Nel giorno del duecentodiciottesimo anniversario della sua nascita il Corriere della Grisi ricorda Franz Schubert per il tramite dell’Arte, interpretativa non meno che vocale, di Elisabeth Schumann. Esecuzioni come questa dimostrano che un Lied può essere eseguito, senza tradirne lettera e spirito, anche nel pieno rispetto delle regole del canto.
Caro Tamburini, in generale mi pare che tu dimostri competenza e buon senso, ma temo che stavolta tu abbia preso male la mira. Vuoi celebrare Schubert? Bene. Vuoi esaltare la Schumann, grande liederista soprattutto straussiana? Ottimo. Ma perché accennare in due righe un confronto polemico che non sta né in cielo né in terra? Innanzitutto non ha molto senso cercare di “dimostrare” un discorso generale sul Lied con questo brano perché Der Hirt auf dem Felsen è un Lied assolutamente atipico nella produzione schubertiana: non tanto per la presenza dello strumento concertante (anche ‘Auf dem Strom’ ha il corno ma è un tipico Lied) quanto perché si tratta in sostanza di un’aria da concerto multisezionale scritta su precisa richiesta di una cantante, la Milder-Hauptmann, mentre di solito i Lieder di Schubert non erano scritti PER una specifica voce. Non a caso il brano è stato spesso eseguito da soprani che la liederistica non la bazzicavano affatto. Che poi tu parli qui di fedeltà alla lettera mi pare quantomeno azzardato. Intanto, delle tre sezioni in cui è suddiviso il brano, la Schumann accorcia di più di metà la prima, quella per lei più problematica. Poi non si fa problemi a farsi vistosi accomodamenti: il verso ‘nun mach’ ich mich fertig’, da Schubert scomodamente situato per quattro volte su una scaletta ascendente, la Schumann semplicemente non lo pronuncia, sostituendo ogni volta una bella ‘A’ (la prima volta a 6’40”). Anologo accomodamento in precedenza sul salto di sesta ascendente a 5’28”. Visto che tu parli di ‘regole’ guarda che questo tipo di cose, all’epoca accettabilissine, oggi non sarebbero ammesse in una qualsiasi Hochschule. La fedeltà allo ‘spirito’ poi io la ritrovo soprattutto nella terza parte, quella più brillante e ‘cabalettistica’. In quel poco che rimane della prima sezione invece non mi pare che venga còlto il senso di trasfigurazione dello Jodel evocato dai salti di nona ascendente: la Schumann li prende col portamento e con un inappropriato aumento dell’intensità (2’03”) cosicché risulta completamente vanificato il previsto effetto di ‘eco’ della ripetizione immediatamente successiva del clarinetto. Più in generale direi che qui lo ‘spirito’ è quello con cui per più di un secolo è stato generalmente (fra)inteso Schubert dopo la sua morte: un inventore di soavi e malinconiche melodie, salottiero e Biedermeier. È solo negli ultimi 70 che è stato approfondito l”altro volto’ di Schubert, anche con la riscoperta concertistica delle Sonate per pianoforte, recentemente qui riproposte da Duprez. Il quale Duprez mi pare talvolta vox clamantis in deserto quando invita a storicizzare. Fra l’altro in questi casi rendete un pessimo servizio proprio ai quegli artisti che vorreste (giustamente) esaltare, evidenziandone involontariamente i limiti con una prospettiva storica ribaltata, invece che soffermarvi sulle qualità effettive. Sarebbe come se per celebrare la recitazione di Francesca Bertini se ne magnificasse la gestualità parca e trattenuta. O se per esaltare i geroglifici egizi se ne sottolineasse la tridimensionalità e il senso della prospettiva.
Sono sostanzialmente d’accordo: non amo particolarmente i Lied, ma ancor meno la loro trasformazione in pseudo arie d’opera.
