Il soprano prima della Callas, trentatreesima puntata. Giannina Arangi Lombardi

Arangi-LombardiNel decennio 1925-’35 due soprani italiani: Giannina Arangi Lombardi (1891-1951) e Bianca Scacciati (1894-1948) detennero  nei maggiori teatri italiani l’esclusiva dei titoli drammatici a partire dal Puccini di Tosca e Turandot a Santuzza di Cavalleria, passando alla produzione tardo ottocentesca con Gioconda ed Elena del Mefistofele sino a Verdi e al melodramma pre verdiano, quest’ultimo forse più associato al nome della Arangi Lombardi anche se Norma nel 1932 e Lombardi nel 1931 in Scala furono affidati alla Scacciati. Quest’ultima aveva in repertorio anche qualche altro titolo verista come Iris. Cantarono nei maggiori teatri italiani ed in Sud America, l’Arangi Lombardi si esibì in una lunga tournée in Australia mentre l’approdo della Scacciati al Covent Garden non fu particolarmente felice. Eppure mai cantanti furono più differenti per gusto e tecnica ad onta delle similitudini di repertorio. Giannina Arangi Lombardi è giustamente un mito per chi si occupi di storia della vocalità, perché reputata l’ultimo baluardo della scuola ottocentesca, prima del fenomeno Callas ed in quanto maestra di Leyla Gencer, davanti alla canea del malcanto verista.

Sia la Scacciati sia l’Arangi Lombardi furono i primi soprani ad incidere integralmente opera. Nel caso di Giannina: Gioconda, Aida, Cavalleria rusticana e Elena del Mefistofele per la Bianca il Trovatore con Aureliano Pertile e la Tosca. Le registrazioni di Aida e Gioconda rappresentano per la vocalità delle rispettive protagoniste esempi unici e ben difficilmente superati ancor oggi a distanza di ottant’anni dalle registrazioni.

La carriera di Giannina Lombardi, poi signora Arangi, nata a Marigliano di Napoli il 20 giugno 1891, non fu lunghissima e partì in ritardo per i tempi (debuttò prossima ai trenta in un’epoca in cui a ventitré-ventiquattro anni si era già dive come accadde per Rosa Raisa o Rosa Ponselle) e con ondeggiamenti e soste. Diplomata a Napoli al conservatorio di San Pietro a Majella in canto dopo studi con Beniamino Carelli, padre della ben più famosa Emma,  vera mentore della carriera della nostra, si sposò e si trasferì a Palermo, città del marito,  dove si dedicò all’insegnamento del canto, e dove iniziò a livello amatoriale o quasi la carriera. Anche qui le cose partirono con il rallentatore perché la signora Arangi Lombardi cantava da mezzo soprano. I dischi della cantante in corda di mezzo  sono interessanti perché siamo ben lontani dall’esempio di maestri tecnica e raffinatezza interpretativa, che il soprano Giannina Arangi Lombardi testimonierà pochi anni dopo. Come tutte le principianti si presentò ad un’audizione al teatro Costanzi gestito allora (1920) da Emma Carelli, da cui lucrò dapprima una battutaccia (GAL: “Signora ho studiato con suo padre” EC: “ e chi cazzo se ne frega”) e poi una scrittura per il teatro,  uno dei più importanti d’Italia e dove divi e giovani promesse si esibivano in egual misura. Trascorso un breve periodo di rodaggio con piccoli ruoli come la Lola di Cavalleria, l’Arangi Lombardi cantò soprattutto Santuzza  e Leonora di Favorita, due parti che convengono sia ai mezzi acutissimi sia ai soprani saldi in zona centrale. In questi ruoli si presentò nei maggiori teatri italiani di allora. Il passaggio alla corda di mezzo soprano avvenne in torno al 1922-’23 anno in cui l’Arangi Lombardi cantò pochissimo e probabilmente maturò durante le recite di Gioconda a Bologna con  protagonista Tina Poli Randacio, che in uno con Adelina Stehle fu la guida per il passaggio alla corda di soprano. Poi dal 1924-’25 in poi fummo davanti a Giannina Arangi Lombardi l’ultimo baluardo del canto dell’800 contro la macerie creata dal cattivo gusto verista, imperante.

