Questa sera la programmazione scaligera prevede Lucio Silla, titolo reputato minore fra quelli scaligeri. E’ assente dal giugno 1984 in un teatro che non ha mai proposto né Mitridate né Ascanioin Alba e nella quale una Semiramide manca da più di mezzo secolo, traguardo cui si sta avvicinando persino Norma.
La prima avverrà con i consueti cambi dettati da defezioni dell’ultima ora. Defezioni si dice derivate da malattie anche se uno dei malati dopo l’annunciata malattia ha sostenuto, poi riprovato la generale. Che strane patologie circolano oggi. Certo, mi sia consentita l’osservazione che la Scala è una sorta di succursale del Lazzaretto, se aggiungiamo il forfait per motivi di salute di Chung!
Ritornando al Silla riaffiorano i ricordi dello spettacolo di trent’anni in or sono.
Venne offerto l’allestimento di Chereau con le scene di Peduzzi. L’allestimento era una coproduzione con il teatro di Nanterre, teatro personale di Chéreau e la Monnaie di Bruxelles dove dirigeva il direttore anche scaligero Sylvain Cambreling, allora in rapporto con il direttore del teatro belga. Chiuso il cerchio!
Aver visto quell’allestimento è stato, trascorsi più di trent’anni molto istruttivo, averne viste le prove ancora di più. Allora mi venne intimato di non raccontare quel che vedevo, ma sono passati sei lustri, morti, pensionati i protagonisti dell’allestimento, si possono aprire anche i ricordi di Donzelli. Oltre agli archivi del Vaticano.
L’allestimento servito, un grigio scatolone con pareti, che sporgevano a simulare muri ed are del 1984 venne riproposto da Peduzzi per trent’anni e più e già allora non era neppure tanto nuovo, perché sia pure pirata avevamo già sbirciato la famosa tetralogia di Bayreuth. E, per limitarci alla Scala, venne riproposto che si trattasse di Carmen, di Tristano e di Silla. Insomma il dramma coturnato ambientato nella romanità repubblicana, Andalusia e mondo delle saghe e favole nordiche evocano sempre le medesime tristi immagini di edifici post industriali dismessi o in dismissione. Prendiamone atto, senza dimenticare. Soprattutto per non elevare inutili peana.
Quanto al regist,a dalle colonne di Epoca, Rodolfo Celletti lo sbeffeggiò a dovere dicendo che la tentata esecuzione di Cecilio richiamava quella del popolano Angelo Brunetti (1800-1849) in arte Ciceruacchio e che nel corso della preparazione dello spettacolo era tutto un fai e disfai sulle medesime scelte perché il regista latitava di idee. Posso confermare, alle prove del primo atto la scena di Giunia, che versa acqua lustrale sulla paterna tomba venne rifatta e ripensata e riprovata all’inverosimile. Una sera spesa per quello. Alla fine rimaneva l’animazione di una stele funeraria, di quelle che ogni buon museo archeologico ha nei suoi cataloghi e nei suoi magazzini. Altra scelta del regista, che suscitò gli strali cellettiani fu la livrea di Silla sbattuta e sbatacchiata dal protagonista in segno di furore. Celletti si fermò a dire che non conveniva ad un personaggio togato, ma ad una lavandaia, a me veniva in mente allora ed oggi il proverbio milanese “la cativa lavandera la trova mai la bona prea”. Ma era uno spettacolo di regia e in quanto tale meritava plauso ed incondizionata ammirazione. Guai a dissentire, sei un ignorante retrogrado.
Che il giovane Amadè, sedicenne, brillasse per fantasia e personalità nel Silla nessuno potrebbe, con onestà, dirlo. Oltre tutto siccome dovette ridimensionare e semplificare la parte per il lodigiano Bassano Morgnoni corista di San Bassano, cattedrale della vicina Lodi, il musico incaricato del ruolo di Cecilio –Rauzzini- non era insuperabile gli restava quale cantante di altissimo livello Anna de Amicis. E si sente. Alcune pagine in particolare il duetto fra i due amanti e due delle arie di Giunia “Ah, se il crudel periglio” preceduta da una ricca introduzione orchestrale all’atto secondo ed il “Parto m’affretto” all’atto terzo di grande potenza drammatica fanno da contrappeso ad ottimo mestiere, ma null’altro. Tutto questo può anche reggere il teatro a condizione di avere cantanti e direttore. Partiamo da questo, che propose esecuzione letterale delle arie, tempi battuti a metronomo e cadenze da “le mie prime cadenze”. Dopo lo sfoggio acrobatico delle grandi arie di Giunia non si può certo proporre una cadenza di breve durata e che non richiami per nulla nessuna delle ardite figura acrobatiche della aria appena eseguita. Quando sia stata trovata una versione “variata” dell’aria di Cecilio “il tenero momento” non si può e non si deve proporre esecuzioni letterali. Se poi dall’integrale sia quella scaligera che quella proposta in video di Bruxelles si ascolta un accompagnamento orchestrale (si trattava di due buone orchestre) senza nerbo, senza slancio e senza elegia perché Mozart deve essere asettico il quadro è tutt’altro che confortante. Rende il Silla noioso, giustifica nel pubblico l’idea di un prodotto minore, da proporre solo perché dopo l’autore avrebbe scritto don Giovanni o le Nozze. Come se fosse possibile con riferimento ad un’epoca che ragionava per generi confrontare il brillante con il tragico. Ma pretendere questo è troppo, come troppo è pretendere che Mozart serio debba essere eseguito con il totale rispetto della prassi del tempo, che prevedeva congrui e significativi interventi degli esecutori. Il metus che Mozart anche quello di maniera inspirerebbe non si risolve in rispetto per l’autore, ma per dispetto al medesimo.
Difficile dirlo oggi come allora!
