Un’Aida da sottoScala. Si, questo è un paese per vecchi.

scala_aida_stein_zeffirelli_1247942Si fatica anche a redigere un sintetico resoconto dopo una serata tanto pesante, noiosa quanto inutile, talora perfino imbarazzante, come è stata l’Aida cui ho assistito ieri sera. Resoconto doveroso perché siamo stati tra il pubblico dello spettacolo magro di una gerontocrazia che esibisce, smutandata, le sue cascanti pudenda ma che continua ad autoalimentarsi ed autosostenersi…..col nostro denaro di contribuenti però.
Non essere fischiati è un obbiettivo, che consente di spacciare una serata moscia come esito di pubblico e scadente sino al dilettantismo in fatto di contenuti musicali e visivi, come un successo, mentre è solo uno scampato pericolo.
Ci è stata ammannita la centesima recita di Aida in pochissimi anni, terza nuova produzione del tutto non necessaria, ma che paghiamo come opera d’arte e capolavoro, mentre nessuno della stampa come del preposto cda ha chiesto conto circa i motivi reali che hanno generato il reinserimento di questo titolo abusato nel cartellone scaligero, essendo che in giro cantanti da Aida non ve ne sono e si fa fatica a radunare il cast per una sola produzione. Se poi l’opera è stata già più volte proposta di recente, a maggior ragione si capisce che ci trova in quella terra di nessuno ove qualcuno che può si sta facendo bellamente gli affari suoi a spese della razionale gestione delle risorse nostre, ma così siamo fatti in Italia.
Aida è andata in scena dopo che don Placido Domingo, simbolo della lirica mondiale degli ultimi 40 anni, ha offerto a San Remo il suo augusto patrocinio ai “Volo” e dopo che Roberto Maroni ha rimbalzato sui giornali un’idea non nuova (e dal sapore tutto pereiresco) di portare l‘opera lirica all’aereoporto di Malpensa ( dopo la Traviata alla stazione di Zurigo e l’analoga Bohéme nel condominio…). E’ chiaro perciò che ci siamo seduti a teatro con la memoria opportunamente rinfrescata sul fatto che la commedia è finita ( e da tempo!) in fatto di lirica. Prima del preludio non ci è mancato nemmeno il siparietto di Pereira che al proscenio ci ha annunciato la sostituzione di cui tutti già eravamo al corrente, Pisapia per Sartori: un’apparizione degna del mago Silvan con cui, poichè la lingua batte dove il dente duole, ci ha pure garantito il gioviale intendant che il sostituto non è affatto parente del nostro sindaco, della cui assoluta e totale estraneità alla lirica è certo che nessuno dubiti in città. I rosiconi non siano malpensanti!
E così è salpata ieri sera l’ennesima Aida affidata al maestro più solido e blasonato in fatto di Egitto verdiano, Zubin Mehta, l’uomo che la può dirigere anche dormendo, o facendo, alla sua veneranda età, la spola tra questo e mille altri impegni contemporanei. L’anziano Pereira ha voluto l’anziano maestro a garantire che la barca non affondasse come nei naufragi, altrettanto garantiti in partenza, di tutte le bacchette che lo hanno preceduto in Scala di recente; così come ha voluto l’anziano Peter Stein, genio indiscusso del teatro…di prosa però, che è altro e diverso dal teatro lirico. Ci eravamo pure visti l’intervista video a Stein che in un generico discorso fatto di generiche genericità ci aveva candidamente fatti partecipi della profonda ragione per cui la sfilata del trionfo è stata incredibilmente mutilata in questa produzione, ossia perchè lui non sapeva che cosa fare in quella scena. Operazione, ci risulta, già avvallata in origine da un altro anziano ora dipartito, Lorin Maazel e qui riavvallata da Zubin Mehta che avrebbe autorità, autorevolezza, potere e spalle solide per dire: “signori, questa roba non mi sta bene, o facciamo come si deve o me ne vado!”. A questo sito risulta che una simile menomazione ha avuto luogo in eta storica solo a Tbilisi in Georgia, qualche tempo fa, quando durante le recite di Aida il corpo di ballo del teatro era in tounee in Israele. Chi scrive avrebbe anche potuto dimenticarsi della mutilazione ( un “taglio” è un’altra cosa nella lirica, questa è un’amputazione ingiustificata di una parte profondamente connessa all’atto secondo e impossibile da elidere) se poi avesse sentito l’Aida e non una rappresentazione cameristica e mal cantata dell’opera, per la quale il grande maestro ha predisposto una sordina all’orchestra simile ad una lastra tombale, per cui abbiamo sentito ( e parlo di decibel ) assai poco dalla buca ed ancor meno dal palco e ciò che abbiamo udito era forse meglio non udirlo. E dunque torniamo ai vecchi, coloro che dovrebbero essere depositari dell’esperienza, e quindi della saggezza, che vanno in scena in queste condizioni senza aver avuto nulla di nuovo da dire al momento delle scelte e poi sul palco. Perché nulla da dire ha avuto Stein, mentre Mehta, qualora avesse voluto dire qualcosa di valido che non fosse una colonna sonora chiaramente udibile ( la sua Aida fu ben altra cosa !) non avrebbe potuto far nulla con quel cast fatto di voci, approdate a Verdi per ragioni evidentemente occupazionali ma extrartistiche ed extravocali, mentre chi ha scelto è certo che non ha pensato al teatro, alle ragioni del cartellone, come a quelle della qualità e del servizio all’autore, che non può protestare.
Se la ragion di novità fosse mai stata il regista ( principio vergognoso per il quale oggi i titoli dei cartelloni lirici si scelgono in base ai registi e non in base ai cantanti disponibili ed ormai rari ), ecco che allora davvero saremmo davanti ad un caso di appannamento del pensiero dovuto alla terza età, perché dello spettacolo di Stein non era francamente coglibile la cifra, la via che intendeva percorrere. Spettacolo minimalista? Forse, ma puntualmente contraddetta da elementi oleografici, come gli stonati sbandieratori fuori epoca o Radames con la porpora, quasi che Stein si sia reso conto di non poter ( o saper ) percorrere la via dell’astrazione, quella su cui viaggiò a vele spiegate e con somma perizia il duo De Lullo- Pizzi. Una regia intimista? Un clima da stanzetta privata come quello del duo Amneris Radames, che poi va in crisi per il contrasto con il clima musicale poderoso e lo slancio verdiano dello scontro tra i due. La scena del tempio del I atto, con quella ridicola