La carriera del soprano fu rapidissima, complice anche la carenza di soprani drammatici dopo il ritiro di Mazzoleni, Russ e il cabotaggio ridotto della Poli Randaccio. L’Arangi-Lombardi trovò, dopo Emma Carelli un mentore soprattutto in Arturo Toscanini sotto la cui guida alla Scala cantò Gioconda, Aida, Trovatore. Per il periodo del cosiddetto “settennato” la cantante napoletana fu per il repertorio verdiano il soprano di Toscanini come  lo fu  per Puccini e la giovane scuola Rosetta Pampanini. Quando si dava  davano Cavalleria e Pagliacci , Santuzza era la Arangi-Lombardi e Nedda la Pampanini (per farci del male aggiungo Canio Aureliano Pertile e Tudiddu Francesco Merli). Occasionalmente eseguiva opere veriste come Tosca e Cavalleria e Gloria di Cilea, nella famosa tournèe australiana con Francesco Merli fu la prima Turandot locale e cantò anche Arianna di Strauss. Oltre a possedere ed esibire una tecnica scaltrita era una  ottima musicista (famosa la battuta di Marinuzzi “stoni una volta signora, per favore”) ed era considerata una stilista cui affidare opere desuete a partire da Mozart con la Contessa e donna Anna (che la portò in una delle sue sortite all’estero a Salisburgo sotto la guida di Bruno Walter e della quale è conservata una lunga sezione del primo atto, che riteniamo doveroso proporre ad onta della qualità del suono) la Vestale, ma nel ruolo di Gran Vestale, Africana quale protagonista e soprattutto Lucrezia Borgia,  titolo sopravvissuto del  repertorio preverdiano, eseguito anche nel primo cinquantennio del Novecento. Deve essere segnalata la Borgia al primo Maggio Musicale Fiorentino del 1933 quando nel volgere di un mese (lo abbiamo già scritto) il pubblico del capoluogo toscano vide ed ascoltò Gina Cigna, Rosa Ponselle, Giannina Arangi Lombardi e Rosa Raisa. E, poi, molto molto Verdi soprattutto Aida, Trovatore, Ballo e Forza del destino. Paradossalmente, perché dobbiamo alla Arangi Lombardi una delle più complete esecuzioni del duetto del secondo atto, Norma fu un titolo sporadico e mai in teatri di primissimo piano (Reggio Emilia, Bergamo).

Tutto questo fra il 1925 ed il 1935 poi poche prestazioni, sempre di titoli molto impegnativi e l’abbandono delle scene dopo avere affrontato ( e debuttato) la duchessa Elena dei Vespri a Palermo.Chi sentisse le ultime registrazioni ufficiali (Borgia e Tosca) piuttosto che il frammento del don Giovanni non può certo parlare di declino o scadimento vocale, il ritiro forse derivò dal prevelare di altre cantanti (Cigna e Caniglia più fresche e più consone al gusto del tempo e come interpreti e come attrici) e dal non accettare il rischio di non esibirsi più nei maggiori teatri. La donna, va detto, aveva aspetto mite e silenzioso, ma era orgogliosa e facile al risentimento. Almeno così la dipingeva Rodolfo Celletti, che alla ricerca del canto ottocentesco, la conobbe ed intervistò nel 1950 poco prima della morte.

Nella discografia della Arangi Lombardi una registrazione è giustamente famosissima: l’aria di Aida al terzo i “cieli azzurri” soprattutto per la prodezza di eseguire un a forcella completa sul do 5. La prescrizione in spartito è semplicemente -si fa per dire- una messa di voce, ma la Arangi Lombardi amplifica l’indicazione verdiana compie la prodezza sia nella registrazione integrale dell’opera del 1928 che nell’incisione dell’aria precedente di due anni. All’ascoltatore molto attento non sfuggire che  nella registrazione completa dell’opera il suono appare un poco più vibrato che non in quella anteriore. A prescindere da questo indiscusso virtuosismo tecnico espressivo l’Aida di Giannina Arangi Lombardi è una delle più complete realizzazioni del personaggio, che non si esaurisce nel do dei cieli azzurri. All’interno dell’aria del terzo atto spicca la linea castigatissima di canto, che  evita qualsiasi facile concessione ad un’espressione plateale; basta sentire come canta l’intero recitativo con assoluto rispetto dei segni di espressione e con l’evidenza che questa Aida non canta piano perché non può far diversamente come fanno molte protagoniste del dopoguerra,  ma perché in quel passo si deve cantare piano. Tanto è che quanto si richiede vigore la cantante,  certo compassata nell’accento, non viene meno all’esigenza. Se poi dovessimo valutare la qualità del suono e la loro perfezione a parte il do desta maggiore stupore la messa di voce sul successivo  la  acuto con cui l’aria si chiude.