Poi alla memoria riaffiora la protagonista femminile. La stratosferica scrittura che Mozart riservò ad Anna de Amicis conveniva sino ad un certo punto alla prescelta Giunia (Lella Cuberli), che si trovava più a suo agio nelle tessiture rossiniane di Elisa Manfredini Guarmani. L’aria del secondo atto cantata con eccessi di movimento e capelli, che cadevano (eppure le forcine esistevano anche in epoca arcaica!) fu la pagina più applaudita la sera della prima per la capacità di gestire una vocalità, che anche senza conoscere il Mozart serio italiano, che si intuiva al limite delle possibilità di qualunque cantante (sentire anche un’altra fuori classe come Gruberova più facile in alto, ma meno adeguata nell’accento, sempre da grande soubrette viennese). A riprova che l’opera italiana si fa con i cantanti e tutto il resto sono inutili aggiunte, elementi estranei e che spesso sono più impicci che sostanza. Scontato assunto quest’ultimo, mai smentito. Purtroppo per gli altri!
Possibile, caro Donzelli che ci dobbiamo ricordare di un tale Peduzzi, che anticipava di trenta anni le scemate dei registi di oggi. La loro unica preoccupazione era: parlatene, bene o male, ma parlatene!!!
Se non ci fosse stata la Cuberli, manco ci sarei andato.
Unica osservazione: mica l’ha ordinato il medico di assistere a tali spettacoli, che come diceva la nonna provocano solo incubi notturni.
Francamente non capisco le lagnanze. Il Silla è opera minore, certo, ma pregevolissima e molto più interessante del Silla. Non comprendo che c’entri Semiramide (ancora! …ma chissenefrega se non la fanno, tanto più che scommetto sin d’ora che qualora la offrissero verrebbe giudicata una schifezza). Dissento però da quanto scritto su Chereau o Peduzzi, poiché ridurre il loro teatro ai muri e non voler vedere le differenze tra i vari spettacoli (o non cogliere che il teatro si può e si deve fare senza ricorrere al bozzettismo più vieto) è mero preconcetto e il solito luogo comune. Certo ognuno ha i propri gusti, ma i gusti non sono dogmi o sentenze e, soprattutto, non è vero che chiunque invece apprezzi Chereau sia un coglione (come si evince dallo scritto: mi piace molto Chereau e non credo di essere un fesso nè ho bisogno che qualcuno indirizzi i miei gusti o mi spieghi perché sarebbero sbagliati). Peraltro ogi regista ha una sua riconoscibilità e un suo omaggio, anche Pizzi ad esempio – visto che ti piace tanto – con le sue scale e colonne. Quanto a Celletti credo abbia perso l’ennesima occasione per tacere visto che non era il suo campo (come non lo era la musicologia o l’insegnamento anche se pretendeva di dar lezilni in ogni materia). Del resto basta vedere le “regie” degli spettacoli del suo pseudo festival…altro che grottesco!
Considerazioni interessanti quelle di Donzelli! In effetti la Scala ultimamente tira spesso pacco a quanto leggo e se fossi un milanese non acquisterei i biglietti a cuor leggero… Per la Edita a luglio devo preoccuparmi????
Per quanto concerne il Lucio Silla trovo che sia un’opera molto gradevole, ma Mozart lo è quasi sempre alle mie orecchie, con molte pagine di sapiente mestiere e altre di grande bellezza. Conosco due edizioni cioè quella con la bravissima Cuberli (mi pare da Bruxelles) e quella in studio di Harnonourt con la giovanissima Bartoli e la mitica Gruberova, che secondo me è stata la migliore interprete anche di questo ruolo. Non me ne voglia chi preferisce la Cuberli, ma la Gruberova di quegli anni era un fenomeno: facilità estrema, estensione, fiati infiniti, virtuosismo e anche l’accento era sorvegliato e morigerato ancora in tutto il repertorio (è dagli anni ’90 che su certo belcanto ha voluto interpretare in un modo tutto suo che può non piacere, ma certamente la rende diversa da chi l’ha preceduta e, secondo me, questo le importava moltissimo. In ogni caso la sua Elvira è la mia preferita in assoluto e l’ascolto dei suoi Puritani del 93 a Barcellona mi ha confermato che non era seconda a nessuno, semmai diversa da Callas, Sutherland e Sills). Il video del concerto di Monaco dimostra chiaramente tutte queste doti e nello stesso cantava anche la Zerbinetta 1912, Sonnambula, Mignon e Lucia!!!
A proposito di Semiramide, sarebbe il mio sogno vederla dal vivo almeno una volta, anche se temo rimarrei deluso perché non vedo chi potrebbe rendere davvero giustizia ai 4 ruoli mostruosamente ardui nati dal genio più puro di Rossini. Ieri ho ascoltato la Semiramide del 90 a Parigi con Cuberli, Dupuy, Blake e Alaimo diretti da Pappano e ho trovato sia una esecuzione di ottimo livello: Blake è l’unico che dà un senso a Idreno e riesce davvero vincitore nell’aria del primo atto che mi pare ogni volta che la sento praticamente incantabile per difficoltà, è l’unica alternativa a se stesso; Cuberli molto prudente specie nella cavatina, ma cosa non fa nel resto dell’opera in particolare nei duetti con la Dupuy che sono in assoluto i più ispirati e ricchi di pathos che abbia mai sentito perché non si limitano a sopravvivere alla cascata di note, ma riescono a dare un senso profondo a ciò che cantano. La Dupuy credo sia l’unica vera alternativa alla Horne, che preferisco nel complesso, ma di poco. Alaimo non è Ramey o Pertusi, ma come in altre prove di quegli anni non fa male e non suona ingolato e intubato come praticamente tutti i bassi. I tagli sono misurati per fortuna.
Tranquillo caro Ninia la signora Gruberova ben difficilmente perderà l’occasione di esibire il suo Devereux in Scala. E come darle torto atteso il livello medio di quel che impunito passa il convento ambroelvetico!
se vuoi quella del ’90 te la racconto. La vecchiaia (sic!) mi ha consentito di sentire Semiramide dal 1980 in poi. La giovinezza (sic!) mi ha escluso dall’ascolto di tanti cantanti diciamo Callas, Cerquetti, Stignani, Steber.