danza delle ore, oraria ed antioraria come in un carillon, delle ballerine in bianco davanti ad un simbolo del tempio sullo sfondo, che tradisce tutto l’imbarazzo di Stein nel gestire una scena, citazione di mille altre scene di tempio della storia della lirica, dove il frusto Zeffirelli ultimo scorso aveva messo, furbescamente, l’apparizione ieratica della Savignano. Stein ripulisce l’Aida da se stessa, senza il coraggio suicida di andare sino in fondo come il fischiatissimo Wilson, perché intuisce che non è possibile, ma finisce per non andare da nessuna parte, salvo incastonare sulla scaletta asettica della tomba quell’orrido confetto lucido succhiato che sarebbe la pietra fatale del finale. Anche il trionfo menomato parte con un’immagine bellissima, ben composta, ma poi cade a causa dei cromatismi sgargianti degli etiopi, involontario omaggio a De Hana ed ai suoi eccessi cromatici, e nella totale assenza di regia: se cade la sfilata ( e quello che si vede rimanda piuttosto a Don Carlo o roba simile ) cade anche la possibilità di muovere i personaggi sulla scena. Non c’è azione, non c’è regia: tutti fermi , i solisti come in uno spettacolo improvvisato, tutto risolto nella più pura banalità già vista, niente Egitto, nessuna astrazione, solo….una cosa misera. E dire che quel capolavoro di astrazione e minimalismo scenico che è l’Aida di Pizzi è visibile per tutti sul Tubo nell’edizione di Houston e lì tutto è risolto !
A fronte di un esito così modesto, che di certo non disturba ma che nemmeno funziona, ci si domanda perché mai un regista tanto famoso finisca per fare incursioni in certa lirica, quella più distante dal suo teatro, se non gli è congeniale; perché non praticare i titoli in cui la sua arte può prender la miglior forma, come seppe fare per tutta la vita Cheréau, ad esempio, che dell’opera lirica scelse solo lavori ben precisi ? E noi, adesso, che cosa ce ne facciamo di questo modesto ed inutile Stein mentre abbiamo appena ricostruito il capolavoro del duo De Nobili Zeffirelli?
Del maestro Mehta non vorrei dire nulla perché non c’e molto da dire: o sordina che ci deve sporgere dai parapetti per sentire, o un bel fracasso ( la sua Aida è notoriamente pesante negli assiemi, un Egitto pachidermico e monumentale che non contesto..) appena i solisti non devono cantare. Certo un po’ di nerbo e tensione non guasterebbe, come al terzetto atto I. Invece il prodotto è candeggiato, liofilizzato, disinfettato, inodore e insapore, fatto di ruotine, bel suono dell’orchestra, qualche imprecisione negli attacchi del coro ai primi due atti. Certo, se non si ha voglia di imporsi nemmeno per una questione importante come quella del trionfo e si lascia che il regista spadroneggi, a che vale chiamarsi Mehta? Il maestro, in effetti, è passato nella sua lunga carriera dalla Price alla ( nuova ) Prais, però da un anziano maestro come lui si vorrebbe un po’ più di amor proprio…. e magari di rispetto per noi del pubblico. Il problema del resto è “generazionale”, come direbbero i sociologi: quando assisti allo spettacolo imbarazzante e patetico offerto dal signor Salminen ogni parola diventa superflua. Non si è sentito, e quell’attimo in cui si è sentito c’era da fuggire dal teatro. O da farlo fuggire, piuttosto!
Il naufragio vocale, assicurato dall’imperizia nella scelta dei cast, è stato sotto i nostri occhi, cioè orecchie, tutta la sera ed anche i commenti sono superflui perché le parole possono solo essere dure.
Il signor Pisapia, intanto, è stato trattato con clemenza perché sostituto, ma l’Aida, vorrei far presente, è nel suo repertorio ed il suo nome è in cartellone a Roma, tanto per esemplificare. Dunque, è convinto di essere Radames mentre non ne possiede né la voce né l’accento. Disponendo di una tecnica vocale occasionale ( mirabili i vuoti di sonorità su O ed E che rendono il suo canto un viavai continuo di voce ), un registro centro grave inesistente, timbro e volume da Elisir d’amore, che Radames può mai essere se non un cantante in difficoltà continua, sfiancato al 4 atto dove al duetto con Amneris di fatto parlava etc etc..?? Sua compagna di viaggio, la “nuova Prais” signora Lewis non avrebbe nemmeno dovuto essere chiamata dopo le prove nitide offerte in quel di Parma e stigmatizzate anche dalla stampa. Se la sua Nedda dei Pagliacci per carenze di volume e piattezza di fraseggio non funziona, può mai funzionare la sua Aida? La voce di un tempo, artata e gonfia per sembrare ciò che non era, è ridotta a vocina, acuti fissi e striduli, zona centro grave inesistente, impossibilità di fraseggio, quel fraseggio che può essere vario e sfumato, ma sempre in rapporto alla situazione drammatica ed alla scrittura verdiana, volume sempre da Elisir d’amore. Questo è il clamoroso errore di cast della produzione, nata senza protagonista, da chi è troppo occupato da altro ed imperito nel canto e nella conoscenza delle voci. Il signor Gagnidze Amonasro è stato se stesso, meglio che in Tosca, essendo che la parte è incomparabilmente più semplice e contenuta. Professionale il Re di C. Colombara.
Solitaria la prova di Anita Rachvelishvili, la vera voce del cast, che ha giganteggiato come Gulliver tra lillipuziani. Non apprezzo affatto il suo registro grave, troppo volgare e sbracato, mentre trovo bello il timbro in zona centrale e buoni anche certi primi acuti, dove la voce prende subito smalto. Certo, i momenti dove la solidità tecnica è in primo piano, come nello scomodo “Ah vieni, vieni amor mio” si arrangia e barcamena perché la tecnica è modesta. Però ha finalmente fraseggiato bene, molto bene, tutto il personaggio. Le sole frasi di questa produzione le dice Amneris, che il mezzo georgiano tratteggia regale, insinuante ed aggressiva. Al duetto con la Lewis al secondo atto l’ha letteralmente distrutta, come pure ha schiacciato il collega al confronto con Radames. Al Giudizio ha patito certe lentezze di Mehta che le hanno reso certe frasi percepibilmente pesanti, ma la sua prova è stata la migliore offerta da un mezzosoprano alla Scala dalla Eboli di Dolora Zajich. Si spera, essendo una voce di vera qualità, che sappia trovare quella solidità tecnica che le necessita per cantare a lungo senza farsi consumare precocemente.

