L’ouverture di “Semiramide” è una delle pagine sinfoniche più riuscite e più complesse di Rossini. In solo 12 minuti circa di musica il genio pesarese passa dalle atmosfere cupe e ieratiche della prima parte il cui tema verrà poi ripreso nella scena del giuramento nel I atto, ai momenti più lieti e distesi che invece occupano la seconda parte con il solito ma sempre brillante crescendo (ripreso nella chiusa del duetto tra Semiramide e Arsace nel I atto “Alle più care immagini”). In questa imponente pagina, che segna l’addio alle scene italiane di Rossini, emerge la sua grandezza strumentale, una grandezza che ha da sempre affascinato una teoria infinita di direttori desiderosi di cimentarsi nelle magie armoniche e melodiche di questa affascinante pagina. In questa occasione, abbandonando per un attimo i grandi numi tutelari della direzione, prendiamo in analisi due giovani bacchette di oggi: il venezuelano Gustavo Dudamel e il nostro Jader Bignamini.
Dudamel, complice una compagine di buon livello (la Los Angeles Philharmonic Orchestra, assieme alla “sua” Simon Bolivar), riesce ad affrontare la prima parte con una certa correttezza, anche se con un fraseggio non molto ampio, disteso e comodo che non gli permette di dare risalto alla solennità di queste note. Nella seconda parte iniziano però ad emergere alcuni problemi più evidenti: se nel primo tema musicale manca il suono frizzante e agile, veloce e leggero, che cede il posto ad una certa lentezza e talora pesantezza nei fortissimi, nel secondo tema del clarinetto e del fagotto (poi ripreso dal flauto e dall’ottavino) manca invece la morbidezza, il fraseggio posato e il gusto per la melodia, elementi fondamentali per creare il teatrale contrasto con il crescendo che segue. Crescendo dove Dudamel fatica a trovare l’agilità, lo slancio necessario per liberare la grande energia di questo passaggio, restando vincolato ad un rigido meccanicismo. Poco cambia nel crescendo successivo dove non si percepisce altro che il suono gonfio e artificioso che il pubblico milanese ha avuto modo di conoscere nel Don Giovanni e nella Carmen. La percezione finale che si ha è quella di una interpretazione “noiosamente” corretta, di un direttore che, tra suoni gonfi e meccanici, fatica davvero a trovare la vera ed autentica cifra musicale di questa sinfonia. Poca dimestichezza col repertorio? Ascoltare Bernstein, che di Rossini ha inciso una sola volta alcune ouverture tra cui “Semiramide”, valga come risposta.
Discorso ben diverso per Jader Bignamini che, con un gesto ben più chiaro e sicuro del suo “illustre” collega venezuelano, ottiene dei risultati decisamente più felici. Partendo proprio dalle prime note, Bignamini trova subito un suono pieno, corposo, concreto accompagnato da un fraseggio davvero notevole, disteso ma mai noioso, ampio ma non languido. Altrettanto notevole appare la seconda parte dell’ouverture dove il direttore italiano risponde con grande sicurezza e gusto, riuscendo a cavare dall’orchestra Verdi la giusta energia e il giusto slancio. Nella piccola frase melodica del clarinetto e del fagotto e poi del flauto e dell’ottavino, Bignamini (a parte qualche piccola sbavatura dei fiati), trova un bel fraseggio, forse però un po’ troppo stretto e nervoso. Nell’immediato crescendo la bacchetta italiana non cessa di stupire fin dalla prima piccola “marcia” (fagotti corni e timpani con archi uniti in solidi ottavi in la maggiore) con un suono concreto, conciso, pulito che fa crescere con grande scioltezza per poi passare il testimone ai frizzanti sedicesimi degli archi nel grande crescendo. Qui il suono dell’orchestra non è impeccabile, ma le intenzioni e in buona parte i risultati di Bignamini sono decisamente interessanti: precisione, fluidità, chiarezza e convinzione. E il tutto si ripete per poi giungere al gran finale portato a conclusione con sicurezza. Nel complesso, di Bignamini sorprende da un lato la pulizia e la chiarezza del gesto e dall’altro la brillante e acuta sensibilità nelle scelte interpretative, sensibilità da grande direttore d’orchestra.
Manuel García
Bravissimo questo Bignamini! Mi piacerebbe sentirlo a Firenze!