Donzelli anche quella hai visto? Viaggiavi per il mondo ad ascoltare ogni Semiramide che fortunato Racconta Racconta! Magari puoi fare una rubrica apposita dedicata a Semiramide così dopo mi bannate per spam XD Secondo te qual è stata la migliore esecuzione cui hai assistito nel complesso dell’opera e ne esiste traccia? Mi fido assai dei tuoi giudizi e come ho già avuto modo di dire sono praticamente sempre d’accordo con essi 😉
PS: non sei né vecchio né giovane ma nella piena maturità poi se ti lamenti tu, io che dovrei dire che oggi si contano sulla mano i cantanti per cui vale la pena andare a teatro?!
Mi pare che quanto dice Donzelli “l’opera italiana si fa con i cantanti e tutto il resto sono inutili aggiunte, elementi estranei e che spesso sono più impicci che sostanza” siano parole sante, ricordando solo che assieme ai cantanti ci vogliono anche i direttori, perchè l’opera italiana spesso è solo apparentemente faciel dal punto di vista orchestrale (Rossini non lo è mai neanche solo apparentemente) e pretende un direttore che la conosca e guidi i cantanti nel modo giusto. Quanto a Chereau e Peduzzi (mi stupisce che Donzelli non abbia ricordato di quest’ultimo l’ennesimo muraglione nell’ultima orrida Tosca scaligera… tutt’altra cosa rispetto allo storico spettacolo Faggioni – Benois!), voglio solo fornire due indicazioni, senza entrare nel merito o far polemica, invitando a leggere:
1. Rodolfo Celletti, Memorie di un ascoltatore, il Saggiatore, 1985, p. 186-189. Qui riporta il suo giudizio sul Lucio SIlla scaligero (che credo sia in gran parte quello che Donzelli ricordava tratto da Epoca, vedasi il passaggio sui gesti da lavandaio). Alcuni passaggi sono divertentissimi, soprattutto quando esamina vizi (tanti) e virtù (poche) di cantanti, direttore e regista.
2. Paolo Isotta, I sentieri della musica, Mondadori, 1978, p. 248-253, “La Broadway degli intellettuali”, analisi impietosa e presa in giro divertita della tetralogia del centenario sulla verde sacra collina bayreuthiana.
Semiramide e Norma.
Certo sarebbe bello risentirle alla Scala, ma chi ci propinerebbero? Non hanno dato Semiramide quando in giro c’erano cantanti in grado di farla agevolmente (Anderson, Cuberli, Dupuy, Horne, Valentini-Terrani, Manca di Nissa, Blake, Merrit, Ramey, Pertusi, Kunde etc.), oggi chi ci potrebbero mettere? E Norma? Negli anni ’80 era una Norma credibile (forse non dalle agilità facili come la Sutherland, ma la vocalità ed il peso per la parte c’erano) la Dimitrova, che a Milano cantava, ma mica gliel’hanno fatta fare. Speriamo solo che Pereira non importi l’edizione salisburghese con la Cecilia nazionale (o internazionale che dir si voglia)! Piuttosto meglio niente Norma.
“L’opera italiana si fa con i cantanti e tutto il resto sono inutili aggiunte, elementi estranei e che spesso sono più impicci che sostanza”…che dire? E’ chiaro che non c’è alcuna possibilità di discussione di fronte a questo. La mia concezione della musica e dell’opera è diametralmente opposta. Anzi ritengo che ridurre tutto ciò che non sia canto ad inutile e dannoso orpello sia una assurdità: perché ritenere che orchestra, direttore, allestimento scenico, regia, siano roba inutile è semplicemente inaccettabile. Per me è inaccettabile. Su Celletti ho già detto: dei suoi sbeffeggiamenti (spesso motivati da astio personale o ignoranza su determinati aspetti: il teatro in primis) nulla voglio dire. Su Isotta e le sue XXXXXXX (autocensura) mi stupisce che si possa ancora dar credito a quel che scrisse, scrive e scriverà: uno che ha applaudito la Tetralogia di Muti o ritiene Santini e Santi i più grandi musicisti mai esistiti, di musica non può proprio parlare. Non gli piacque la Tetralogia diu Chereau – quella che unanimamente (tranne i geni della lampada ovviamente) è considerata un capolavoro? Chissenefrega. Manca solo Buscaroli e il trittico dei “soloni” è completo.
Ps: la Norma della Dimitrova è un incubo che sono felice di non aver mai subito….
Io invece trovo il Silla un’opera splendida, e affermo “con onestà” che il sedicenne Mozart brilla eccome per fantasia e originalità. Certo, non era ancora nella posizione ‘contrattuale’ di intervenire a livello drammaturgico sul libretto (peraltro buono) di De Gamerra, come invece avrebbe potuto fare anni dopo con Varesco per l’Idomeneo. Ma a livello musicale l’invenzione musicale è continua e sorpredente, nonché intimamente legata al senso drammatico: in questo senso è già un operista maturo e distante dal Mitridate di pochi anni prima. Molti passi poi spiccano per una potenza espressiva quasi “stürmer”: tutta la scena del cimitero, l’aria di giunia “Dalla sponda tenebrosa” o l’elettrizzante “Quest’improvviso tremito” di cecilio, il cui bruciante incipit sgorga direttemente dal recitativo accompagnato precedente senza la mediazione dell’introduzione orchestrale, gesto questo abbastanza rivoluzionario per l’epoca. L’unico vero limite dell’opera è la scarsa rilevanza della parte del tenore eponimo, per i motivi contingenti che hai segnalato, ma il Silla è secondo uno dei grandi esempi del genere serio del secondo Settecento, di fronte al quali molte opere di contemporanei più maturi impallidiscono ( si pensi ad esempio al quasi coevo e sempre milanese Sismano nel Mogol di Paisiello).