Ho ritenuto opportuno offrire l’ascolto  di molti brani di Aida, benchè piuttosto noti, e non solo quelli dell’incisione completa del 1928, ma anche altri come il duetto, sia pure tagliato, con Francesco Merli. Il rispetto delle indicazioni dinamiche di spartito e le scelte dell’esecutrice sono esemplari per esecizione e significato drammaturgico cui assurgono come accade “gli stessi numi avrem”al duetto d’amore o il la di “fuggiamo” che ridicolizza le smorzature di tutti i soprani che hanno vestito i panni della protagonista. Maggiore impressione ancora è data dalla assoluta facilità con cui senza intaccare la qualità del suono, la penetrazione e lo squillo  la Arangi Lombardi esegue i passi più roventi della scrittura, da autentico soprano drammatico di Aida anche se la fraseggiatrice (parola grossa forse per l’Arangi Lombardi) predilige sempre l’espressione nostalgica ed intima. Cito nel “ritorna vincitor” frasi di vocalità tesa come l’attacco dell’aria  “il plauso delle egizi coorti”, “il re in catene avvinto”, “struggete” dove risplendono gli acuti del soprano napoletano, che certo trova il meglio nel primo assolo in frasi tipo “come raggio di sole qui mi beava” o l’invocazione finale ai numi. Le medesime osservazioni possono applicarsi allo scontro con Amneris ed al duetto con Amonasro dove Aida agisce da vero soprano drammatico e dopo le Aide dell’ultimo cinquantennio hanno quale più quale meno o annaspato o, almeno, giocato di  rimessa.

L’altra incisione di un’opera integrale è la Gioconda, che la Arangi Lombardi realizzò nel 1928 sotto la guida di Sabajano e che resta uno dei caposaldi dell’arte del soprano napoletano e del canto. Intendiamoci Gioconda facilmente divenne, sin dai primi anni del secolo uno dei titoli preferiti dei soprani veristi e l’alone verista sulla protagonista si stende sino ai giorni nostri, tanto che  al richiamo verista non fu estranea neppure Maria Callas. Nella registrazione della Arangi Lombardi di Verismo se ne sente poco per non dire punto. Sentiamo ovviamente l’esecuzione perfetta per qualità del suono facilità e fermezza dello stesso del famoso “Enzo adorato”  e la straziante chiusa d’atto “Tradita” (che la nostra aveva inciso precedentemente con la Zinetti) abbiamo la cifra interpretativa di questa Gioconda, ossia lo strazio, sicchè il “il dono funesto” non ha alcuna connotazione verista, strazio a tutto il quarto atto dove una cantatrice (ovvero una prostituta, perché in casa di Alvise per l’esercizio del meretricio si trova Gioconda) sublima amore, amicizia ed amore filiale (basta sentire come dice “la mia vecchierella”) . Nel Suicidio alla discesa di dentro l’avel il suono ( un si bem sotto) non sarà risonante, ma è contenuto. Sulle note basse della Arangi Lombardi torneremo in seguito. Ma l’attacco di “talor nei vostri memori pensieri” e l’assolo che segue sono  un modello di legato e controllo del fiato. Per conseguenza la salita al do è facilissima. Il finale della Arangi Lombardi è il contraltare di quello estroverso di quello della Burzio.  Quando nel corso dell’opera si presentano  frasi roventi la cantante, soprattutto in zona medio alta “al diavol te va con la tua chitarra” o l’apostrofe “e sempre Laura” al finale secondo risolve con lo splendore del canto oppure cerca l’alternativa come accade alla frase “se lo salvi e adduci al lido la giù preso il redentore il mio corpo t’abbandono etc” dove il fulcro della frase diviene la profferta erotica (tutta vocale attesa la scarsa avvenenza della donna) de “il mio corpo” e non le note gravi del “terribil cantor”. Ovvio che questa Gioconda quando apostrofa Laura allo scontro del secondo atto non scandisce ed articola, ma canta. Poi siccome ad accento castigato, espressione compita è in ottima compagnia il limite di una certa carenza di vigore, compensato dal sound splendente e tornito, è poco evidente.
Le registrazioni della Arangi Lombardi non sono moltissime. Alcune, però, come le arie di Lucrezia Borgia e di Giselda, ruolo mai cantato in teatro (nel 1931 alla scala la virago dell’Alto Milanese toccò proprio alla Scacciati e non oso immaginare che cosa possa essere accaduto al rondò che  chiude il secondo atto). L’accento è sempre quello della Arangi Lombardi ovvero la trenodia;  il dramma è risolto (vedi il “m’odi ah m’odi”) con lo splendore e la facilità del registro alto anche se il do diesis appare un po’ spinto, ma la prima aria è il canto dello strazio della madre colpevole come nessun soprano, neppure le celebratissime Lucrezia del dopo Callas; il motivo della superiorità in questo passo deriva dalla qualità vocale di autentico soprano spinto della Arangi Lombardi.  Tanto per evitare  facili equivoci nessun dei soprani che nel dopo Callas hanno cantato Lucrezia può rientrare nella categoria del soprano drammatico.

