Nel momento in cui abbiamo deciso di collegarci con il sito della radio bavarese non avevamo molte speranze di assistere ( o meglio sentire) ad una esecuzione interessante di Lucia, anche priva della parte visiva, che prometteva una protagonista (Diana Damrau) d’aspetto assai simile a Bette Midler e non già al paradigma della fanciulla angelicata e folle per la crudeltà del mondo esterno. Sussisteva la curiosità di sentire la protagonista annunciata anche per la Lucia dell’Expo.
Quanto a Diana Damrau, siamo in presenza di soprano d’agilità delle grandi agenzie e quindi dei grandi teatri da sempre dotata di voce etrosa piuttosto che cristallina, estesa (divenne famosa come Regina della notte) a condizione di emettere i sovracuti flautati e dal centro piuttosto deboluccio, insomma più una soubrette che un soprano d’agilità. A maggior ragione se consideriamo che la tradizione mitteleuropea ha sempre espresso soprani leggeri dal centro piuttosto ricco e pieno a differenza di certa tradizione spagnola ed italiana. Nell’ultimo periodo la Damrau si è data alla Traviata, che può per cantanti di caratteristica tecnica e vocale simile a quelle del soprano di Günzburg essere pericolosa, portando indurimenti ed ispessimento della gamma acuta ed acutissima nel tentativo di esibire quel centro, che la cortigiana verdiana impone.
La cantante si è arrabattata e difesa sino alla scena della pazzia. Nel dettaglio una sortita, credo eseguita nella tonalità di tradizione e, quindi, piuttosto bassa per un soprano d’agilità che oltre tutto non è una virtuosa impeccabile come hanno testimoniato gli acuti oltre tutto inficiata da tempi lentissimi, che sono anti musicali e rendono difficile rispettare il legato, che è il requisito essenziale della belcantista in uno con le acrobazie. Le interpolazioni della cabaletta impongono arbitrari rallentando, che a differenza di quelli ad esempio di una Sills, non hanno significato espressivo. La cantante che è una soubrette, per giunta inchiodata da tempi lenti (sarebbe opportuno sapere se parto suo o della pessima bacchetta di Kirill Petrenko) annaspa e boccheggia alla sezione centrale del duetto con Enrico “soffriva nel pianto” dopo essersi assestata la parte all’introduzione con “taglia e cuci” delle agilità cromatiche, che, scelta l’esecuzione integrale, devono essere eseguite per intero o se sostituite debitamente rimpolpate per dimostrare che la protagonista è all’altezza del ruolo. Nel principio dello scontro con il fratello per dare peso e drammaticità la cantante ha sfoderato una serie di suoni aperti in zona grave e piuttosto plebei, che confliggono con il personaggio, con l’epoca e con una generica correttezza di canto. Acuti e sovracuti sempre fissi, spinti e fibrosi perché la fibra della voce in evidenza è il risultato cui incorre il soprano, che stia forzando. Nessuna esclusa. In Lucia, poi, il risultato è anche più grave perché toglie quel distacco e quel senso di dolore quintessenziato che il suono immascherato, alto e, quindi puro ed astratto ( per esemplificare quello della debuttante Sutherland, di Frieda Hempel o di Amelita Galli Curci per citare i paradigmi) garantisce alla protagonista. E poi è arrivata la scena della pazzia. Un disastro prima che vocale interpretativo perché la pazzia romantica sia essa quella di Lucia, Elvira, Linda e magari di Ofelia rifugge qualsivoglia richiamo realista e verista di cui invece la Damrau è stata prodiga sin dal recitativo con il “tremendo fantasma” aperto e spinto, manomissioni di tempo e ritmo nel recitativo e le frasi dell’avvio del cantabile “ardon gli incensi” spezzate e parlate per simulare più che una pazza che vaga con la mente fra realtà e fantasia una sorta di cerebrolesa di quelle che un tempo erano ospiti di Cesano Boscone o del Cottolengo, donde per salare e pepare la pietanza nel malinteso tentativo di interpretare come la Dessay risatine e cachinni vari. E siccome queste pseudo cantanti affette da voglie di rinnovare non sanno come si fa abbiamo sentito la solita cadenza di Paolantonio ( quella della Toti per intenderci) chiusa da quattro battute di jodel strumentali ad evitare la salita al mi bem. Mi bem esibito alla chiusa della cabaletta dove la cantante, sfinita per tanto mal canto ed insipienza tecnica, per eseguire la variante di tradizione che prevede la salita al si nat ed il trillo su “pregherò per te” ha preso ben tra fiati. Spiace ma la prodezza è proprio quella di esibire il fiato in quel passo non altro. Una vergogna prima interpretativa che vocale perché il dubbio è che certe scelte scellerate nascano dall’idea di interpretare ed esprimere. Tutto senza canto e senza gli strumenti del canto.