Comunque mi interesserebbe saperne di più su questo ritrovamento delle variazioni per “Il tenero momento”. Io conosco solo le già studiatissime variazioni scritte anni dopo dallo stesso Mozart per la Weber su un’altra aria di Cecilio,”Ah se a morir mi chiama”.
Lucio Silla un’opera bellissima? sarà… ma solo se cantata da grandissimi vocalisti, se come ieri in Scala tutto si riduce a miagolii e coccodè si trasforma in una noia pazzesca.
Sì, è un’opera bellissima, molto più matura del Mitridate e anticipatrice di quel che sarà il genio mozartiano (anche se qualcuno lo ritiene meramente “gradevole” e autore di buon mestiere…MA PER FAVORE!!!!). Pensare, poi, che fu scritta a 16 anni è straordinario (e prima del Silla ce ne sono altre 6 tra cui Mitridate e La Finta Semplice): certo il confronto con altri “colleghi” (e quel che i vari Rossini, Bellini, Donizetti o Verdi combinassero tra i 10 e i 15 anni) è emblematico.
Mi sento chiamato in causa quindi intervengo, ma non con intento polemico. I gusti son gusti quindi se tu trovi Lucio Silla un capolavoro mi va benissimo, per me non lo è e preferisco di gran lunga Mitridate ad esempio.
Anch’io amo molto Mozart, ma non mi sentirei di dire che ogni sua opera è un capolavoro e neppure che il Demetrio e Polibio è così brutto o inferiore rispetto al Silla.
Inoltre mi pare di notare nei tuoi interventi che un autore è italiano è un mestierante spessissimo, invece se è tedesco invece ogni nota scritta è frutto di genio o capolavoro. Mi sbaglierò certamente anche se forse dipende dal legittimo desiderio di contraddittorio rispetto ad altre posizioni di autori e scriventi nel blog che non condividi.
Per “gradevole” intendo che Mozart, come Rossini, è per me uno di quegli autori la cui musica non mi pare mai brutta o molesta. Non ho usato il termine per sminuire o ridimensionare alcunché.
Critichi gli altri quando fanno gli arbitri elegantiarium e puoi avere anche ragione sotto certi aspetti, ma, anche se ognuno pensa sempre di aver ragione, bisognerebbe cercare di capirsi e favorire il dibattito e il confronto visto che il Corriere è di fatto un blog. Tu probabilmente sei un ottimo musicista e hai anni e anni di esperienza musicale sulle spalle quindi potresti anche cercare di spiegare, se è possibile farlo, perché Lucio Silla è opera bellissima e Demetrio e Polibio no ad esempio. Se poi ti limiti a scrivere certi giudizi come verità assolute chi è giovane come me non ne ricava nulla di utile per affinare il proprio senso critico, ma solo un vago senso di antipatia per come vengono scritte certe cose (voglio specificare che questo senso di antipatia è dovuto semplicemente al fatto che la scrittura è per se stessa limitativa, se si discutesse dal vivo sarebbe completamente differente).
Chiedo scusa se ti ho mancato di rispetto in qualche modo perché non è mia intenzione e per l’uso del tu.
Ninia, tu scrivi:
“I gusti son gusti quindi se tu trovi Lucio Silla un capolavoro mi va benissimo, per me non lo è e preferisco di gran lunga Mitridate ad esempio.
Anch’io amo molto Mozart, ma non mi sentirei di dire che ogni sua opera è un capolavoro e neppure che il Demetrio e Polibio è così brutto o inferiore rispetto al Silla.”
Secondo me stai confondendo un po’ di cose: che i gusti siano imprescindibili e che vadano rispettati siamo perfettamente d’accordo, ma non è che adesso ogni valutazione ha lo stesso peso perché tanto tutto è soltanto questione di gusti. Se tu mi dici che ti piace di più il Mitridate del Silla sono fatti tuoi, ma io credo di poter sostenere (e non da solo) che il Silla è opera più matura e riuscita del Mitridate non solo per una questione di età anagrafica dell’autore, ma perché nel Silla è molto più evidente la capacità tutta mozartiana di definire il personaggio e il dramma attraverso la musica, mentre in molte arie del Mitritade (peraltro bellissime) l’approccio è quasi “strumentale”, da concerto. Se comunque ha certo senso confrontare fra loro queste due opere mozartiane, non vedo che senso abbia tirare in ballo per un confronto la prima opera di Rossini, nata in tutt’altro contesto. Comunque se proprio dovessi esprimermi non esiterei a dire che il valore assoluto del Silla è molto superiore a quello del Demetrio: anzi, ti dirò che il Demetrio risulta come illuminato e rivalutato dal successivo grande Rossini, mentre il Silla è in un certo senso oscurato e diminuito dai successivi capolavori mozartiani. Credo cioè che se Mozart non avesse scritto le sue opere teatrali da Idomeneo in poi la grandezza del Silla si staglierebbe con molto maggior evidenza, anche più di quanto venga apprezzata ad esempio un’opera pur importante come l’Armida di J. Haydn.
Idamante sono d’accordo con te che non tutte le valutazioni hanno lo stesso peso. Forse sono stato frainteso e purtroppo la scrittura (specie quella non buona come la mia) porta a questo.
Senza dilungarmi ti rispondo che mi piace più Mitridate proprio perché è più strumentale del Silla quindi nel complesso nella sua scarsa credibilità drammaturgica mi risulta paradossalmente più credibile del Silla che è a una metà via nella definizione dei personaggi rispetto alle grandi opere mozartiane. E’ mio gusto e non lo voglio certo imporre. Comunque non è che Silla non mi piaccia!
Sul fatto che ho tirato fuori Demetrio è perché Duprez citava risultati giovanili di Rossini etc come fossero cose orrende Appunto perché sono nate in contesto diverso, come giustamente dici, non sono facilmente paragonabili e non reputerei Demetrio così tremendo, semmai è interessante e anche con una certa credibilità d’insieme.