Mi spiace che un omaggio, che voleva essere semplice e sentito, alla memoria di un compositore si trasformi nella solita occasione (non ricercata, ma che non rifuggo naturalmente) per ribadire l’ovvio, ovvero che il Lied E’ un brano da salotto (definizione che in sé non contiene nulla di negativo, a meno di non volergliela attribuire a ogni costo, oltretutto in prospettiva ben poco “storicizzata”) e va cantato esattamente come si canta un’aria d’opera di Mozart o dello stesso Schubert, cioè con la voce nella stessa posizione. Lo dimostra la contiguità con l’aria da concerto, che tu stesso sottolinei. Gli interventi sul testo non mi scandalizzano e non mi pare che inficino il valore del brano, poi è ovviamente legittimo preferire altre esecuzioni più “fedeli”. Quanto poi alla riscoperta di Schubert degli ultimi 70 anni, è stata condotta, se parliamo di Lieder, a base di voci che non evocano la malinconia Biedermeier solo perché ricordano più le macerie del bombardamento di Dresda. Mi resta da capire in che cosa la Winterreise – poniamo – di Lotte Lehmann o le pagine scelte dallo stesso ciclo a opera di Jadlowker siano inferiori, come capacità di penetrazione di musica e parola, rispetto ai risultati dei più celebrati liederisti, che poi magari vanno in confusione (eufemismo!) davanti all’aria elegiaca di Don Ottavio o pagine analoghe.
Nel mio commento alla posizione di Idamante – di cui condivido gli appunti circa la disinvoltura negli interventi testuali che interviene pesantemente nella struttura del brano – non intendevo affatto sostenere che il Lied vada cantato con imposto dilettantesco: non a questo mi riferivo con la “trasformazione in aria d’opera”, ma al sacrificio delle valenze testuali del brano ad una modalità esecutiva essenzialmente operistica (per intenderci: valore musicale prevalente sul testo). Il Lied è brano da camera che si fonda sulla stretta connessione con la parola cantata (certamente più dell’aria o della romanza da salotto italiana anche per motivi storici e culturali:in Italia ha sempre avuto prevalenza la portata melodica più che la suggestione della parola, a parte il periodo del recitar cantando). Purtroppo la mancata padronanza della lingua di Goethe mi impedisce di apprezzare i Lieder come meriterebbero e così ho poco rapporto con il genere (mi piace ascoltarli in disco, ma non a teatro).
Cerco di essere breve, cosi magari la chiudiamo in fretta ed evitiamo di ripetere (tutti e due) cose già stradette:
1) la definizione brano da salotto non è affatto negativa, è semplicemente inappropriata se riferito al Lied come genere (e infatti lo si fa solo qui, mi risulta). Diversamente dalla romanza da salotto italiana il Lied non è scritto PER il salotto e per una immediata destinazione esecutiva, la sua prospettiva commerciale è semmai quella della pubblicazione. Il fatto che occasionalmente i Lieder fossero eseguiti nei salotti non è sufficienti a definirli tali, a meno che tu non definisca brani da salotto anche la Hammerklavier e gli ultimi quartetti di Beethoven.
2) Io non ho affatto sottolineato la contiguità del Lied con l’aria da concerto, anzi ho detto che Der Hirt auf dem Felsen, proprio perché vi si avvicina, rappresenta un’eccezione: che tu abbia scelto proprio questo caso eccezionale per parlare del genere Lied sembra indicare che la tua conoscenza del repertorio non è molto approfondita.
3) Neanch’io mi scandalizzo per gli interventi sul testo: tu però ti sei messo a decantare la fedeltà alla lettera della Schumann, suscitando così inevitabili effetti umoristici…
4) Non raccolgo la polemica sui liederisti del dopoguerra, sui quali mi sono già ampiamente espresso in passato. Mi limito a constatare come qui non si riesca a uscire da una logica di classifica, di campionato. Tu mi domandi in che cosa la Lehmann è inferiore ai suoi successori. Ti rispondo che non si tratta necessariamente di stabilrne la superiorità o l’inferiorità, ma innanzitutto di capirne la DIVERSITÀ, magari provando ad applicare un minimo di contestualizzazione storica, così tanto per cambiare.