E siccome qui, come altrove vige il principio del “il Signore li fa poi li accompagna” abbiamo avuto un Edgardo (Pavol Breslik) dai suoni pallidi, eunucoidi ed infantili che scandisce ed accenta con fatica nei momenti di maggior tensione drammatica e, quel che è peggio attacca un pallido “verranno a te sull’aure” e nel finale omette nella cabaletta la scomoda ripetizione del “bell’alma innamorata”. Altro disastro.
E perdonate non per farla spiccia, ma al contrario per non tediare ulteriormente il pubblico il resto a partire dalla direzione da dimenticare, magari aiutati da direttori senza tanti orizzonti, ma con solida professionalità.
E, da ultimo, siccome è venerdì e sarebbe il giorno degli ascolti comparati vi propongo la prima scena di Lucia cantata da Hedwig Francillo Kaufmann, in comune con la Damrau solo l’origine mitteleuropea, non certo mestiere, arte, professionalità, rispetto per la musica.
Donizetti – Lucia di Lammermoor
Atto I
Regnava nel silenzio – Hedwig Francillo Kaufmann (1909)
E poi il caro amico Duprez mi chiede da quanto tempo non vado più a teatro….Non vedo a fare che ? A gettare al vento i pochi risparmi che mi son fatto negli anni lavorativi ?
Io l’ho sentita alla radio e non mi è parso un disastro assoluto: de gustibus.
Ps: a teatro (d’opera) ci vado poco, preferisco luoghi più civili, senza loggioni, circhi e cantanti
Ho ascoltato la Damrau in parte per Radio in parte dal cd della Lucia… che dire? Si sente spesso parlare di rivoluzione Callas, ma mi chiedo chi abbia portato avanti quell’approccio col personaggio di Lucia, ma non solo. In ogni caso apprezzo la Callas, ma non sono un fanatico e non mi convince in molti ruoli, anche se c’è sempre qualcosa di interessante in tutto ciò che faceva.
La Damrau dovrebbe essere un soprano di coloratura: il confronto con il passato non così remoto è impietoso tanto per citare alcune ben avvezze a cantare Lucia come Scotto (quella dei primi anni), Peters, Sutherland, Sills, Gruberova, Devia, Welting (poco ricordata un po’ ovunque, ma non era mica male la signorina ed eseguiva tutto in tono), Pratt,… Il problema è che gli usignoli, così numerosi e pirotecnici fino alla metà del ‘900, si sono estinti: perché non basta arrivare al la sopracuto (come la Aleida), ma bisogna aver un ampio bagaglio tecnico, saper eseguire la coloratura in ogni suo aspetto e ornamenti di ogni tipo e magari avere anche un poco di fantasia. Nessuno chiede loro che interpretino come farebbero i soprani lirici o drammatici, e giustamente, perché i risultati sono penosi come dimostrano le più quotate coloratura degli ultimi anni (Dessay, Damrau, Rancatore, Aleida,….) che vogliono seguire la fraintesa lezione della sempre nominata Callas, ma non sanno far altro che dispensare sospiri, gridolini, effetti ipermanierati di isteria (spesso ulteriormente accentuati dalle regie) e poi non sanno fare neppure quanto richiesto dallo spartito, tagliano, non variano, insomma, non fanno ciò che dovrebbe fare una cantante di coloratura.