La Rossini renaissance ha avuto molti padri e molti figli: musicologi, studiosi, direttori d’orchestra, cantanti, musicisti ed eruditi ne affollano l’albero genealogico, ma come sempre accade nelle famiglie più numerose si incappa talvolta in genitori snaturati e prole degenere, figliol prodighi e pecore nere. Una salutare revisione di certezze acquisite è oggi, dunque, più che mai necessaria: gli anni trascorsi hanno portato un maggior sguardo critico al passato pioneristico e hanno permesso, da una più equanime distanza, valutazioni più serene e un approccio più storicizzato. L’ascolto comparato di oggi si pone proprio l’intento di mettere in discussione talune di queste certezze nella convinzione che non fosse oro tutto ciò che brillava né fosse piombo ciò che restava in ombra. La mia analisi non sarà una vivisezione del brano secondo le due diverse interpretazioni proposte: è un approccio che non solo non mi affascina, ma che neppure trovo particolarmente rivelatore giacché l’impuntarsi sulla singola nota o sulla più minima menda non dice nulla circa la generale interpretazione del brano che potrà risultare splendido anche laddove non perfettamente inquadrato tecnicamente, così come sballato pur nel maniacale rispetto delle regole di Beckmesser. Mi concentrerò, piuttosto, su altri valori musicali. Il confronto di oggi è dedicato alla celeberrima cavatina di Lindoro nell’Italiana in Algeri, topos tenorile nella cosiddetta corda “contraltina”. A sfidarsi Ernesto Palacio e il misconosciuto Ugo Benelli. Per un certo tempo Palacio fu IL tenore rossiniano, buono per ogni ruolo (incurante della profonda differenza tra ruoli David e Nozzari, tra baritenore e tenore contraltino che lo portò persino ad incidere il Pirro di Ermione con risultati ahimè udibili da tutti e con l’aggravante – per Scimone – di avere avuto a disposizione Merritt ed averlo relegato al ruolo di Oreste). Da Tancredi al Maometto II, da Ermione a Cenerentola, dal Barbiere al Ciro etc… Eppure la voce e il timbro avrebbero consigliato una scelta diversa, limitata al mezzo carattere. Lindoro, ad esempio, più che Argirio. L’ascolto dei due brani però pone in risalto alcuni elementi che dovrebbero far riflettere e ridiscutere la sproporzionata celebrazione che ne venne e ne viene fatta. Il timbro acidulo, la pesante inflessione ispanica, l’uso e abuso di portamenti e colpi di glottide nelle colorature, la mancanza di vera autorità interpretativa (a favore di un generico fanciullesco) rendono il suo canto spesso poco gradevole. Nella cavatina dell’Italiana è evidente più che mai: non si tratta di un’opera seria, certamente, ma neppure di una farsa…e il personaggio di Lindoro, che rappresenta il tradizionale amoroso caratterizzato da un lirismo sognante, non può essere ridotto a macchietta buffa (stesso difetto d’impianto lo si riscontra nel suo pupillo Florez, pur dotato di voce molto più gradevole). Cosa manca dunque? Innanzitutto proprio l’abbandono lirico, lo slancio amoroso, la dolcezza del ricordo, la morbidezza sognante…è solo una mera esecuzione di note (complice anche la sempre pessima bacchetta di Scimone che vanifica ogni tentazione di sfumatura), il cui fine sembra essere solo l’esibizione di coloratura e acuti aciduli. Ciò che manca a Palacio si ritrova invece in Benelli, tenore appartenente alla cosiddetta seconda categoria: quella che solitamente viene ricordata con un “bravo, però…” Eppure il timbro schiettamente contraltino mantiene una virilità sconosciuta al collega peruviano e che esalta il carattere larmoyante di Lindoro (che non è un semplice buffo). L’espansione in acuto è più corposa e più ricca di colore la voce dal bel fondo vellutato. Ciò che però rende quella di Benelli un’esecuzione maiuscola del brano, a dispetto di quella di Palacio, è la cura nell’interpretazione, la ricchezza delle mezze voci e la sapiente gestione delle dinamiche (certamente qui è avvantaggiato da quello strumento d’eccezione che è la Staatskapelle di Dresda e la bacchetta di Bertini). Insomma, Benelli dipinge la nostalgia d’un ricordo d’amore attraverso l’uso sapiente della tecnica, Palacio non esprime nulla se non la mera esecuzione di tutte le note segnate in partitura. Buon ascolto.
2 pensieri su “Ascolti comparati: “Languir per una bella”. Ugo Benelli vs. Ernesto Palacio”
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Duprez sono assolutamente d’accordo con quanto scrivi e più volte l’ho pensato: Palacio ha un timbro davvero bello, ma la voce è sempre sforzata in acuto e poco sfumata anche se raramente è penoso da sentire. Benelli invece è sottovalutato rispetto a molti nomi più blasonati ieri come oggi. Comunque la mia preferenza va a Matteuzzi per citare uno con voce di questo genere.
Duprez ne approfitto qui anche se è off topic: volevo domandarti se hai ascoltato il Belisario e il Fantasio di Opera Rara e cosa ne pensi. Grazie
Matteuzzi insostituibile Conte Ory! Come mi piaceva in quel ruolo!