Detto questo, ognuno rimanga delle sue opinioni, e pace e bene a tutti.
mi permetto un solo commento ovvero che della diversità ne abbiamo le palle piene. Per giustificare imposture come quelle che il liederista è valido come quello di ieri (insomma Bostridge identico a Slezak) tiriamo fuorila diversità. Diversità da che atteso che la trota è sempre la trota e che la tecnica d canto è sempre la stessa. O meglio dovrebbe essere perché Slezak, Tauber Rosveange cantavano lieder, operette ed opere (queste secondo la loro peculiare voce) mentre Bostridge e consimili non sanno cantare un ‘arietta centrale di un intermezzo del ‘700. E poi giù con la diversità per rimestare la polemica vecchia quanto il mondo del rapporto lieder/romana da salotto italiana e dove mi tocca anche sentire che la produzione d’oltralpe sarebbe riservata alla lettura. Tanto per fare un esempio letterario e seguire le tue frasche il lieder è Liala (romanzo da leggere) e la romanza da salotto è una delle ultime sere di carnevale. Ti rendo conto della portata della cazzata detta, anzi scritta solo per il gusto, infantile, di insultare una persona, che voleva rendere un omaggio ad un autore e per difendere quattro povere/i svociate/i, che un pubblico cioccolataio e ignorante dell’abc ritiene siano colleghi di una Lehmann o di un Kipnis.
ciao.
Caro Donzelli, mi pare che il tuo post si commenti da solo: è ovvio che cercare di riconoscere le diversità non significa attribuire uguale valore artistico a ogni manifestazione storica, e nessuno sostiene che il Lied vada cantato con imposto dilettantesco, ma se uno parte col motto “la trota è sempre la trota” difficilmente potrà allargare i suoi orizzonti in fatto di interpretazione (magari con esempi anche un pelino più complessi della Trota). Se poi tu ignori le profonde differenze (di ogni tipo: vocale, poetico-musicale, storico-culturale) esistenti fra il Lied e la romanza da salotto non so che farci: io ti ho appena accennato un discorso di tipo socio-economico ma è chiaro che la divergenza più profonda è probabilmente di tipo estetico. Un brano è “da salotto” quando propone una condivisione di sentimenti o ideali con il salotto che ne è destinatario: il Lied al contrario postula quasi sempre una forte contrapposizione io- mondo, poeta-società. Non a caso la stessa Winterreise non piacque affatto nei “salotti”e nei circoli schubertiani. Sono discorsi abbastanza assodati questi, ma naturalmente sei libero di ribadirmi che sono solo fumisterie e “cazzate”.
Riguardo a Tamburini mi pare di avere riconosciuto la lodevolezza del suo intento, ho però sottolineato la controproducente inadeguatezza dell’accenno polemico: poi può darsi che io abbia ecceduto nell’acribia argomentativa, ma spero che Tamburini sia abbastanza grande e vaccinato da non sentirsi “infantilmente insultato” come tu dici…
prima di sentenziare rileggi l’incipit. hai la possibilità di correggerlo se vuoi dire quello che qui sopra stai dicendo altrimenti hai fatto solo una strumentale curva perché è evidente che un residuo di apparato uditivo efficiente consente di discernere l’arte di Bostridge da quella di Tauber. Talvolta prima di scrivere si deve anche pesare dove conducono certi ragionamenti . Francamente non ravviso nessuno studio psico sociologico nel ciclo della vita di una donna rispetto a dopo di Tosti, ma forse ti sfugge con riferimento a quest’ultimo capolavoro il profondo significato di “fui reietta quando sorse il dì”. principale e temporale subordinata per dipingere un modo di considerare una donna e la morale del tempo. Poi segati fin che vuoi sul messaggio del Lieder. Siccome Donzelli è anima semplice e campagnola gli basta la saldezza di emissione, il legato, la nettezza di scansione , la possibilità di intellegere il testo, l’alternativa dinamica ed agogica. Quelle cose che il passo che ti dedico esemplica
https://www.youtube.com/watch?v=fZouu0-b2YY
Sinceramente non capisco quale ‘curva’ avrei fatto, visto che ho sempre sostenuto le stesse cose, semmai anzi in maniera un po’ ripetitiva. Siamo tutti d’accordo che i dilettanti non vanno bene, è chiaro che ci si divide su chi va considerato dilettante, perché per te anche Dieskau é una dilettantesca impostura.