Poi dobbiamo anche rilevare come la cantante napoletana eseguisse la parte priva del  rondò finale. Limite non da poco.

Che poi Giselda sia composta, elegante, sfumata con un magistrale controllo e distribuzione del fiato nessuno può osare metterlo  in dubbio. Talvolta, però, fuori dei brani, connotati dalla tragedia e dal dolore,  la cantante appare limitata nell’accento. Esemplare sotto questo profilo l’esecuzione della Casta diva, dove manca l’allure sacerdotale, che con un mezzo più modesto e condizioni vocali precarie  sfoggiava la Muzio. Questo perché la corda che vibrava nella Arangi Lombardi era quella della trenodia, del dolore, alla bisogna, del rimpianto d’amore come accade nell’aria di Matilde dove la cantante napoletana è sfumata e nobilissima nel porgere come nessun’altra.

E poi c’è un altro limite vocale che nello splendore della voce va segnalato ossia il registro grave ed il passaggio dal grave al medium (fu il limite anche dell’allieva Gencer, che, però, in natura era un lirico leggero applicata costantemente al repertorio spinto). In tutte le registrazioni della Arangi Lombardi non si sentirà mai un suono di petto di quelli aperti e sguaiati che le cantante coeve esibivano, spesso spacciandolo per foga e vigore interpretativo, ma all’ascoltatore attento non può sfuggire che nella zona grave la Arangi Lombardi non abbia la sicurezza di una cantante coeva come la Rethberg  o del modello di soprano drammatico ovvero l’altra Giannina (Russ, della quale non ha neppure la facilità nell’esecuzione dei passi d’agilità) e nel duetto di Gioconda con la Stignani si sente come questa nella frase “l’amo come il fulgor del creato”, che batta sul primo passaggio della voce di mezzo sia risolta dalla giovane collega con maggior facilità. Motivo forse l’iniziale, errata, impostazione da mezzo che aveva provato e depauperato l’ottava grave, forse il fondato timore, che suoni di petto ostentati pregiudicassero l’ottava acuta o la possibilità, davvero unica in tutta la storia del canto documentata da registrazioni, di flettere e piegare la voce, forse il gusto, che rifuggiva da qualsivoglia esuberanza temperamentale e, quindi, vocale. Questo è il mistero, il dubbio che angustia gli estimatori della Arangi Lombardi?  Beh non esageriamo e ascoltiamo l’esemplare equilibrio fra vocalità tesa e facilità di esecuzione, sempre esemplari.

Gli ascolti

Giannina Arangi Lombardi

Mozart  – Don Giovanni

Notte e giorno faticar…Fuggi, crudele, fuggi (con Virgilio Lazzari, Ezio Pinza, Emanuel List & Dino Borgioli, dir. Bruno Walter)

Verdi – Aida

Già i sacerdoti adunansi (con Carmelo Alabiso)

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