storicamente era utilizzati, quindi, in un repertorio sacro in cui, non potendosi usare voci femminili, non essendovi castrati e non potendo bastare le voci bianche, si utilizzavano i falsettisti (se non erro – ma potrei sbagliarmi non reputandomi particolarmente esperto nel campo della musica barocca – questo è il caso di certo repertorio sacro inglese). Ciò a prescindere dal fatto che alcuni falsettisti sono veramente bravi e, pur antistoricamente, riescono a dare un’idea del repertorio che eseguono (anni fa ne avevo sentito al festival di musica antica di Magnano uno di una bravura eccezionale che interpretava arie scritte per Farinelli, con una straordinaria omogenità di registri e notevole potenza vocale), ma Bowman proprio non mi va, come trovo insopportabile Scholl.
In ogni caso di nuovo complimenti per la rubrica, che mi pare essere stata una gran bella idea: da un lato (musica proibita) l’opera del tardo ottocento primo novecento, dall’altra il repertorio vivaldiano. Continuate così.