Sul fatto che Silla goda di meno fama di altre opere visto cosa Mozart ha scritto poi credo che effettivamente tu abbia ragione. Però come non dico che Demetrio è capolavoro di Rossini che poi ha scritto Semiramide e Tell etc., così non direi che Silla è capolavoro di Mozart perché soccombe di fronte alla trilogia, flauto etc.
Quello che lamentavo era il tono e il modo che lascia poco spazio al confronto. Duprez ne sa in quantità industriale di queste cose e si capisce perfettamente, ma potrebbe spiegare le sue ragioni e certe sue affermazioni in modo più chiaro e esteso (nei limiti di tempo,…) perc chi non ha la sua stessa esperienza. Poi si può essere in disaccordo, ma almeno sarà un confronto fruttuoso da cui si possono trarre riflessioni.
In un certo senso concordo pure con te, nel senso che Mitridate è opera meno matura e interessante (drammaturgicamente e musicalmente), ma più riuscita in linea generale. Più varia e, forse, più appagante, ma il Silla è titolo di rottura e già prelude al Mozart maturo. Non mi piace fare paragoni (a parte i gusti personali) e trovo assurdi confrontare Demetrio e Silla…peraltro trovo Demetroio opera godibilissima e più riuscita di altre opere rossiniane pre Tancredi, però Mozart è altra cosa. Mia opinione, certo.
completamente d’accordo con te! Sia per la valutazione del Silla rispetto a Mitridate che per l’assurdo paragone col Demetrio (opera di tutt’altro genere, qualità e ispirazione)…purtroppo i rossiniani fanatici mi hanno fatto perdere ogni interesse per Rossini
Senza polemica, però un conto sono gusti, un conto i giudizi tranchant: poi io non critico nessuno, mi limito ad esprimere pareri solitari (purtroppo)…nessuna verità assoluta. In ciò che scrivo premetto sempre il parere mio…cosa che non tutti fanno nell’esporre proprie opinioni (discutibilissime per me) come dogmi. Sono allergico ad ogni auctoritas (soprattutto di chi si permette di sparar giudizi in materie che non padroneggia o non conosce affatto). Poi è ovvio che son convinto di ciò che dico, senza complessi. E non vedo perché non debba esprimermi. Tornando in argomento credo non si possa definire la musica di Mozart come semplicemente “gradevole” perché dietro all’apparente semplicità c’è qualcosa di più. Certamente il Silla non è un’opera matura, ma è – rapportata all’età di composizione – infinitamente superiore a tante opere mature di altri compositori. Non capisco il senso del paragone col Demetrio e Polibio (opera gradevole, ma convenzionale e dilettantesca). E a dirla tutta questo rossinismo dei suoi fans mi ha già da tempo fatto detestare Rossini (tranne il Tell, perché è opera che il rossiniano duro e puro normalmente non apprezza). Quindi ti prego: basta con Rossini…che palle! Quanto al fatto che l’opera italiana fosse spesso mestiere (e nulla più) credo sia incontestabile (basta anche considerare i numeri e la enorme produzione di titoli che non trova paragone in nessun altri paesi)…rispetto al genio mozartiano. E poi il paragone tra Silla e Demetrio non si pone neppure: Mozart arriva al Silla (a 16 anni!) dopo altre 6 opere (due delle quali eccellenti) una ventina di sinfonie, concerti vari, musica da camera, divertimenti orchestrali, arie da concerto, sonate etc… E poi se è valido il tuo gusto lo deve essere pure il mio per cui ritengo la musica italiana “inferiore” (Rossini compreso).
Duprez grazie per la pazienza con “un fanatico di Rossini” (forse il termine riferito a me è esagerato ma non la ritengo un’offesa, anzi quasi un complimento) Ora ho compreso meglio e questo era ciò che mi importava cioè che esprimessi la tua opinione e la rendessi comprensibile a chi ne sa di meno. Non resto d’accordo con la considerazione finale, ma ovviamente la rispetto.
Grazie ancora e ribadisco le scuse se dovessi essertela presa!
caro Ninia, ogni promessa è debito e allora ti racconto la Semiramide di Parigi 26 ottobre 1990. Allora la prima battaglia era procurarsi i biglietti perchè non c’era internet e le prenotazioni per fax o telefono erano un’eccezione. Nel nostro caso lo Chatelet ammetteva solo acquisti al botteghino e se non avevi l’amico parigino…. Davanti ad una telefonata di mio padre il personale si “commosse” e caccio i due biglietti, che dovetti correre a pagare a mezzo euro cheque non trasferibile in franchi e che solo pochi sportelli bancari emettevano. Internet e le carte di credito sono una conquista, al peggio ti clonano la carta…
Sulla piazza di Chatelet la sera del 26 credo ci fosse il mondo dei melomani.
Come fu la serata….risentendo il nastro ti posso dire oggi inimmaginabile ed impensabile. Non era una Semiramide integrale perchè si omettevano parte dei cori dei magi (atto secondo, scena del tempio, ingrasso di Arsace nella tomba paterna), il da capo del concertato atto primo, quello dei duetti all’atto secondo fra Semiramide e Assur e fra le due primedonne nonchè quello del “Si vendicato il genitore” ad onta del fatto che la Dupuy disponesse di splendide varianti.
La protagonista, che avevo sentiti strabiliante a Parigi nel gennaio del medesimo anno quale Stuarda apparve sotto tono e fioca alla prima scena, di scrittura bassa e drammatica nella stretta, se la cavò meglio nel “bel raggio”, dove smorzava un do diesis (sovracuti e Cuberli mai avuto alcun rapporto o quasi) e nel seguente duetto con la Dupuy. Se la cavò al giuramento ed al duetto con Assur (ancora troppo drammatico e teso per un soprano che era perfetta per le parti scritte per la MAnfredini piuttosto che per quelle di Isabella Colbran) e diede il meglio al secondo duetto con Arsace, ma non era in forma e quando la Cuberli non era al meglio (in realtà era iniziato un certo declino, che Semiramide accentuava) era un poco ed affettata e leziosa, oltre che carente di mordente e slancio, essenziali ed irrinunciabili per la regina di Babilonia. Ti devo anche aggiungere che pur con questi limiti nel 1982 a Trieste la Cuberli fu la più completa Semiramide che io abbia udito cui l’unica comparabile è quella di Darina Takova a Liegi nel 2001.