Il discorso poi che fai su Tosti è talmente…ehm…insolito che davvero faccio a seguirti su questa via, per cui alzo bandiera bianca e in seguito non replicherò più sul punto. Sei libero di andar fiero dei tuoi schietti e maschi gusti italici, e anche di considerare quanti abbiano gusti diversi dai tuoi come degli intellettualoidi pippaioli, però sarai certo consapevole che se scendi sul piano dell’argomentazione e intendi davvero affiancare “Dopo!” a Frauenliebe sul piano del valore artistico e compositivo (chi ha parlato di “messaggi”? mica è Guccini in ballo) difficilmente troverai qualcuno disposto a prenderti sul serio. Stiamo parlando di una bella melodia replicata pari pari in due strofe che non si schiodano dalla tonalità d’impianto, e in cui quindi, a proposito del rapporto musica-testo, il “dopo!” risulta esattamente identico al “prima!”. Secondo me qui dovrebbe valere il discorso che si faceva a proposito della musica proibita, cioè questi pezzi vanno compresi e valorizzati all’interno della tradizione italiana, perché un confronto diretto con la liederistica contemporanea risulta semplicemente suicida. O sennò, dopo Tosti vs. Schumann, dedichiamoci ad altri divertenti confronti, tipo Aleardi-Baudelaire o Mario Camerini-Lubitsch…
P.S. Ho sempre amato la versione della Valente postata da Lily.
Pace, carissimi.
http://youtu.be/CwtQJLlxhac
Comunque sul Lied ha ragione Idamante, nel senso che è genere diverso ontologicamente dalla romanza da salotto. Diversa è la finalità, diversa la fruizione, diverso il pubblico, diversi gli intenti musicali e letterari. Diversa ovviamente anche l’epoca in cui fioriscono. Il Lied è prima di tutto un esercizio letterario musicale che trova la sua ragion d’essere e il suo habitat privilegiato nel romanticismo austro tedesco. È prima di tutto musica da leggere, da eseguire in privato o in occasioni semi pubbliche per gruppi ristretti. Ha una connessione indissolubile col testo e, anzi, parte e trova nel testo il suo sviluppo: la costruzione musicale – semplice ec essenziale – si pone come traduzione delka parola, piegandosi ad essa. Tanto che i testi sono ricercati in cicli poetici autonomi e spesso tra giganti della letteratura (Goethe, Hölderlin, Heine). Oltre al fatto che fu genere frequentato dai più grandi compositori del classicismo ottocentesco: Schubert, Beethoven, Schumann etc.. La romanza da salotto italiana di fine ‘800 nasce con altre finalità. Innanzitutto è destinata all’esecuzione pubblica di mero intrattenimento e si pone come accompagnamento ad altro. Ha radici nella chanson francese nella musica da café e rappresenta un certo tipo di società (frivola e privilegiata). Musicalmente è imparagonabile in quanto si fonda esclusivamente sul procedere della melodia che, ripetuta identica ad ogni strofa, diviene protagonista rispetto al testo, affidando gli affetti e gli effetti alla bravura dell’interprete che diviene centrale. Tanto che spesso le romanze sono scritte PER un certo interprete, mentre il Lied veniva scritto senza destinazione. È prima di tutto musica che sfrutta il testo per veicolare la bellezza e l’intensità di una melodia. I testi, poi, sono letterariamente assai mediocri, roba che non regge la lettura. E, infine, il genere – al contrario del lied – non ha certo attirato grandi musicisti e compositori. È sciocco dire che uno è meglio dell’altro: son generi diversi da inquadrare in diverse prospettive storiche e culturali. Credo che nessuno voglia sostenere che Tosti valga quanto Schubert, ma ciascuno può preferire ciò che gli pare: personalmente non impazzisco per i Lieder (li ascolto a casa con il testo davanti), ma ad un concerto di romanze di Tosti, Leoncavallo o Arditi non andrei neppure sotto minaccia.