Insomma, una serata noiosa, vi dicevo, durante la quale ti guardavi intorno e vedevi prevalentemente anziani o turisti, questi ultimi che discorrevano della trama di Aida e facevano foto. I pochi soliti che non si erano dati alla fuga dopo la generale lagnavano di questa come delle magagne del cartellone tarocco, sperando in definitiva nei bu altrui. Si applaude, con poca convinzione, salvo il mezzopsorano ed il direttore, ma questo basta a fare di un’Aida inesistente un successo da pubblicizzare sui giornali.
Oggi su “Il fatto quotidiano” un’interessante intervista ad un altro grande anziano dello spettacolo, Dario Fo, ha come tema la non reattività del pubblico moderno che definisce “drogato di banalità”. Perché il pubblico si lamenta tra i denti ma non sa reagire pubblicamente ? Secondo il Fo di questa mattina “ il pubblico di oggi è stato addormentato, drogato pian piano dalle banalità, dall’odio, dal sentirsi impotente di fronte ai lazzi del potere. Il potere gestisce, promette, racconta favole e tu vedi un sacco di gente che ha già subìto lo stesso trattamento, che ha già sofferto di menzogne e che pure torna ad accettare la menzogna come fosse un piacevole trastullo.”
E puntuale oggi è arrivata anche la notizia che Pereira è stato confermato per un quinquiennio. Largo ai giovani!