Chi in quel momento non conoscevano limiti erano Martine Dupuy e Blake. Martine entrò con un abito haute couture (indossava solo quelli in concerto) adornato di bracciali, che richiamavano quelli assiro babilonesi. Accento scandito, frasi sussurrate quando parlava di Azema, virtuosismo ed estensioni unici.Diluvio di applausi e l’emozionata Martine (che non era mai contenta di quel che faceva) si ritirò dopo gli applausi, dimentica che c’era il duetto con Assur. Ilarità fra chi capiva l’italiano alla battuta di Oroe “qui t’attendeva Arsace”. Al duetto con Assur, di scrittura bassa e quindi non gratissima al mezzo marsigliese, la carenza di slancio era compensata dall’esecuzione da manuale di “d’un tenero amore” e una variante acuta al “ma giammai sarai mio re” (venne copiata dalla stessa Horne) davvero elettrizzante. Si racconta che Rossini fosse andato personalmente in camerino da Henriette Sontag per compplimentarsi per una variante della Gazza. Credo l’avrebeb fatto anche con la Dupuy. Era splendida nei duetti anche perche al secondo con Semiramide si divertiva ad esibire un corposo registro basso oltre che esecuzione precisissima e grande senso drammatico.
Il momento più poetico di Martine era naturalmente l’andante “in si barbara sciagura”, al “sacro acciar” era invece sempre unpasso indietro alla MArylin. Ma come dici tu era la sola alternativa alla MArilyn.
Quanto a Blake come Idreno gli era chiara una cosa che il re dell’Indo dramamturgicamente era la Margherita di Navarra dell’opera e allora nelle due arie era uno sfoggio di tutto l’apparato ornamentale previsto da Rossini, mostruosamente rimpolpato ed amplificato. Il personaggio inesistente drammaturgicamente, vocalemente arduo, era perfettamente colto.
Ripensando il tutto mentre scrivo posso dire che mi rammarico per non avere sentito certi cantati, nei miei sogni (i fantacast) immagino un Falliero Jadlowker, Matznauer, Siems, ma sono certo che quel Rossini sia stato irripetibile
Ciao DOMENICO DONZELLI
Basta la foto postata per intuire che si trattava di un bellissimo spettacolo
Infatti. Splendido davvero. Certo che se si vogliono vedere le tunichette, le matrone o le colonne di cartapesta in stile peplum anni ’50….
Mi piacerebbe vedere uno spettacolo di Duprez senza tunichette, pepli o colonne di cartapesta…una specie di isola dei famosi ?
Dalle mie parti si dice “ma va a ciapal va!”…
Ancora polemiche tra gli ammiratori di Mozart e i sostenitori di Rossini?
Perché non ammettere che si tratta di due geni non paragonabili?
Le Nozze di Figaro e il Barbiere di Siviglia: due capolavori assoluti che partono dallo stesso teatro, ma che hanno alla base concezioni del mondo diametralmente opposte.
Quando smetteremo di fare i Guelfi e i Ghibellini?
(e questo vale anche per me)
“De gustibus est disputandum. Anche chi è convinto dell’incomparabilità delle opere d’arte, si troverà continuamente trascinato in dibattiti in cui opere d’arte- ed opere d’arte di altissimo livello, e quindi tanto più incomparabili- vengono paragonate tra di loro e valutate l’una in confronto all’altra. L’obiezione sollevata contro le considerazioni di questo genere, che sorgono con una caratteristica necessità, è che si tratterebbe di istinti da merciaio, del gusto di misurare a braccia. In realtà, il senso dell’obiezione è per lo più un altro: e cioè che i solidi borghesi, per cui l’arte non sarà mai abbastanza irrazionale, vorrebbero tenere lontana dalle opere d’arte la coscienza e l’aspirazione alla verità. Ma l’impulso che conduce necessariamente a queste considerazioni è già presente nelle opere stesse. Esse non sono paragonabili, è vero, ma vogliono distruggersi a vicenda. Non per niente gli antichi hanno riservato il pantheon del conciliabile agli dei o alle idee, mentre hanno costretto le opere d’arte all’agone reciproco, l’una nemica mortale dell’altra….”
Theodor W. Adorno, Minima moralia. Meditazioni della vita offesa, tr.it. di Sergio Solmi, Torino, 1954, ‘.p. 79.
Ulisse
Grazie, Ulisse, che mi hai fatto venir voglia di andarmi a rileggere la meditazione 47 della prima parte di M.m.
Voglio tornare ancora al Silla, così maltrattato nella recensione e nei commenti:
1) musicalmente, rispetto ai titoli precedenti, è più rifinito nella scrittura orchestrale e vocale, è arricchito da preziosismi sinfonici inusuali ed è molto più avanzato rispetto alla musica del suo tempo;
2) certamente è opera di passaggio di un compositore ancora in fase di formazione (ma già padrone di tutti i suoi mezzi espressivi: tra Mitridate e Silla passano solo due anni, in cui Mozart scrive 12 sinfonie, due serenate teatrali e tanto altro), ma molte pagine rivelano una maturità ed una complessità paragonabili alle sue opere maggiori: la splendida ouverture in re maggiore (così brillante e vivace); la parte finale dell’atto I, dal n. 5 “Il desio della vendetta” sino alla fine, dove si alternano brani di grandezza somma: il dolente e tesissimo recitativo accompagnato di Cecilio con la sua bella introduzione orchestrale, l’intervento corale che incornicia l’adagio, poi ancora un drammatico recitativo accompagnato sino al duetto Giunia e cecilio in la maggiore. E poi le due arie di Giunia al II e III atto (“Parto, mi affretto” col suo splendido recitativo accompagnato e “Fra i pensier più funesti di morte” in do minore con frequenti obbligati di oboe), e il terzetto dell’atto III. Tutti brani che anticipano i più grandi esiti mozartiani di Idomeneo e oltre;
3) l’annosa questione degli interventi sul testo che, di nuovo, si auspicano maggiori, come se Mozart fosse Rossini e come se non ci fossero differenze tra il modus di comporre nell’Austria dei lumi e quello in uso nella placida penisola: ancora una volta ricordo che l’ornamentazione è già stesa da Mozart in formule già ricche, ma – a differenza di molti primadonnismi deteriori – sempre espressive e musicalmente coerenti, modificare o intervenire significa corrompere e stuprare una scrittura perfettamente autosufficiente. Le scelte tonali non sono mai casuali e non si può intervenire sulla linea del canto. E poi se l’autore ha già scritto le formule ornamentali (e lo ha sempre fatto, sino alla fine) significa che non erano previste modifiche, salvo parche formulazioni o cadenze nei luoghi deputati (perché non tutti i punti coronati permettono inserti cadenzali). Diversa è la questione delle appoggiature. L’opera seria non fu mai un monolite uguale in tutta Europa, ma si è declinata in modo differente in ogni cultura (così Handel è diverso da Pergolesi, e Mozart da J.C. Bach) senza contare l’influenza sul mondo musicale austro tedesco della riforma di Gluck (l’Orfeo ed Euridice è del 1762!). Quindi non applichiamo regole inapplicabili al caso solo per gusto personale o perché si ritiene l’opera (e il compositore) un mero orpello al primadonnismo del cantante (del resto Mozart è l’operista meno amato da vociomani e melomani….perché – per loro – non dà soddisfazione alle voci e c’è pure chi pretende che “scriva male” o altre assurde amenità);
4) il Silla non si ascolta solo per quello che viene dopo o perchè Mozart ha scritto Don Giovanni, ma per sue qualità intrinseche. Si può dire che, rispetto al Mitridate è come la Clemenza di Tito rispetto ad Idomeneo, ossia un’opera più matura ed elaborata, ma che circostanze esterne hanno in qualche modo condizionato. C’è un che di irrisolto in Silla e nella Clemenza, ma anche costruzioni musicali di grandezza assoluta;
5) non mi piacciono i paragoni, ma se si confronta il Silla alle prime opere del nume tutelare degli altri autori del sito (non il mio, preciso ancora) ossia Rossini, si nota una differenza sostanziale.
Sono più o meno d’accordo con tutto quanto dici, tranne che sul punto 3: io non sarei così drastico sull’inopportunità di variare le linee mozartiane. Si tratta di una questione aperta, ed è vero naturalmente che fin da principio la difficoltà di variare una scrittura così ricca anche e soprattutto dal punto di vista dell’accompagnamento orchestrale fu recepita da tutti, interpreti compresi (pare che Angelica Catalani detestasse la musica di Mozart proprio perché riduceva le possibilità di variare). E però l’abilità nella variazione come requisito fondamentale dell’interprete era certo nell’orizzonte estetico di Mozart, che ammirava virtuosi della variazione come Marchesi e la Storace. In particolare le sue opere serie degli anni ’70, ricche di da capo e di riprese, presuppongono chiaramente interventi ornamentali degli interpreti: Silla compreso. Donzelli fa probabilmente confusione quando parla di un ritrovamento di variazioni per “Il tenero momento”, ma è vero che esistono, note da sempre, le variazioni scritte dallo stesso Mozart su “Ah se a morir mi chiama”, composte anni dopo per Aloysia Weber a scopo didattico. Sicuramente Rauzzini, uno dei più grandi castrati della generazione precedente al duopolio Marchesi-Pacchierotti e maestro fra l’altro della Storace, aveva all’epoca della prima improvvisato personalmente le variazioni su questa come sulle altre arie. Naturalmente sull’opportunità di variare questi brani oggi (e in quale misura) il discorso resta aperto, essendo radicalmente cambiate le condizioni di ascolto: all’epoca si andava a vedere la stessa opera ogni sera anche per venti volte, e ogni sera il cantante improvvisava variazioni diverse. Oggi l’approccio del pubblico nonché degli interpreti è completamente cambiato, e non è certamente facile modificare con la stessa disinvoltura una scrittura comunque perfettamente autosufficiente come quella mozartiana.
Non credo sia proprio così Idamante, nel senso che Mozart ricorreva certamente all’ornamentazione (anche funambolica), ma la inseriva in un tessuto musicale e orchesteale che rende necessario che solo il compositore vi ponga mano: ogni ripresa, ogni da capo, non è MAI semplice ripetizione, ma ogni volta Mozart cambia la struttura (persino la tonalità o il modo). In una scrittura fatta di millimetrici equilibri ogni intervento compromette il risultato e lo banalizza, perché Mozart non è Rossini (che usava e abusava formulazioni stereotipate e sempre ricorrenti). Quando un’aria prevede cambi tonali nelle riprese, obbligati strumentali, orchestrazione sinfonica e funzione musicale del virtuosismo (inserito nel tessuto strutturale e non mero momento di esibizione primadonnesco) non può reggere interventi banalizzanti o di crassa ginnastica vocale. Il fatto, poi, che Mozart abbia scritto variazioni non significa proprio nulla. A parte che un conto è la variazione d’autore e altro sono i qualitativamente inferiori interventi degli interpreti (censurati dallo stesso Mozart). Cioè non è accettabile applicare una regola che vale per l’opera italiana a qualcosa di diverso. Che poi le tante menate sulla pseudo legittimità del variare Mozart si fondano su testimonianze posteriori e di ambiente diverso (come le orride variazioni di “Voi che sapete”). La realtà – ribadisco – è che Mozart non piace ai vociomani e ai melonani perché il cantante non è protagonista assoluto e perché richiede la presenza della figura più detestata dal vociomane ossia il direttore d’orchestra (a meno che non sia un praticone o, ancora meglio, il pianista accompagnatore).