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15 pensieri su “Un’Aida da sottoScala. Si, questo è un paese per vecchi.

  1. Parole sante mia cara. Serata grottesca che si è ritrovata il pubblico che ben merita: davanti a me due americani (credo lo fossero) si sono passati una lattina di cocacola durante tutto il primo atto, due posti al mio fianco una sciura ha smanettato impudicamente con il cellulare fregandosene di quanto avveniva in scena (forse faceva bene). E le maschere? e il direttore di sala dov’erano? e tutti quei flash provenienti dai palchi? possibile che non si possa far nulla per reprimere tali comportamenti?
    Chissà quale razza di cafoni ci piomberanno in teatro durante l’expo…

  2. Al 99,9% condivido appieno l analisi sociologica
    quanto allo spettacolo visto l altra sera niente di nuovo sotto il sole.
    Finiti i tempi d’oro e d’argento del teatro siamo al bronzo puro !
    Quantomeno Metha ha diretto l’orchestra ed il cast in questa nuova e inutile produzione dettata da idee prettamente commerciali.
    Si è sentita della buona musica e la mano sicura del condottiero
    Metha . Imbarazzante Matti salminen, ad ogni suo attacco non si poteva che ridere! professionale Colombara e
    ‘grandiosa’ Amneris Anita Rachvelishvili. Quanto all’Aida di Kristin Lewis la quale ha presumibilmente cantato in lingua inglese, mi è sembrata cantante dotata di notevole dote naturale ma solo quella.
    Quanto allo spettacolo che dire ? Inutile ? Costoso ?
    …. Mille e mille volte ancora l’Aida di Zeffirelli quantomeno ci si rifacevano gli occhi e si giustificava il prezzo del biglietto !
    Solito ‘ trionfo’ scaligero con 3/4 minuti di applausi e uscita di gruppo , per giunta disordinata.
    beh almento i bagarini hanno venduto qualche biglietto visti i recenti

  3. Sto guardando ora la registrazione della diretta su sky….. che dire.? Buona la Amneris, Colombara sprecato come Re…Salminen insopportabile, stonato e chi più ne ha più ne metta, professionale l’orchestra , molto bene il coro, Mehta è sempre lui anche se non ha più lo slancio dei suoi bei dì…. gli altri meglio tacere. Regia insulsa, inutile, vista mille volte…. Una domanda… la Banda in scena al Trionfo poteva perlomeno imparare le quattro note a memoria, dato che per stare in scena col costume sono pure strapagati…. ciao.

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