Concordo appieno sulla parte finale del tuo discorso, e mi sembra di avere io stesso sottolineato come gli equilibri mozartiani siano tali da rendere estremamente delicato qualsiasi intervento. Se però pensiamo a come dovessero andare le cose all’epoca non credo si possano avere troppe certezze. Mozart nelle sue lettere non si è mai espresso sull’argomento (quando parli di sue censure agli interpreti mi chiedo a cosa ti riferisci di preciso) per cui possiamo solo provare a capire quale fosse il suo atteggiamento in maniera indiziaria. Da un lato c’è, indiscutibilmente e come già abbiamo ricordato, una scrittura che, diversamente da quella dei suoi contemporanei italiani, inibisce spesso costitutivamente l’intervento ornamentale. Dall’altro c’è il fatto che con i cantanti italiani collaborava in piena sintonia. In una lettera definisce “eccellente cantante” Marchesi, le cui variazioni oggi appaiono mostruose tanto sono esuberanti. Collaborava ed era amico della Storace che era un’imitatrice dello stile di Marchesi. Le variazioni su tre arie scritte da Mozart per la Weber sono significative proprio perché non sono semplici varianti d’autore, ma modelli didattici per apprendere l’arte della variazione. Va detto poi che le semplici ripetizioni letterali sono certamente rare in Mozart, ma non assenti. Uno degli esempi più noti è il rondò di Sesto nella Clemenza, “Deh per questo istante solo”. Sia il tema della sezione lenta che quello della sezione veloce sono replicati identici, ed è praticamente certo che Bedini si producesse qui nelle variazioni tipiche del rondò (fra l’altro si era anche pensato di affidare la parte a Marchesi…) Anche nel rondò da concerto “Ch’io mi scordi di te” i temi vengono ripetuti letteralmente, e anche qui verosimilmente la Storace variava. Ai tempi del Silla l’intero cast era ingaggiato a Milano anche per il Sismano di Paisiello: tu credi verosimile che Rauzzini variasse le arie del famoso Paisiello e si astenesse dal farlo per un sedicenne austriaco? Decisamente improbabile. E quando Leopold scrive alla moglie che Rauzzini “cantò come un angelo” rispecchia probabilmente l’opinione di Wolfgang (che fra l’altro per l’occasione scrive per lui l’Exultate jubilate). Poi, che anche all’epoca alcune variazioni fossero assurde e di pessimo gusto è indiscutibile: i manoscritti di Donaueschingen riportano delle variazioni per il Flauto magico che avrebbero certo fatto inorridire Mozart. Io credo che Mozart si trovasse in equilibrio fra una personalità musicale unica e particolarissima e un contesto culturale cui comunque non si sentiva affatto estraneo. Quale precisamente fosse il punto di tale equilibrio è per noi arduo definire.
A proposito del protagonista annunciato Villazon.
Non so se qualcuno ha sentito oggi, alle 13, La barcaccia: trasmettevano degli estratti dal Macbeth berlinese con il debutto di Topone Domingo nel title role.
Dato che al peggio non c’è mai limite, se già Domingo era alquanto imbarazzante come Macbeth, pur mal aiutato dalla direzione di Baremboin che andava tutto per conto suo, egli sembrava Battistini se confrontato con l’inascoltabile Macduff di Villanzon, di una rozzezza e di un malcanto micidiali.
Anche Stinchelli e Suozzo commentavano chiedendosi come avrebbe potuto cantare Mozart uno che stava cantando in quella maniera, sì che dicevano che un Mozart eseguito “cantando” così poteva far nascere il sospetto che Mozart fosse la prima fonte di ispirazione per il Mascagni del Ratcliff (a parte il fatto che il più scalcinato Turiddu veristeggiante è migliore del R.V….)
Uno scempio autentico sotto tutti i punti di vista: attacco sbagliato, fraseggio nullo, stonature, errori, parole mugugnate o mal pronunciate….. ce ne era per tutti i gusti! E, se pur ve ne fosse stato bisogno, giustamente i conduttori lo rilevavano, anche perchè bisognava essere del tutto sordi per non sentirlo.
Al confronto, perfino il Kaufmann trasmesso lunedì sembrava un raffinato cantante! Il che è tutto dire!!
Domingo poi non cantava da baritono ma continuava ad essere un tenore che canta una parte da baritono.
Vinay quando si era messo a cantare da baritono cantava veramente da baritono, il Topone no.
Tenore era e tenore resta, anche dopo che il registro acuto, già mai la sua arma vincente, se ne è andato del tutto.
Lunedì, nella stessa trasmissione, Luduvic Tezier elogiava Apollo Granforte, baritono che diceva aver scoperto e che gli era piaciuto tantissimo, sì che lo riteneva un autentico modello di buon canto baritonale. Parlava dello Jago di Granforte e notava la sua bravura, come riusciva, con quel po’ po’ di voce, anche a fare con gran maestria tutti i piani ed i pianissimi della parte (per forza: Granforte sapeva cos’era la tecnica, direi io!) Evidentemente Tezier ha ancora un orecchio che funziona, cosa che non si può dire di tanta altra gente….
Grazie mille Donzelli per aver ricordato quella serata e come all’epoca senza internet e altri mezzi era tutto più complicato perché per me è cosa praticamente impensabile Io basandomi sul solo ascolto condivido ogni singola parola 😉
Ho letto che la Pratt debutterà Semiramide mi pare a settembre a Washington… speriamo faccia bene e poi la canti in Italia Speriamo che la Cuberli la indirizzi al meglio dall’alto della sua esperienza!
A proposito, Esiste una registrazione della rappresentazione Trieste 1982 con la Cuberli che tu sappia?